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Come scrivere un testo dinamico e suscitare, quindi, l'interesse dei lettori

 


Quante volte hai letto un testo on line (ma anche su carta) e lo hai definito “piatto“?

Quante volte hai sbadigliato o ti sei reso conto che non stavi ricordando nulla di quanto letto?

Credo che sia capitato a tutti prima o poi, perché troppo spesso abbiamo davanti testi statici, che sembrano fermi e scolpiti nella roccia, immobili come la Sfinge di Edipo e altrettanto criptici. Per catturare l’attenzione e l’interesse dei lettori devi scrivere un testo dinamico, ma cosa lo rende tale?

Possiamo dividere le caratteristiche di un testo dinamico in due grandi gruppi:

  • grafiche
  • narrative.

La dinamicità grafica del testo

La prima attenzione è quasi sempre per l’aspetto visivo del testo. Le parole, prima ancora di leggerle, le guardiamo.

(Luisa Carrada)

Questo è un dato di fatto, soprattutto on line: il nostro occhio per poter decodificare le nozioni scritte, prima scorre completamente il testo, lo inquadra graficamente e prepara il cervello a ciò che dovrà recepire, dandogli per prima cosa una struttura grafica da seguire.

Più la struttura sarà memorizzabile visivamente più sarà facile per la mente del tuo lettore recepire le informazioni corrette e, di conseguenza, apprezzare il valore di quanto hai scritto per lui.

Quali sono gli strumenti migliori per rendere graficamente dinamico un testo on line? Vediamoli:

  1. Il font: scegli un font Google, così che sia leggibile su tutti i device, privilegiando quelli semplici, puliti, leggibili. Quindi evita i testi handwriting o gli skatch tipo lavagna possono essere poco chiari, soprattutto se di piccole dimensioni
  2. Il grassetto: segnala le informazioni importanti così che unendo tutte le parole in neretto il lettore può, idealmente, ricostruire il senso di tutto il post
  3. Il corsivo: usalo per le parole straniere di uso non comune e per i titoli di opere
  4. Il quote: le citazioni sono molto utili e per evidenziarle usa l’apposita opzione dell'editor che ti permette di evidenziarle tramite il block-quote (è il tasto delle virgolette nell’editor di testo di ogni pagina e articolo)
  5. I titoli e i sottotitoli: questi elementi sono importantissimi per dare in breve il senso logico del percorso che darai al tuo pensiero e aiutano immensamente nella lettura. Inoltre staccano graficamente il testo aleggerendolo
  6. I paragrafi: vai a capo. Tutto qui. I paragrafi ti evitano quella che chiamo “La sindrome di James Joyce”, ovvero ammazzare il lettore con paginate di parole senza punteggiature.
  7. Gli elenchi puntati: se avessi elencato in un unico paragrafo tutti i punti dall’1 al 7 mi avresti già abbandonato, vero? Lo stesso vale per chi legge te.

La dinamicità narrativa: divertiamoci e divertiamo

Io amo scrivere, e tu? Spesso lo chiedevo durante le riunioni di redazione o nei breafing di scrittura creativa in agenzia: ti diverti a scrivere? I collaboratori mi guardano sempre un po’ allibiti perché nessuno gli ha mai permesso di credere in una cosa importante: scrivere è divertente anche se lo fai per lavoro, anche se parli di pompe a immersione o valvole di sfiato, e se riesci a divertirti scrivendo, lo fa anche il tuo lettore che di conseguenza sarà molto più propenso a scegliere te, i tuoi prodotti o i tuoi servizi per risolvere i suoi problemi.

Ma come possiamo rendere il nostro testo dinamico giocando sugli elementi narrativi?

Anche qui usiamo un elenco per riassumere le idee in modo pratico e organizzato:

  1. Scopri come parla il lettore: sì, torniamo a parlare di ascolto, di conoscere i clienti e di valorizzare il loro linguaggio in quello che scrivi. Usando i suoi stessi termini attiri la sua attenzione
  2. Usa le figure retoriche: oltre alle metafore ci sono molte altre possibilità come le allitterazioni e le rime (da usare con parsimonia e ironia), l’anafora che ripete due o più parole a inizio di ogni frase, l’enumerazione, l’ossimoro, ecc… Qui puoi leggere tutte le figure retoriche che la nostra bella lingua offre: Luzzapy.
  3. Usa le tecniche cinematografiche: quanto affascina un film che utilizza flashback e anticipazioni? Che apre una scena su un piccolo dettaglio dell’ambiente complessivo? O che al contrario ti fa partire dallo spazio per poi accelerare velocemente fino al luogo preciso in cui inizia la scena? Puoi riprodurre lo stesso effetto con le parole, serve solo un po’ di allenamento!
  4. Sfrutta il meccanismo della fiaba: individua un eroe che deve superare numerosi ostacoli, messi sul suo cammino da un antagonista, con il supporto di alcuni aiutanti (divisi in piccoli e saggi) per raggiungere un nobile scopo. Tutti noi conosciamo le favole, basta prendere i nostri temi e raccontarli con un po’ di magia.

In conclusione: dinamico non è semplicistico

Ci sono persone che ritengono che un testo di valore debba essere, sostanzialmente, noioso, piatto, complesso e difficile.

Io credo che questa sia una stratosferica idiozia. I libri più belli, e parlo anche di testi scolastici, sono quelli che sanno aiutarti a essere letti, quelli che ti fanno amare la lettura anche parlando di cose non propriamente appassionanti.

Per fare questo devi padroneggiare le tecniche di cui abbiamo appena parlato.

E ora una domanda per te: cosa ti aiuta a ricordare il contenuto di un testo? Cosa ti affascina a tal punto da appassionarti anche agli argomenti più tecnici? Parti da lì e scoprirai il segreto della scrittura efficace.

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Cos'è e come funziona la Shrinkflation

 


Che cosa è la Shrinkflation? Perchè è importante saperlo da consumatori? La shrinkflation è la pratica di ridurre le dimensioni di un prodotto mantenendo lo stesso prezzo o addirittura aumentarlo. Un uso meno comune di questo termine può riferirsi a una situazione macroeconomica in cui l'economia si sta contraendo mentre si verifica anche un aumento del livello dei prezzi. Vediamo insieme tutti i dettagli.

Shrinkflation: cos’è e come funziona

Shrinkflation è un termine composto da due parole separate: “shrink”, ovvero restringimento e “inflation”, cioè inflazione. Il termine “shrink” si riferisce quindi alla variazione delle dimensioni del prodotto, mentre “inflation” si riferisce all’aumento dei prezzi.

La shrinkflation è fondamentalmente una forma di inflazione nascosta. Le aziende sono consapevoli che i clienti probabilmente noteranno aumenti di prezzo dei prodotti e quindi opteranno per ridurne le dimensioni, consapevoli che un restringimento minimo passerà probabilmente inosservato.

In sostanza l’azienda aumenterà i profitti non grazie all’aumento dei prezzi, ma facendo pagare la stessa cifra per un pacco che contiene un po' meno prodotto. La ricerca accademica ha dimostrato che i consumatori sono più sensibili agli aumenti di prezzo espliciti che al ridimensionamento delle confezioni. L'efficacia della riduzione dell'inflazione come strategia di prezzo sembra variare tra i diversi tipi di beni e mercati.

La maggior parte dei consumatori generalmente non controlla le dimensioni di un prodotto. Chi ama le patatine, ad esempio, potrebbe non rendersi conto se la sua marca preferita riduce le dimensioni della busta del 5%, ma quasi sicuramente sarà in grado di dire se il prezzo sale dello stesso importo.

Shrinkflation: vantaggi e svantaggi per le aziende

Dal punto di vista aziendale, la riduzione della inflazione è un modo utile per aumentare o mantenere i margini di profitto senza attirare troppa attenzione. Questa tattica viene eseguita più comunemente nelle seguenti situazioni: quando aumentano i costi di produzione o la concorrenza del mercato di riferimento.

I rivenditori spesso si dedicano alla riduzione delle perdite per combattere i costi di produzione più elevati. Quando gli input chiave, come le materie prime o la manodopera, aumentano di valore, il costo per la produzione dei beni finali aumenta.

Ciò successivamente pesa sui margini di profitto, la percentuale di  entrate rimanente dopo tutti i costi. Per le aziende prive di un forte potere di determinazione dei prezzi, ridurre la quantità del prodotto a volte rappresenta l'opzione migliore per mantenere un sano profitto senza compromettere i volumi di vendita.

Le aziende potrebbero anche ricorrere alla shrinkflation per mantenere la quota di mercato. In un settore competitivo, l'aumento dei prezzi potrebbe portare i clienti a passare a un altro marchio. L'introduzione di piccole riduzioni delle dimensioni delle loro merci, invece, dovrebbe consentire loro di aumentare la redditività mantenendo i prezzi competitivi.

Tuttavia, anche le tattiche di shrinkflation possono ritorcersi contro. La maggior parte delle persone non noterà piccole modifiche alle dimensioni di un prodotto ma se lo noteranno si potrebbe avere un effetto dannoso sul sentiment dei consumatori nei confronti del brand, portando a una perdita di fiducia e sicurezza. Ciò significa che le aziende devono anche essere sottili e attenti a non ridurre troppo le dimensioni.

Un altro aspetto negativo della shrinkflation è che rende più difficile misurare con precisione le variazioni di prezzo o l'inflazione. Il prezzo diventa fuorviante, poiché la dimensione del prodotto non può sempre essere considerata in termini di misurazione del paniere di merci.

Shrinkflation: un esempio pratico

Un aumento del costo del cacao avrà un impatto diretto sulle aziende che producono barrette di cioccolato. Piuttosto che aumentare il prezzo del cioccolato (e potenzialmente perdere clienti), l'azienda può scegliere di ridurre le dimensioni del suo prodotto (e quindi la quantità di cacao per barretta) e mantenere il prezzo allo stesso livello.

Altri grandi marchi che si sono impegnati nella riduzione della inflazione includono Coca-Cola, che nel 2014 ha ridotto la dimensione della sua bottiglia da due litri a 1,75 litri nel Regno Unito per trasferire il costo di una nuova tassa sul loro prodotto.

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L'ingrediente fondamentale per la fotografia? La luce.

 


La parola “fotografia” deriva dalla composizione di 2 parole in greco: foto (phos) e grafia (graphis), letteralmente quindi “fotografia” significa disegnare con la luce. Quest’ultima è pertanto l’elemento essenziale per poter scattare un’immagine, senza di essa non potremmo parlare di fotografia. Ma che cosa è la luce?

Il termine luce (dal latino lux) si riferisce alla porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall'occhio umano. Questa porzione è molto limitata ed è compresa tra le lunghezze d’onda di circa 400 e 780 nanometri.

Il fatto che noi umani riusciamo a percepire sotto forma di luce soltanto una parte così limitata delle radiazioni elettromagnetiche è dovuto alla particolare natura del nostro occhio. Quando l’occhio riceve una radiazione la cui lunghezza d’onda è, ad esempio, di 470 nanometri noi vediamo una luce blu mentra con una radiazione di 650 nanometri vediamo rosso.

 


La percezione del colore è dovuta al fatto che gli oggetti trattengono alcune frequenze luminose e ne riflettono altre. Sono quest’ultime a determinare il suo colore.

I vari colori visibili all’occhio umano sono ben distinguibili nell’arcobaleno e sono indicati qua sotto con le relative lunghezze d’onda:

Violetto          410 nm

Blu                  470 nm

Verde              520 nm

Giallo              580 nm

Arancione       600 nm

Rosso              650 nm

Se sommiamo tutte le varie lunghezze d’onda (ovvero tutti i colori a noi visibili) otteniamo una luce bianca.

Nel 1666, Isaac Newton dimostrò in modo scientifico che facendo passare attraverso un prisma di cristallo un raggio di luce bianca, esso viene deviato dando origine ad una successione di raggi luminosi colorati (corrispondenti alle diverse frequenze elettromagnetiche)

 


 Tipologie di luce

Una delle prime cose da valutare prima di scattare una foto è la tipologia di luce che abbiamo di fronte: luce naturale o luce artificiale.

1 - Luce naturale

La luce naturale è quella che proviene dal sole. È la più ricercata in fotografia anche se non è sempre facile da gestire. Cambia rapidamente di colore, intensità e direzione ed è pertanto fondamentale imparare rapidamente a conoscerla per esaltare le caratteristiche e l’atmosfera del soggetto che stiamo fotografando.

 


In assenza di nuvole, i momenti migliori per fotografare sono al mattino presto o al pomeriggio tardi quando la luce è più morbida e proviene da un’angolazione laterale. La luce morbida ci permette di raccogliere più particolari, è di colore più caldo e pertanto ci risulta più gradevole. Inoltre le ombre sono lunghe e ci permettono di dare tridimensionalità al soggetto che stiamo fotografando. L’unico accorgimento è quello di posizionare il nostro soggetto (in caso di un ritratto) in modo che la luce non provenga solo da un lato onde evitare che metà del viso si ritrovi in ombra.

 


L’ora peggiore per fotografare, sempre in caso di sole pieno senza nuvole, è quella di mezzogiorno. La luce è durissima e di conseguenza anche il contrasto. Le ombre sono nettissime e le luci molto forti. Risulta pertanto molto difficile trovare la giusta impostazione per scattare una foto, si rischia sempre di bruciare le alte luci o di chiudere troppo le ombre, inoltre la luce diretta appiattisce tutto e non dona tridimensionalità agli oggetti attorno a noi. Cercate pertanto di evitare le ore centrali del giorno.

L’ora della giornata che preferisco personalmente è quella che viene chiamata dai fotografi “l’ora blu”. Subito dopo il tramonto, prima che la luce scompaia del tutto, c’è un breve lasso di tempo in cui la poca luce presente si colora di tonalità che vanno dall’azzurro scuro al violetto. C’è bisogno di un treppiede per fotografare in quanto la luce è davvero poca e si rischia il micromosso. Inoltre si possono creare effetti particolari (con acqua o nuvole in movimento) allungando i tempi di esposizione senza dover ricorrere a particolari filtri ND usati durante il giorno a luce piena.

 


2 - Luce artificiale

La luce artificiale è la luce che proviene da una fonte luminosa che non sia il sole e può essere suddivisa tantissime sottocategorie: tungsteno, incandescenza, fluorescenza, alogena, led, laser, flash. Quest’ultima, a differenza di tutte le altre, ha la stessa temperatura di colore della luce diurna ed è tra le più usate in fotografia.

 

Anche se preferisco non usare mai il flash e le luci artificiali, questo tipo di illuminazione ha comunque diversi vantaggi, uno su tutti è il controllo totale dell’illuminazione. Non solo potrai scattare in qualsiasi momento della giornata e in qualsiasi luogo ma potrai anche decidere la potenza della luce, la direzione e l’eventuale colore, cosa che con il sole non si può fare. Inoltre, quando i tempi di esposizione sono troppo lunghi, il flash ti permette di congelare l’azione ottenendo una foto perfettamente a fuoco.

I 4 concetti base della luce in fotografia

Sapere che serve della luce per fare fotografia non è nulla di stravolgente o innovativo, è una cosa risaputa. Se sei un fotografo che vuole diventare consapevole di quello che fa, allora memorizza questi quattro concetti basilari

1. L'intensità della luce

La prima cosa che devi fare quanto entri in un ambiente che devi fotografare, è quella di valutare l’intensità della luce. Naturale o artificiale che sia.

L’intensità di luce può essere anche individuata come quantità, alla fine si tratta solo di capire quanto è presente.

Lascia da parte la fotocamera per un attimo ed immagina come reagiscono i tuoi occhi ai cambi di luminosità:

  • se passi da una stanza chiara ad una scura per un po’ non vedrai nulla… tutto buio. In questo caso ti trovi in una situazione di “sottoesposizione”.
  • se passi da una stanza scura ad una chiara per un po’ sarai abbagliato dalla luminosità. Fin tanto che gli occhi non si abituano ti trovi in una situazione di “sovraesposizione”.

Con la fotocamera dovrai comportarti allo stesso modo: se la scena presenta una quantità enorme di luce dovrai impostare una combinazione di ISO — TEMPO ed apertura DIAFRAMMA adeguato. Se scatti in modalità Priorità di Tempo ti basterà regolare appositamente il tempo di scatto prescelto e la sensibilità ISO: il diaframma sarà regolato in modo automatico dalla fotocamera.

Ovviamente in questo caso devi essere consapevole che non puoi usare un tempo di scatto troppo lento, perché l’eccessiva quantità di luce renderebbe impossibile per la fotocamera impostare un diaframma adeguato e rischieresti di trovarti una foto sovraesposta.

Vale lo stesso se scatti in Priorità Diaframma; in questo caso devi stare attento a non usare un diaframma eccessivamente aperto che metterebbe in difficoltà la fotocamera che magari non è in grado di usare un tempo di scatto sufficientemente veloce.

Lo stesso principio vale per la situazione opposta: con una quantità di luce scarsa. Dovrai star attento alle regolazioni più idonee, ma col vantaggio di poter eventualmente aumentare la sensibilità ISO in modo da rendere la fotocamera più sensibile alla luce.

 

2. La qualità della luce

La qualità della luce non è una cosa che possiamo misurare. Ha a che vedere con la percezione visiva e pertanto si parla di:

  • Luce Dura
  • Luce Morbida (soffusa)

La luce dura di solito è facile da individuare perché è quella che “da fastidio”: come abbiamo detto sopra, quella luce intensa tipica del mezzogiorno estivo di una giornata limpida per capirci. La luce dura crea delle ombre molto scure e definite degli oggetti. Di conseguenza crea anche dei forti contrasti tra le zone scure e le zone chiare della scena fotografata.

La luce morbida (o soffusa) è l’opposto. È la situazione luminosa tipica di una giornata nuvolosa, con il sole dietro le nuvole che non riesce ad illuminare in modo violento la scena e di conseguenza gli oggetti presentano delle ombre soffuse, spesso poco evidenti senza creare dei grandi contrasti tra le zone in ombra e quelle esposte direttamente alla luce.

Si parla proprio per questo motivo di “luce soffusa” o “morbida”.

Se consideriamo la luce solare, è la presenza delle nuvole a differenziare una scena illuminata da luce dura rispetto ad una con luce morbida.

Ok, puoi eventualmente sfruttare dei pannelli opachi (detti anche diffusori) per rompere la durezza della luce se devi fotografare dei piccoli oggetti, ma come si fa in caso di luce artificiale?

Aggiungi un diffusore per ottenere una luce “morbida”
I fotografi, in linea di massima, preferiscono di gran lunga la luce morbida (soffusa) in quanto risulta idonea alla maggior parte dei contesti fotografici — dai paesaggi ai ritratti — ma non significa che non puoi usare la luce dura per creare qualche effetto “drammatico” (ovvero con forti contrasti).

3. La temperatura della luce 

Quando si parla di temperatura della luce si fa riferimento al suo colore.

 


 La foto che vedi qui sopra è evidentemente tendente al “blu”. Qui sotto la dominante corretta.

 


La luce non ha sempre lo stesso colore e l’esempio più eclatante è la tinta di colore rosso fuoco che prende durante i bei tramonti estivi o al sorgere del sole.

In realtà però la luce varia continuamente durante il giorno con le varianti date dalla presenza di cielo nuvoloso, nebbia o altre condizioni atmosferiche particolari.

La temperatura colore (o colore) della luce ha un impatto profondo sulla fotografia digitale, per questo motivo dovrai ricordarti di regolare nel modo appropriato il bilanciamento del bianco sulla tua fotocamera.

Con lo stesso strumento di regolazione bilanciamento del bianco puoi anche intervenire per modificare l’aspetto visivo dell’immagine che stai fotografando: se per esempio durante una scena illuminata dal sole imposti come bilanciamento del bianco il parametro ombra oppure nuvoloso, la tua immagine prenderà subito una colorazione e dominante calda (rossi e gialli più intensi).

PS: con la luce artificiale le cose sono un po’ più semplici, infatti la prossima volta che vai al centro commerciale prova a controllare i dati tecnici sulle lampadine in vendita, di solito indicano anche la temperatura colore irradiata per farti capire se farà una luce più fredda (blu) oppure più calda (gialla).

4. La Direzione della luce

La direzione della luce sul nostro soggetto è fondamentale per determinare la resa finale dello scatto. A seconda della direzione della luce otterremo fotografie completamente diverse tra loro. Esaminiamo quindi le differenze sul soggetto generate da luci provenienti da diverse direzioni.

Luce frontale

È la situazione più diffusa (grazie anche ai flash incorporati sulle macchine) ma risulta essere anche la meno efficace. La luce è piatta, priva di ombre e carente di tridimensionalità. Le foto risulteranno quindi banali e prive di fascino.

Luce laterale

La luce laterale è molto utilizzata in fotografia proprio perché allunga le ombre conferendo un aspetto tridimensionale al soggetto. L’unico accorgimento è quello di controllare bene il contrasto tra la parte del soggetto illuminata e quella in ombra. Evitate la doppia illuminazione laterale che provocherebbe delle bruttissime doppie ombre, meglio utilizzare un pannello riflettente per schiarire la parte del soggetto più lontana alla fonte d’illuminazione.

 


 Controluce

È la luce frontale alla macchina fotografica, è la luce più difficile da gestire ma anche la più creativa e particolare. Bisogna solo evitare che la fonte luminosa colpisca direttamente il nostro obiettivo altrimenti si verrà a creare quel brutto effetto chiamato “flare”. Fotografando in controluce il nostro soggetto si troverà tra noi e la fonte luminosa pertanto, se lasciamo scegliere l’esposizione alla macchina e non usiamo il flash, andremmo a creare quella che in fotografia si chiama silhouette.

 



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Knowledge Management: l’alleato per prevenire la perdita di conoscenze in azienda

 


Il ricambio generazionale tra Baby boomers e Millennials è alle porte e il trasferimento di conoscenza, in termini di capitale intellettuale, è strategico per la business continuity

È sempre più vicino il momento in cui un’intera generazione, quella dei cosiddetti Baby boomers, si ritirerà dal mercato del lavoro, facendo sì che i Millennials diventino gli attori principali della forza lavoro. Lo scoccare dell’età pensionabile della generazione che fin ora ha mosso le fila del business impone una riflessione più approfondita del solito su quello che un usuale “passaggio di consegne” potrebbe comportare, avendo a che fare, di fatto, con un passaggio intergenerazionale, tra cui vi è solo la breve parentesi della generazione X (1965-1980), molto assimilabile per caratteristiche, a seconda degli anni di nascita, a Boomers o Millennials.

Tradizionalmente, la metrica principale in azienda è sempre stata il ROI (Return Of Investment), in riferimento al capitale, ma accanto a questo la variabile tempo è qualcosa che ha pari (se non superiore) valore, e al tempo è in indissolubilmente legata la conoscenza (knowledge). 

Come riportato da una recente ricerca di Field Service News richiamata dall’azienda italiana OverIT operande nel settore Field Service Management, le aziende hanno evidenziato come l’invecchiamento della forza lavoro, che raggiunge il 73%, rappresenti una grande preoccupazione per le loro attività. Queste criticità derivano da una carenza di lavoratori qualificati, un divario nelle competenze pratiche e dalla necessità di formare molti neoassunti. 

A quest’ultima si affianca una precedente ricerca condotta già alcuni anni fa a cura della Sloan School of Management del MIT che mette in luce come ai neoassunti necessitino in media più di 20 settimane per iniziare a lavorare al meglio (26 settimane circa per manager e dirigenti) con un costo fino al 2,8% dei ricavi totali. 

Se si pensa a tutti i cambiamenti che il lavoro ha fatto propri negli ultimi anni, ci si rende conto di come la “perdita di conoscenza” per il business rappresenti un costo reale. Seppure il cambio della guardia tra Baby boomers e Millennials è evidente ed imminente, non sarebbe del tutto esaustivo parlare di perdita di know-how solo in termini di pensionamenti. 

Il mondo del lavoro, come del resto tutta l’attuale società, è sempre più – con una parola largamente abusata – “liquido” e per cui la mobilità di personale è all’ordine del giorno, per le più svariate motivazioni, portando ovviamente con sé le proprie abilità e conoscenze.

Correre ai ripari

Ecco, allora, che diventa essenziale parlare di Knowledge Management (KM). In senso lato, il concetto può fare riferimento alla preservazione e alla condivisione della conoscenza ed ha radici nell’antichità con lo sviluppo di biblioteche e strumenti di comunicazione. 

La moderna storia del Knowledge Management, invece, ha inizio nel 1986 quando lo studioso statunitense Karl Wiig, coniando il termine, ne introduce i fondamenti durante una conferenza allestita dall'Organizzazione Internazionale dei Lavoratori delle Nazioni Unite. 

A partire da questo momento, il concetto così formalizzato inizia ad interessare molte importanti aziende soprattutto a carattere multinazionale e godrà di un'attenzione sempre maggiore, tanto da venire considerato indispensabile da molte società che nella realizzazione delle infrastrutture necessarie alla loro implementazione hanno investito capitali ingenti. 

Il Knowledge Management, quindi, è oggi una pratica gestionale a supporto della strategia aziendale ed ha come scopo la costruzione di un sapere diffuso all’interno dell’organizzazione. A tal proposito, richiede un approccio integrato, che tenga conto di tre categorie di variabili: le persone, i processi e le tecnologie.

Ciò permette di esplicitare come, di fatto, il Knowledge Management si concentri sul concetto di conoscenza, declinandola in quello che gli studiosi chiamano “Capitale intellettuale”

Una definizione di quest’ultimo è attribuibile a Thomas A. Stewart, direttore esecutivo del National Center for the Middle Market (NCMM), che afferma: “L’intelligenza e la conoscenza diventano capitale intellettuale quando da un brainpower libero si ricava un certo ordine utile, vale a dire quando ad esso viene data una forma coerente (una mailing list, un database, la scaletta di una riunione, la descrizione di un processo); quando esso viene incapsulato in modo tale da consentire di descriverlo, comunicarlo ad altri e sfruttarlo; e quando può essere applicato per fare qualche cosa che non si potrebbe fare se rimanesse sparpagliato come tante monetine in un rigagnolo. Il capitale intellettuale è sapere utile confezionato”.

Da ciò risulta chiaro come il sapere sia distribuito trasversalmente alle diverse funzioni all’interno dell’azienda. Inoltre, secondo un contributo di Stefano Epifani,  Daniele Biagiotti e Francesco Depaolantoni, il capitale intellettuale “è costituito dalla somma dei suoi asset, composti da capitale umano, capitale strutturale, capitale relazionale”.

 

A ciò si aggiunge il fatto che la conoscenza, nelle sue varie articolazioni come quelle ad esempio sopra riportate, si presenta nelle due dimensioni della disponibilità-assenza di contenuti conoscitivi e della loro consapevolezza-non consapevolezza

Si generano così quattro incroci possibili a cui corrispondono: conoscenza esplicita (disponibile e consapevole) da diffondere previa classificazione (mappatura e archiviazione), conoscenza tacita (disponibile ma non consapevole) da esplicitare mediante scambio di informazioni tra le comunità interessate (communites of practice), gap conoscitivi noti (ossia “ciò che non so, ma so di non sapere”) da ricoprire mediante esplorazione (motori di ricerca, agenti intelligenti, filtri) e gap conoscitivi sconosciuti (“ciò che non so, e non so di non sapere”) da scoprire, per esempio, mediante sistemi esperti ad apprendimento automatico.

 

Il Knowledge Management, allora, deve saper gestire le conoscenze di maggior valore, ovvero quelle che un’organizzazione è in grado di conoscere collettivamente, di condividere e di usare efficacemente per generare valore e per la crescita del business. La triade precedentemente citata (persone, processi e tecnologie) ha al suo interno anche il riferimento alle tecnologie, l’elemento che in maniera sostanziale ha oggi forse più margini di crescita in termini di trasferimento di conoscenze. 

Ad esempio, la conoscenza esplicita può essere espressa in documenti testuali, email, database, pagine web, ecc. e può risultare più o meno gestibile in funzione del livello di formalizzazione e strutturazione con la quale risulta essere espressa: più alto è il grado di strutturazione, più potenti ed espressivi sono gli strumenti informatici in grado di trattarla (ad esempio, le tecnologie delle basi di dati e dei data warehouse usati in applicazioni di supporto alle decisioni).

La via tecnologica

Per di più, adottare tecnologie di ultima generazione è fondamentale per colmare il divario tra il personale prossimo alla pensione, lavoratori provenienti da altre realtà e giovani talenti in arrivo. 

Queste tecnologie includono il concetto di Knowledge Management, sfruttato attraverso la Realtà Aumentata e Intelligenza Artificiale. Sempre in linea con quanto riportato dalla già citata OverIT, la Realtà Aumentata (RA) può essere utilizzata attraverso dispositivi mobili come smartphone, tablet, dispositivi indossabili (smart glass) per presentare informazioni in tempo reale, come istruzioni di lavoro digitali, checklist virtuali e videochiamate interattive. 

L’Intelligenza Artificiale (IA), invece, opera con la Realtà Aumentata per ottimizzare le informazioni presentate all’utente fornendo dati, immagini, video o istruzioni “al bisogno”. In questo modo, facendo collaborare insieme le due tecnologie, sarà possibile offrire un trasferimento della conoscenza intuitivo, automatizzato e interattivo. 

Appare chiaro come i vantaggi dell’integrazione di funzionalità di Knowledge Management all’interno di un’impresa impattino sulla formazione rapida ai nuovi membri del team (fornire orientamento e informazioni in tempo reale ai nuovi arrivati con conoscenza “on demand” che assicuri ai lavoratori di essere formati ovunque, in qualsiasi momento, in loco e senza sprecare risorse); sull'autonomia dei lavoratori sul campo (assistenza e guida da remoto, anche in ambienti con scarsa connettività, annotazioni in AR e condivisione dei contenuti in tempo reale, istruzioni di lavoro digitali, anche offline, conoscenze “on demand”, supportate dall’Artificial Intelligence) e offrano, in generale, un supporto continuo, che si può concretizzare in acquisizione, condivisione e archiviazione di dati essenziali per poterli consultare all’occorrenza, oltre che, ad esempio, alla gestione automatizzata dei dati.

La tecnologia, quindi, gioca un ruolo centrale nella costruzione di soluzioni per la gestione del capitale intellettuale aziendale, ma bisogna sempre ricordarsi che non può ergersi ad unica garanzia del successo: una cultura adeguatamente orientata alla condivisione del sapere, una corretta organizzazione e un’appropriata leadership, la disponibilitàsistemi di incentivazione del personale, sono fattori essenziali per il successo di qualsiasi iniziativa di Knowledge Management, specie se di carattere generazionale.

Alcuni testi che potrebber aiutarti ad approfondire l'argomento:

Knowledge management per la competitività d'impresa. Modelli, strumenti, casi di studio 
di Paola Paniccia 

La guida del Sole 24 ORE al Knowledge management
di Alberto F. De Toni e Andrea Fornasier

La gestione dei contenuti aziendali ed il knowledge management. Nuovi strumenti per il vantaggio competitivo
di Alessandro Zardini
disponibile anche in formato Kindle


 

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Come strutturare un testo e districarsi tra piramidi, clessidre e diamanti

 


Scrivere per il tuo business può essere difficile e soprattutto può darti poca soddisfazione se non conosci le tecniche giuste per strutturare un testo.

Perché diciamolo: se quello che scrivi non ti dà soddisfazione…che gusto c’è? Se quello che crei non rispecchia davvero il tuo stile e non fa trasparire il tuo messaggio non solo sarà un testo inutile, ma abbatterà la tua autostima e questo è da evitare assolutamente perché tu vali troppo per correre certi rischi!

Quindi andiamo a scoprire ben 4 modelli per strutturare un testo che sia efficace e piacevole da leggere, e che ovviamente assolva al suo scopo di promuovere la tua attività.

La piramide rovesciata

Questo è lo stile più classico di tutti, perché deriva dal giornalismo e dalla necessità di fornire un dato, informazione, un consiglio.

La struttura della piramide rovesciata è questa


 

In sostanza quando si sceglie questo stile si danno subito le informazioni più importanti per poi scendere nei dettagli e infine fornire forme di approfondimento.

Sono testi da cui si deve portare via qualcosa nel più breve tempo possibile.

La struttura delle 5 scatole

Questa struttura assomiglia molto a quella della retorica antica che era fatta da:

  • Exordium: è l’esordio, il momento in cui far dire loro «Cavolo, ne vale proprio la pena!»
  • Narratio: è l’esposizione dei fatti, per spiegare al pubblico perché deve darti ragione
  • Argumentatio: è l’argomentazione, la dimostrazione delle prove a sostegno della tesi e confutazione degli argomenti avversari
  • Peroratio: è l’epilogo, la conclusione del discorso, il momento in cui porti il tuo pubblico al massimo del pathos

Lo schema è praticamente identico, con pochissime variazioni

Il testo a clessidra

Per strutturare un testo, questo è il mio metodo preferito!

Non tutti i contenuti sono argomentativi, molti sono più narrativi, “morbidi“, coinvolgenti, ed ecco che arriva in nostro aiuto il testo a clessidra che parte da un fatto (o dall’esposizione di un bisogno esposto dai tuoi clienti), prende per mano il lettore e, attraverso una frase di transizione (es: “Ad esempio, voglio raccontarti cosa mi ha scritto via mail Enrico proprio su questo tema…”) lo accompagna a immergersi in un racconto coinvolgente che sostiene la tesi esposta.

La struttura a diamante

Anche questo tipo di testo è fortemente coinvolgente e fatto perché il lettore si perda nel percorso della narrazione.

Qui si parte dando subito l’informazione più importante per poi espanderla gradualmente arricchendola di dettagli e aneddoti, tirando poi, nella conclusione, le fila del discorso riprendendo la tesi e ribadendola.


 

Cosa puoi fare ora?

Ora cosa puoi tu? Corri subito a fare uno schema dei tuoi prossimi blogpost verificando quale di questi schemi è il più adatto, quello che ti sembra più efficace e ti piace di più.

 

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Negoziazione strategica: le 5 competenze necessarie

 


La negoziazione è un processo decisionale che consente di raggiungere un compromesso o un accordo evitando discussioni e controversie. Accade spesso, in una discussione, che una persona cerchi di imporre il proprio punto di vista, dimenticando che il successo non è dato dalla vittoria sugli altri ma nel riuscire a ottenere i propri obiettivi prefissati. Ognuno di noi ha degli obiettivi di grande importanza, a cui non vuole fare a meno. Il buon mediatore sa identificarli, trattare e proporre la giusta intesa. Ascolta, media, mette in accordo tutte le parti. Chiunque di noi può diventare un buon negoziatore.

Esistono varie forme di negoziazione che vengono utilizzate in base a diversi contesti e situazioni: vendita, acquisti, contesti giuridici, controversie, accordi con dipendenti, con colleghi, con partner, ecc. Sono poche nel mondo le persone che hanno capacità negoziali innate, tutti gli altri riescono ad apprenderle leggendo e studiando dei libri oppure grazie a corsi di negoziazione.

Le 5 competenze necessarie

Vuoi essere un ottimo negoziatore ed utilizzare al meglio le diverse metodologie di contrattazione? Il primo passo, come detto, è acquistare dei libri, come questo «Negoziazione. Strategie, strumenti, best practice» di Roy Lewicki e Bruce Barry, oppure partecipare a dei negotiation workshop, corsi di specializzazione grazie ai quali acquisisci know-how professionale e metodologie di applicazione. Ti viene insegnato come affrontare i diversi tipi di trattativa, a sviluppare le tue capacità comunicative ed inizi a mettere in pratica il corretto schema mentale volto alla conciliazione.

Ogni processo di negoziazione prevede cinque fasi, che allo stesso tempo rappresentano anche cinque competenze che ogni buon negoziatore dovrebbe possedere:

  1. Preparazione – Capacità organizzativa
  2. Discussione – Capacità comunicativa e assertività
  3. Negoziare verso un risultato win-win – Capacità nella conduzione e nelle trattative
  4. Accordo – Capacità di conciliazione
  5. Linea d'azione – Capacità di pianificazione


 1. Preparazione

Prima di qualsiasi negoziato, è importante decidere quando e dove si terrà l’incontro, chi vi parteciperà, il tempo a disposizione, gli obiettivi prefissati. Come in una battaglia, il generale parte avvantaggiato se conosce già luogo, uomini, disposizioni, tempi e strategie d’azione. In questa fase devi assicurarti che tutti i fatti pertinenti siano condivisi e ricordare ai partecipanti le "regole di gioco". Ne risulta che, devi essere una persona ben organizzata.

2. Discussione

In questa fase, ogni persona deve avere tempo a disposizione per esporre il proprio punto di vista. L’obiettivo è comprendere ogni punto di vista. Le abilità chiave di questa fase sono: saper fare domande, saper ascoltare, essere chiari e concisi. È utile prendere appunti nel caso nascano incomprensioni o siano necessari chiarimenti nel proseguo. È estremamente importante ascoltare, evitando di interrompere.

Dalla discussione devono uscire ben chiari gli obiettivi di tutte le parti in causa. È utile elencare questi fattori in ordine di priorità identificando anche i dettagli, in modo che non si verifichino malintesi per accordi successivi.

3. Negoziare verso un risultato win-win

Questa fase è molto delicata, si concentra su ciò che viene definito “risultato win-win" (in cui vincono entrambe le parti). L’obiettivo è ricercare una soluzione d’intesa comune, un punto d’incontro che concede alcuni obiettivi principali all’una e all’altra parte. Possono essere utilizzate anche strategie alternative e compromessi. In questa fase devi essere un buon comunicatore, chiaro, abile nel condurre le trattative, devi saper individuare e proporre i giusti punti di incontro. Inoltre, devi avere abilità di problem solving (risoluzione di problemi).

4. Accordo

È più facile arrivare ad un accordo se le parti hanno un atteggiamento propositivo e sanno ascoltare l’altro. Ogni tipo di accordo deve essere chiaro, ben spiegato e condiviso tra le parti. In questa fase devi saper mediare, non devi rimanere imparziale fino in fondo. Devi far avvicinare e armonizzare due pensieri che nascono opposti. Devi essere un vero conciliatore.

5. Linea d'azione

Dall'accordo ne deriva una linea d'azione, un programma che le parti dovranno seguire, magari a step o secondo una linea temporale precisa. In questa fase devi essere pragmatico, avere l’abilità di pianificazione e coordinamento. Devi essere un buon project manager. 

In caso di mancato accordo

Se il processo di negoziazione si interrompe e non si arriva ad un accordo, è necessario rinegoziare subito un'ulteriore incontro. In questo modo si evitano inutili discussioni e perdite di tempo. Nella riunione successiva, le fasi di negoziazione possono essere ripetute una ad una. Le singole situazioni dovrebbero essere riesaminate prendendo in considerazione nuove idee e ovviamente nuovi punti di incontro.
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Still life in esterni, esploriamo gli spazi

 

Usciamo e riappropriamoci degli spazi, con le nostre fotocamere al collo o in mano, per dedicarci alla fotografia di still life… in esterna.

Che cosa è uno still life

In fotografia,  usiamo l’espressione inglese still life per indicare un particolare genere che ritrae soggetti inanimati,  quello cioè che in pittura si può tradurre con “natura morta”.

Solitamente si tende ad accostare questa particolare tecnica a studi fotografici, a set precostruiti e a complessi schemi di illuminazione, sottovalutando invece che anche gli spazi aperti offrono numerosissimi spunti per cimentarsi con la fotografia di still life.

Se vuoi saperne di più sulla fotografia di still life, puoi trovare molto qui:

The Beginner’s Still Life Photography Guide  di Li Aihong (in inglese)

Still Life in Photography  di Paul Martineau (in inglese) 

 


I vantaggi della fotografia di still life

I soggetti non si muovono!

Questo ci regala un enorme vantaggio: abbiamo tutto il tempo per scegliere con calma le regolazioni della nostra fotocamera, controllare com’è illuminata la scena, comporre con attenzione e produrre scatti di qualità.

Nessuna fretta, per cui. Abbiamo tutto il tempo che ci serve. Usiamolo bene!

 


 

Città e still life

La differenza tra scattare still life in studio e scattarli invece  in esterni è tutta nella necessità di sapersi adattare e di imparare a guardarsi in giro.

Tutto ciò che circonda, se inquadrato con una certa creatività,  può trasformarsi in un soggetto fotogenico.

Luce ambiente e still life esterni

Fuori, dobbiamo inesorabilmente fare i conti con la luce ambiente disponibile,  dobbiamo imparare a sfruttarla al meglio, in modo da esaltare i nostri soggetti.

Questo ci dice che dobbiamo conoscere la luce molto bene, capire se è adatta allo scopo che ci proponiamo e, in caso contrario, cambiare le nostre intenzioni di scatto.

Non potendo piegare la luce al nostro volere, dobbiamo imparare a piegare il nostro volere alla luce.

Keep It Simple

Manteniamo le cose semplici, affidandoci ad inquadrature asciutte e componendo con estrema attenzione. Ecco una buona ricetta da seguire per ottenere risultati soddisfacenti.

Spesso, un oggetto basta e avanza. Ancora più spesso, anche soltanto una parte di un oggetto.

Impariamo ad evocare ed evitiamo di descrivere.

 


 

Forme geometriche e still life

Impariamo a ragionare in astratto e lasciamoci guidare dalle forme geometriche. Dove, ad esempio, un tombino smette di essere un tombino e diventa semplicemento un cerchio, assumendo così un suo significato estetico a prescindere da ciò che è nella realtà contingente.

Cerchiamo di isolare gli oggetti, estrapolandoli il più possibile dal contesto e trattandoli come veri e propri soggetti fotografici degni di rilievo, che si tratti di un cassonetto o di una porta, nel nostro scatto sono forme geometriche, colore e materia.

 


 

Sfruttiamo la materia, ricordandoci che la luce radente ne esalta le texture, questo ci deve suggerire che è meglio preferire scattare quando il sole è molto basso sull’orizzonte o a picco sul nostro soggetto.

Affidiamoci ad una profondità di campo ridotta, saprà rendere gli oggetti più comuni quasi magici, onirici. È quello che vogliamo, strapparli dalla realtà quotidiana e consegnarli ad un mondo completamente nuovo.

Cerchiamo i profili e facciamoli stagliare su fondi omogenei, questo ci dice che spesso ci toccherà abbassare il punto di ripresa o alzarlo, in modo da inquadrare il soggetto, isolandolo.

Come impostare la fotocamera

Come sempre, non esiste una modalità di scatto migliore di altre, se non quella nella quale ci troviamo maggiormente a nostro agio a scattare.

 


 

 Le due modalità di scatto  che consiglio sono manuale (M) e priorità di diaframma (Av). Nella prima disponiamo di tutta la flessibilità che ci può servire, nella seconda, invece impostiamo il diaframma – e quindi la profondità di campo che vogliamo usare – e lasciamo alla nostra fotocamera il compito di consigliarci il tempo di scatto, potremo sempre intervenire sull’esposizione compensando in positivo o in negativo.


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15 Strategie di Lead Generation efficaci

 


Quando si parla di Lead Generation si intende l’insieme di azioni marketing che hanno come obiettivo l’acquisizione e la generazione di contatti interessati.

Il Lead, infatti, è un potenziale cliente interessato al prodotto/servizio che offri, che è entrato in contatto con te lasciandoti alcuni dati grazie ai quali potrai ricontattarlo. Si parla sia di Lead Generation Online che Offline ovviamente, perché fino all'avvento di internet si faceva Lead Generation raccogliendo dati di: interviste telefoniche, visitatori stand Fiera, raccolta biglietti da visita, acquisto di spazi pubblicitari in Radio e TV, ecc.

La comunicazione online, invece, è oggi uno dei più potenti mezzi di Lead Generation e di conversione alla vendita perché ha a disposizione un'infinita lista di strumenti da sfruttare. Vediamo i 15 più interessanti insieme.

Perché la Lead Generation è così importante?

L’acquisizione di un Lead rappresenta il primo passo del funnel di vendita in cui è fondamentale accompagnare il potenziale cliente, attraverso strumenti e messaggi specifici lungo il percorso che si completa nell’acquisto.

Il vantaggio che offre la Lead Generation è ottenere una lista profilata di contatti interessati su cui svolgere attività di vendita proficue.

1) Video Marketing / Video Tutorials

Sappiamo benissimo come i video siano oggi uno degli strumenti più forti ed efficaci per comunicare con utenti e clienti. In questo caso non sto parlando di Video pubblicitari ma di veri e propri Video Tutorials, utili a spiegare e/o risolvere un problema reale che i potenziali clienti è probabile che possano cercare sul web. Potrebbero atterrare sul tuo video anche per puro caso e trovando il tuo video interessante potrebbero iniziare a seguire la tua pagina YouTube oppure decidere di andare a scoprire l'azienda che sta dietro a quei video molto utili.

Video che spiegano l'utilizzo di un prodotto o di un servizio, ma anche video-tutorials di operazioni non direttamente dedicate al tuo prodotto ma ad attività simili o che possono portare successivamente all'utilizzo del tuo prodotto.

Se pensi che questo tipo di video siano possibili solo per prodotti del mondo del fai-da-te ti sbagli. Si possono inventare migliaia di video anche divertenti in cui si fa vedere come indossare un cappello, come giocare con un nuovo giocattolo, come degustare una tisana, ecc. La fantasia deve fare da padrona.

2) SEO delle recensioni dei clienti

Le piattaforme di recensioni hanno generalmente una forte presenza nella ricerca organica, il che le rende una grande opportunità per espandere la presenza del proprio marchio e farsi notare dalle persone giuste.

Quando incoraggi gli utenti a lasciare le recensioni su una piattaforma di terze parti con un forte SEO/molto conosciuta (basta pensare a TripAdvisor, Booking, TheFork, ecc. che sono a pagamento oppure a portali di settore o lo stesso Google Maps che sono invece gratuiti) aumenti le possibilità di essere trovato da potenziali clienti qualificati nella ricerca.

Queste piattaforme ti aiutano ad ottimizzare la tua presenza online e spingere le persone interessate a trovare il tuo prodotto/servizio. Ciò che devi fare è: trovare i portali e le piattaforme di recensione migliori del tuo settore che ti possono veramente aiutare a far convogliare contatti verso il tuo sito o a far acquistare i tuoi servizi.

Inoltre, in questo modo potresti eguagliare la concorrenza nelle ricerche di parole chiave di alto valore.

3) Landing Page

La Landing Page o pagina-di-atterraggio sta alla base delle strategie di Lead Generation online. E' tra gli strumenti più utilizzati. E' una pagina web creata ad hoc con uno o pochi contenuti molto interessanti che spingono il navigatore all'interazione. La pagina deve essere semplice, corta, veloce da leggere, magari con un video. Ciò che non può assolutamente mancare è la Call-to-Action, cioè un pulsante/link o un form che porti immediatamente l'utente a trasformarsi in Lead.

La pagina web non deve avere un navigatore con pagine da navigare, perché l'utente deve avere a sua disposizione solo un'azione, ovvero la la Call-to-Action.

Per massimizzare l'efficacia di una Landing Page è buona consuetudine utilizzare Google AdWords per incrementare l'atterraggio delle persone sulla pagina e in base ai feedback, migliorare la pagina di mese in mese. Altro metodo è quello di usare l'A/B Test, ossia creare due Landing Page leggermente diverse e dopo un periodo controllare quale delle due performa meglio.

4) Quiz o Tool interattivi

E' possibile offrire un quiz ai visitatori del tuo sito web, il quiz non deve essere intimidatorio, anzi per lo più deve essere accattivante, semplice, divertente e veramente utile. Un metodo creativo per conoscere meglio i tuoi visitatori, ottenendo informazioni. Alla pari del Quiz è possibile sviluppare un Tool di utilità per gli utenti. Gli esempi sono infiniti: meteo, telecamere in diretta che puntano su luoghi di interesse (spiagge, piste da sci, città, ecc.), strumento che consente di creare un percorso trekking personalizzato, tool di ricerca e confronto dei servizi delle scuole, tool che permette all'utente di creare il proprio prodotto personalizzato a step, tool-gioco che offre all'utente di vincere dei coupon, ecc. 

Strumenti interattivi che per funzionare veramente devono essere utili all'utente e non solo a te!

5) e-Book, e-Magazine, e-Catalogue

Do ut Des. Cosa c'è di meglio che donare per primi per poi ottenere qualcosa in cambio? Questa è una delle strategie più utilizzate sul web, soprattutto dai siti che offrono servizi: dare la possibilità di scaricare un e-Book gratuitamente, ma solo dopo aver compilato un form con i propri dati (in modo da rendere facile un ricontatto via email o telefonico).

Ma l'offerta non si ferma ad un semplice e-Book o White Paper, in altri settori si parla di e-Magazine ovvero il download di una vera e propria rivista (moda, design, cucina, ecc.), una rivista che inizialmente è uno strumento di Lead Generation ma che con il passare del tempo e l'aumento di notorietà può diventare strumento pubblicitario a pagamento, ovvero farsi pagare 

L'e-Catalogue è un mix tra l'e-book e l'e-Magazine, un catalogo di prodotti o servizi ma che può essere ideato come fosse un giornale con approfondimenti di settore, un catalogo con suggerimenti su come si indossano i capi, con ricette, con best practice per arredare la casa, ecc. Offrire un servizio a valore aggiunto ai lettori che vogliono tenersi aggiornati - in cambio della loro email o informazioni ricevono suggerimenti da fonti esperte.

6) Un Blog interessante

Quante volte hai sentito parlare dell'importanza strategica del Blog? E' vero, il Blog può diventare uno degli strumenti più importanti per la Lead Generation, ma deve essere: ben strutturato, nutrito costantemente con contenuti interessanti e gli articoli/post dovranno avere una strategia. Non tutti, ma i più importanti dovranno avere al loro interno una Call-to-Action (chiamata all'azione), in modo tale da trasformare il semplice navigatore in Lead.

Aprire un Blog è la cosa più semplice, lo puoi fare gratuitamente. Ma proprio per questo è lo strumento più abusato e con il tasso di insuccesso più alto. Attento alle tue scelte.

Se vuoi ottenere successo dovrai creare un team di lavoro, interno o esterno, che si occupa della comunicazione della tua azienda.

7) Influenzare il mercato con gli Influencer

Vuoi provare a spingere i tuoi prodotti velocemente su un nuovo mercato? Utilizza uno o più Influencer! Vengono pagati per pubblicizzare i tuoi prodotti (c'è chi lo fa in modo più occulto facendo pensare di aver scelto il tuo prodotto perché più bello o più utile e chi invece mette ben in chiaro che è pura pubblicità, una marchetta). Sta di fatto che i numeri parlano molto chiaro, gli Influencer sono un canale molto efficace, sia per rendere famoso un brand (brand building) che per fare vendite. L'Influencer riesce a mettere in contatto diretto, in poco tempo, la tua azienda con un preciso target di pubblico.

L'Influencer è efficace perchè: parla "la stessa lingua" dei suoi coetanei, è uno di loro, i suoi follower si fidano di lui/lei o lo/la prendono come punto di riferimento. 

8) Attirare con Testimonials ed Esperti di settore

Molto simili agli Influencer sono gli esperti di settore. Sono anch'essi Influencer, ma è l'uso che se ne fa che è diverso. Nel tuo progetto saranno dei veri e propri testimonials del tuo brand, ovvero persone che hanno sposato il tuo progetto in senso lato. Agli occhi dei tuoi clienti amano il tuo brand e tutti i tuoi prodotti, mettono la loro faccia testimoniando la qualità dei tuoi prodotti.

Sono testimonials le persone famose ingaggiate per fare pubblicità, ma per un progetto meno costoso potrebbero essere professionisti (giornalisti, blogger, architetti, designer, ecc.) che parlano della vostra azienda, scrivono articoli su di voi, rispondono in una rubrica online in cui danno suggerimenti agli utenti, indossano un cappellino o un t-shirt con sopra il vostro marchio, ecc. Anche qui gli esempi possono essere infiniti.

9) Corsi online

Le persone sono sempre alla ricerca di conoscenza, soprattutto se viene elargita gratuitamente o a basso costo. La creazione di corsi online o webinar con esperti che offrono il loro prezioso tempo per impartire lezioni, dare risposte o nozioni importanti su un preciso argomento è uno strumento enormemente fruttuoso per creare Lead. 

La cosa difficile? Organizzare l'intera struttura. Le lezioni, i webinar, creare contenuti e una pianificazione, trovare i giusti esperti che siano anche bravi a parlare in video-conferenza. Non è semplice, ma sicuramente... molto prestigioso.

10) Social Media

E' importante imparare a sfruttare i Social Media nella loro globalità. Utilizza Facebook, Instagram, Pinterest, Twitter e LinkedIn non solo per fare brand building/farti conoscere o per promuovere i tuoi prodotti con la pubblicità, sfruttali al meglio con azioni di ascolto e di analisi.

Impara ad ascoltare i tuoi utenti, raccogli i loro sentimenti, raccogli le loro idee, raccogli i loro dati e trasformali in Lead. Rispondi alle loro richieste, portali ad interessarsi ai tuoi servizi, devono lasciarti almeno la loro email, compilare un form o iscriversi alla tua Newsletter.

Fai interessare i tuoi utenti ad un tuo e-Book da scaricare, promuovi loro un webinar. Devi mantenere il loro interesse attivo fino ad avere fiducia in voi. Solo a quel momento si trasformeranno in Lead e poi in clienti.

Un altro metodo di ricerca e ascolto è seguire i Gruppi su Facebook e LinkedIn, all'interno dei quali avrai a disposizione migliaia di utenti e probabili futuri Lead. L'importante è sapere come interagire con loro.

11) Live Chat

Se possiedi un sito web che registra molte visite giornaliere e mensili, ti suggerisco di aggiungere un tool di Live Chat. Darai la possibilità agli utenti di chattare in tempo reale con un assistente della tua azienda. Questo tipo di supporto alla vendita ti offrirà due tipi di azione, faciliterà: le vendite online e la conoscenza dei tuoi utenti (che potrai trasformarli in Lead con successivi ricontatti).

Conosciamo bene chi fa ordini sul nostro sito (sono clienti di cui abbiamo tutti i dati), mentre non sappiamo niente o quasi niente degli utenti che navigano il nostro sito, soprattutto se lo fanno in modalità "incognito", quindi... ingloba subito una Live Chat e scopri chi visita il tuo sito.  

12) Facilita il passaparola

Lo strumento del passaparola è sicuramente la strategia più antica di pubblicità. Chi si trova bene con i nostri prodotti ne parlerà bene con i suoi conoscenti e via via così. Accade così anche sul web, quindi è importante trovare la strategia giusta per sfruttarlo al meglio.

Uno su tutti, il metodo web più utilizzato è: offrire un premio aggiuntivo al cliente che fa conoscere il prodotto ad un suo amico. Spesso l'azione è win-win, ovvero il premio viene offerto ad entrambi nel caso in cui il secondo amico decida di acquistare da suggerimento del primo.

13) Usa il Remarketing

Sei a conoscenza del Remarketing? Se non ne hai mai sentito parlare, ti suggerisco di cercare subito approfondimenti. In sintesi, sono quei banner pubblicitari che ti appaiono ovunque tu navighi online proponendoti prodotti che hai cercato pochi minuti prima. 

Il remarketing consente di connettersi con le persone che hanno precedentemente interagito con il tuo sito web o la tua app per dispositivi mobili. I tuoi annunci/banner vengono proposti a precisi segmenti di pubblico mentre navigano su Google o sui siti web dei suoi partner. Questo tipo di advertising si basa sui cookies.

Si tratta della tecnica del "ricordati di me". Più volte visualizzi i miei prodotti e più si rafforza il mio brand, diventando più familiare ed importante ai tuoi occhi. Così facendo è più probabile che tu scelga il mio prodotto rispetto a quello della concorrenza. 

Per sviluppare campagne di Remarketing è sufficiente avere un po' di esperienza ed utilizzare Google Ads Display.

14) Organizza Virtual Sales

Se la tua azienda utilizza già Assistenti alla vendita, pianificare un tool di "Vendite Virtuali" sarà molto più facile, ti sarà sufficiente organizzare la strategia e farti sviluppare un tool da inserire all'interno del tuo sito web.

Di cosa si tratta: avendo sul tuo sito una o più pagine web in cui gli utenti possono liberamente chiedere o prenotare una video-call con un Assistente alla Vendita, avrai la possibilità di ottenere decine di Lead ogni giorno. Queste persone saranno molto interessate a vedere con i loro occhi il prodotto da acquistare ed avere a loro personale disposizione un Assistente che risponde alle loro domande.

Le "Virtual Sales" sono l'evoluzione delle vendite all'interno di uno Showroom. Pensaci bene, la stessa cosa accade quando vai in un concessionario per scegliere una nuova auto. Un Assistente dedica il suo tempo a mostrarti auto, optional e rispondere a tutti i tuoi dubbi. Se è bravo, riuscirà a venderti l'auto dopo appena 20-30 minuti. Stessa cosa per le Virtual Sales: servono Assistenti, uno Showroom (o prodotti disponibili), un tool di prenotazione video-call e molta organizzazione.  

15) Marketing Automation

Una volta che la strategia ha portato traffico al sito e fornito visibilità al prodotto e/o servizio dell’azienda, non resta che iniziare a convertire i visitatori che vengono in contatto con l’attività in potenziali clienti. Lasciando i propri dati personali sono pronti per poter usufruire di attività di Lead Nurturing. In questa fase, possono sopraggiungere in aiuto dell’esperto di Lead Generation tutta una serie di tool per la Marketing Automation.

Innescando un sistema automatizzato di mail, con piattaforme come Sendinblue, Mailchimp (scrivici per usufruire dei vantaggi riservati ai nostri clienti), Magnews o Hubspot, sarà possibile curare il rapporto con i contatti creando dei veri e propri "processi di comunicazione personalizzata per ogni tipologia di cliente". Altri software molt interessanti sono Unbounce, Landingi o Instapage per la realizzazione di Landing Pages o Hotjar per le mappe di calore e l’analisi qualitativa del comportamento degli utenti online.

Senza una strategia pianificata di Lead Generation, magari multicanale non sarà possibile massimizzare gli investimenti fatti e convertire molti lead in clienti. Un suggerimento? Scegliete una persona che ha seriamente esperienza, sia esso un interno o un esterno all'azienda, ma serve un professionista che sa prendere le giuste scelte e utilizzare al meglio gli strumenti. 

Se pensate di avere bisogno di un piccolo aiuto in questo, noi della Insight Agency  ci occupiamo proprio di questo, e ideiamo soluzioni ad hoc per aziende di ogni dimensione e professionisti. Contattateci per una consulenza gratuita

 

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Ripulire la scrittura: sottraendo l’ovvio aggiungiamo significato

 


Il lavoro di riduzione va esercitato anche sui testi, per dire quanto serve e solo quello. Sottraendo l’ovvio aggiungiamo significato. Più sarà conciso il messaggio, più importanza avranno le parole che contiene.

(Yvonne Bindi, Language Design)

Scrivere per comunicare è impegnativo, scrivere per comunicare il tuo lavoro richiede un grande sforzo di elasticità: devi sapere quando allungare un testo perché serve tensione narrativa e quando rimpicciolirlo per aiutare il lettore a comprendere, imparare, apprezzare, scegliere.

Un buon testo, un testo che raggiunge i suoi obiettivi è un testo conciso. Il che non significa povero e per spiegarti la differenza chiarisco meglio il concetto così

breve ≠ semplice ≠ conciso

perché:

  • breve” ci parla solo della lunghezza (righe, battute, caratteri, parole, ecc…)
  • semplice” ci parla solo del registro (niente parole strane, niente complicazioni, niente inglesismi)
  • conciso” ci parla di efficacia, di un rapporto perfetto fra quante parole mettiamo in campo e quanto preciso e forte è il messaggio che trasmettono.

Yvonne Bindi, autrice del libro da cui ho preso la citazione di apertura, dedica un intero capitolo a questo tema e per accompagnarti nell’avventuroso viaggio verso la semplificazione parto dalla sua scaletta di regole:

  • Riduci: le parole devono essere centrate sul concetto che vuoi esprimere; non essere scontato e trasandato, scegli parole mirate che diano l’esatta percezione del concetto che vuoi esprimere, possibilmente con un solo vocabolo (ricordi? riduzione!)
  • Rimpicciolisci: sì, qui parliamo proprio di ridurre le parole; se per esprimere un concetto puoi usare 2 parole invece di 6…beh sai cosa scegliere (es: di una certa importanza ➡  importante – in data odierna ➡  oggi) 
  • Nascondi e organizza: questi due punti abbinano la chiarezza espressiva alla dinamicità grafica;
  • Tempo: devi avere rispetto del tempo di chi ti legge e puoi farlo semplificando i testi (punta su semplicità, chiarezza, linearità…insomma, niente frasi dentro frasi dentro frasi) e, di nuovo, misurando la quantità di parole che usi; mi spiego meglio: leggerai ovunque che un buon blogpost è fatto almeno di 1500 parole, bene, quello non è un blogpost ma un episodio di stalking! Meglio dividere un testo così lungo in più puntate senza prendere in ostaggio il tuo pubblico
  • Impara: come puoi spiegare in modo semplice un concetto complicato? Usando le metafore e cioè imparando a vedere i vari concetti con occhi diversi, attingendo ad analogie e similitudini
  • Differenzia: ricorda che anche la semplicità deve essere dosata per non diventare noiosa, quindi, dopo aver messo il lettore a suo agio introducendo il tema, alterna frasi brevi e lineari a strutture più complesse, gioca con la costruzione del testo e con la narrazione.


Quindi oggi ti lascio con questo esercizio: prendi gli ultimi contenuti che hai pubblicato sul tuo blog, la tua newsletter e il tuo social preferito e rivedili alla luce di questi consigli. Cosa ne esce?
 

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Brainstorming, cos'è e come trovare nuove idee.

 


Il Brainstorming è una tecnica creativa che consiste in un dibattito di gruppo per trovare delle idee e/o delle proposte. Questo metodo decisionale si è sviluppato nell'ambito delle agenzie pubblicitarie, è largamente utilizzato per il problem solving e si basa soprattutto sull'associazione di idee e sul confronto.

Che cos’è il brainstorming?

Il brainstorming è una pratica comune quando si cercano nuove idee e/o nuove soluzioni a dei problemi e consiste in un incontro di gruppo durante il quale i partecipanti si confrontano, procedendo per associazione di concetti.

La definizione di questa tecnica creativa si deve al pubblicitario statunitense Alex Faickney Osborn, «fondatore di un movimento importante per la creatività, e “guru” riconosciuto, nei primi anni del secondo dopoguerra, del pensiero creativo», come lo definiscono Claudio Bezzi e Ilaria Baldini nel libro “Il brainstorming: pratica e teoria“. Per Osborn – precisano i due autori – «il brainstorming è semplicemente uno dei modi possibili per produrre idee; l’accento è sull’ideazione, sul processo creativo, sull’importanza dell’immaginazione come forza generatrice anche per i problemi tecnici e aziendali, oltre che per l’arte e la scienza».

A cosa serve il brainstorming?

Il termine brainstorming è entrato nell’uso comune per indicare uno dei diversi modi per trovare idee creative, ma anche alternative possibili per risolvere un determinato problema, a partire, seguendo la traduzione solitamente adottata per la parola, da una “tempesta di cervelli“.

In merito a una possibile traduzione della parola, però, bisognerebbe anche considerare che è Osborn stesso a suggerirne una: «‘brainstorm’ significa» – come riportato ancora da Bezzi e Baldini – usare la testa [brain] per assaltare [to storm] un problema creativo».

La tecnica, inizialmente applicata solo al mondo pubblicitario, ormai è diffusa in ambiti molto diversi tra loro. I campi di applicazione, infatti, comprendono quello pubblicitario (per sviluppare, per esempio, il concept di campagne pubblicitarie o uno slogan ), quello artistico (per realizzare un’opera d’arte), quello scolastico (per lo sviluppo di un progetto di gruppo), quello del crisis management (per risolvere una crisi o un problema), quello giudiziario (per preparare un processo), ecc.

Nel marketing, comunque, si ricorre al brainstorming per svariate ragioni, tra le quali, solo per citarne alcune: attività di naming , realizzazione di un logotipo e ideazione della brand image , ricerca di un payoff , gestione di progetti e processi.

Come si fa brainstorming o come funziona?

Prima di avviare una sessione di brainstorming si definisce sempre un obiettivo, che solitamente è definito, insieme ad altre indicazioni relative al progetto da sviluppare, nel brief , e non di rado vengono preparate delle mappe concettuali per offrire degli spunti di riflessione di partenza.

All’attività partecipa sempre chi deve occuparsi direttamente del lavoro, ma può risultare utile coinvolgere anche altri colleghi o persone del tutto esterne all’ambiente lavorativo, che potrebbero fornire spunti inaspettati.

In ogni caso, è sicuramente più efficace quando fatto in gruppo, anche se spesso, specie nelle piccole realtà, questo metodo può essere sperimentato anche tra poche persone o addirittura tra sole due persone e secondo taluni da una singola persona. Quando il gruppo è troppo numeroso, però, sarebbe opportuno dividerlo in dei sottogruppi.

Per fare brainstorming, comunque, occorre sempre seguire alcune regole di base, rimaste sostanzialmente invariate nel tempo e che si possono riassumere come segue: 

  • escludere la critica (e l’autocritica), perché in fase di raccolta delle idee non è produttiva;
  • mantenere uno stile informale, cosa che potrebbe essere agevolata dedicando i primi minuti dell’incontro a una brevissima presentazione dei partecipanti;
  • puntare alla quantità: se le proposte sono numerose ci sono più probabilità di trovare l’idea o la soluzione giusta;
  • combinare le proposte già avanzate in delle nuove idee, puntando cioè sull’associazione di idee.

Inoltre, una sessione di brainstorming non dovrebbe essere troppo breve, per evitare di fermarsi solo sulle prime idee raccolte; allo stesso tempo, però, non dovrebbe essere eccessivamente lunga: se risulta particolarmente complicato trovare idee o soluzioni convincenti sarebbe preferibile preparare più incontri, della durata massima di un’ora, così da non affievolire o smorzare l’energia creativa e produttiva necessaria.

Importante è anche il luogo in cui si fa brainstorming, poiché dovrebbe favorire l’informalità e dare ai partecipanti al gruppo la possibilità di alzarsi e muovere qualche passo.

Sarebbe utile anche predisporre nell’ambiente scelto per fare brainstorming una lavagna sulla quale ogni partecipante possa appuntare le varie idee oppure dei cartoncini colorati da poter attaccare alle pareti.

La “tempesta di idee” per trovare un nome, ovvero cos’è il namestorming e come si fa

Il namestorming, come suggerisce il termine stesso, traducibile come “tempesta di nomi”, prende spunto dal brainstorming per adattare la tecnica creativa all’ideazione di un nome (per un brand, un sito, una pagina social, ecc.). 

Per una sessione di namestorming si seguono le stesse regole e gli stessi principi del brainstorming, che Linda Liguori, autrice del libro “Nome & Naming. Scegliere il nome giusto per ogni cosa” sintetizza in CSQM, ossia critica abolitaquantità prima di tuttostravaganza benvenutamoltiplicazione infinita.

Come per una sessione di brainstorming, la prima parte di quella di namestorming potrebbe essere dedicata allo spiegare velocemente in cosa consiste questa pratica creativa e fare qualche esercizio semplice, giocando magari con rime e associazioni di idee a partire da parole già date, soprattutto quando nel gruppo di partecipanti ci sono persone non avvezze a questa pratica creativa o estranee al gruppo di lavoro.

In una sessione di namestorming, inoltre, potrebbe risultare opportuna la presenza di un “facilitatore di naming“, ossia un mediatore/leader del gruppo esperto di naming – e che, come precisa Linda Liguori, dovrebbe conoscere bene brief e mappe mentali del progetto, oltre che essere sensibile alle dinamiche di gruppo – e può quindi guidare e mediare l’incontro. 

Cosa si fa dopo il brainstorming?

Finita la fase di raccolta delle proposte e delle idee creative, quando cioè la sessione o le diverse sessioni di brainstorming sono terminate, occorre però organizzare il tutto in maniera strutturata, correlando tra loro i concetti simili e creando delle mappe concettuali (a volte si possono modificare o integrare quelle preparate in precedenza). Di queste può essere inviata una copia a tutti i partecipanti per poi discuterne in un nuovo incontro con l’obiettivo di un confronto critico che porti all’idea o alla soluzione finale.