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Illuminiamo la notte con il light painting

 
 Le nostre fotocamere possono catturare molto più di quanto i nostri occhi riescano a percepire. La “pittura luminosa” (o light painting) è un esempio calzante: a occhio nudo, una notte buia è solo buia. Se però blocchiamo la fotocamera su un treppiede, apriamo l’otturatore e agitiamo in giro una torcia, di colpo il sensore comincia a vedere le cose in modo diverso da noi. Per lui, la luce è cumulativa: quando quella ambientale è poca, possiamo offrirgliene altra, sommarla per gradi, e fargli vedere con precisione quello che vogliamo. Con una sola torcia possiamo illuminare interi elementi di un paesaggio e da più angolazioni, dare rilievo ad alcuni dettagli, nasconderne altri o anche cambiare il colore della notte. La pittura luminosa è un’arte, ma non è difficile cominciare a praticarla! Provala, come noi, sul paesaggio per avere risultati sbalorditivi!

 

Sul campo. La preparazione

  1. Fotocamera. La nostra fotocamera è stata impostata sul tempo di posa B, con diaframma f/11 e ISO 800. Come di giorno, un diaframma abbastanza chiuso assicura sufficiente profondità di campo da tenere a fuoco primo piano, alberi e cielo in distanza.
  2. Scatto Remoto. Serve un sistema wireless per lasciare la fotocamera sul treppiede e avviare l’esposizione quando siamo in posizione.
  3. Treppiede. L’esposizione si protrarrà per minuti e la fotocamera deve rimanere immobile, quindi il treppiede è d’obbligo. Non spostiamolo tra uno scatto e l’altro: una posizione fissa ci dà la possibilità di unire più inquadrature in post-produzione.
  4. Cielo. Una leggera luminosità nel cielo aggiunge atmosfera e dà più risalto agli alberi all’orizzonte. Qui l’alone arancione è l’inquinamento luminoso di una cittadina a pochi chilometri. Combinato con le nuvole basse e lente, sembra uno strano tramonto.
  5. Accessori Notturni. Di notte conviene portare con noi solo le cose che ci serviranno per la sessione. Arriviamo sul posto prima del buio e controlliamo bene i dintorni. Oltre alla torcia che useremo come pennello, portiamone una da testa da tenere accesa tra gli scatti.
  6. Torcia. Questa scena è illuminata dalla torcia puntata sugli alberi e sul terreno nel corso di un’esposizione di circa 2 minuti. La nostra torcia è una potente luce LED per bicicletta, acquistata su eBay per poche decine di euro.

 

I trucchi. Brillanti esempi

Schermiamo la lampadina. Il punto di luce alta della lampadina non deve vedersi nello scatto, quindi schermiamola rispetto all’obiettivo, con la mano, il corpo o con un paraluce fai-da-te di cartone, come quello nell’immagine.

 


 Proviamo con le gelatine. Sperimentiamo con pennellate colorate. Nello scatto di esempio, la torcia nuda dava un impatto freddo agli alberi, così è stata modificata con una gelatina arancione. Possiamo anche mescolare più colori (qui, a metà sessione siamo passati al blu).  

 

 
Muoviamo la luce.  Se la scena è illuminata dalla posizione della fotocamera, appare piatta. Cerchiamo invece di dirigere la luce da un lato o dall’altro per enfatizzare forme e profondità. Indossiamo abiti scuri per muoverci senza apparire nello scatto.
 
 

Camminiamo sulla scena. Passeggiamo all’interno della scena, evitando di puntare la torcia verso l’obiettivo, per evidenziare alcuni punti. Ricordiamo che la luce si somma: più a lungo illuminiamo un oggetto e più apparirà chiaro nell’immagine finale.

Passo a passo. Uniamo più scatti.

Combiniamo più scatti. Apriamo le immagini in Adobe Photoshop, copiamole una sull’altra e sperimentiamo con i metodi di fusione. Schiarisci e Scherma sono particolarmente indicati. In alternativa, aggiungiamo una maschera di livello e pennelliamo in nero per nascondere e in bianco per rivelare parti della scena.
 
 

Bilanciamento. Non fidiamoci del bilanciamento automatico perché può essere ingannato dalla scarsa luce. Scattiamo in RAW e impostiamo il bilanciamento in fase di conversione in Camera Raw/ Lightroom. Possiamo introdurre viraggi creativi con i cursori di Tinta e Temperatura.
 
 

 
Scherma e brucia. Schiarire o scurire selettivamente parti dell’immagine può evidenziare o sfumare i dettagli più luminosi – ed è indispensabile, perché è difficile bilanciare bene la luce allo scatto. Usiamo strumenti locali come Pennello correttivo o Filtro radiale di Camera Raw/Lightroom.
 
 

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Summer Marketing: le strategie estive dei brand


Anche durante la bella stagione il marketing non va in vacanza: le persone viaggiano, passano più tempo con gli amici ma non per questo risultano irraggiungibili, è sufficiente cambiare i touchpoint  e, con un po’ di creatività, l’estate diventa un ottimo periodo per aumentare l’awareness del brand. Vediamo insieme come con il summer marketing cambiano le strategie!

Strategia di summer marketing: contest sui social

Le nostre abitudini in estate sono diverse rispetto al resto dell’anno e il fatto che tutti abbiano con sé uno smartphone rende questo periodo adatto ad azioni di marketing differenti dal solito: ed è qui che entra in gioco il summer marketing.

Una soluzione efficace, e ormai testata in diversi settori, sono i contest, concorsi a premi che, oltre a creare awareness, interazioni, sono anche utili per la successiva profilazione degli utenti.

Ci sono diversi tipi di contest online. Soffermiamoci sui più noti, senza dimenticare che in Italia questi rappresentano dei concorsi a premi regolamentati dalla legge.

Instant Win

Il format Instant Win prevede una possibile vincita immediata e per questo è tra le soluzioni più efficaci per chi organizza un contest online. Tra gli esempi più frequenti, i meccanismi “gratta e vinci”, “indovina il personaggio” o “rispondi al quiz” e attività come caricare una foto su una landing page e compilare un form per provare a vincere.

Social Photo Contest

Il format Social Photo Contest permette ai brand di sfruttare gli UGC (User Generated Content), gli utenti condividono foto e video su uno specifico tema di campagna deciso dal brand. Di solito viene richiesto agli utenti una mention del profilo brand in aggiunta all’hashtag del contest, con lo scopo di rendere virali questi contenuti (e il brand!) e di monitorarne la diffusione online.

Form & Win

Il format Form & Win è una variante dell’Instant Win, ma viene identificato come format a sé perché si presta molto bene al contesto del live (spettacolo, concerti, eventi di piazza). Questo perché tramite stand oppure personale addetto, il brand può invogliare i partecipanti a lasciare i propri dati personali per provare a vincere un premio. 

Pop up store nel summer marketing

Si tratta di Shop temporanei che interessano brand in ogni fascia di prezzo, da OVS ai brand di lusso come Prada, Louis Vuitton, Versace e così via.

Curati in ogni minimo dettaglio, i pop up store non sono certo una novità, ma lo è il numero di aperture in tutta Italia proprio durante la bella stagione. Vengono principalmente aperti nelle città turistiche, da Capri a Portofino, diventando delle vere e proprie attrazioni.

In questa estate post Covid, oltre che nel centro città, fioriscono pop up store anche all’interno di alberghi o resort di lusso. Tra cui il pop up store di Louis Vuitton al Forte Village oppure l’iniziativa #PradaOutdoor con i suoi pop-up store e installazioni in-store.

 



Il potere del product placement nel summer marketing

Il Product Placement è una tipologia di pubblicità indiretta che consiste nell’inserire prodotti o servizi all’interno di un contenuto (un film, una canzone, un videogioco) riuscendo perfettamente ad integrarsi con esso.

Per il secondo anno consecutivo il Product Placement avviene in una hit estiva. È il caso di Coca-Cola, brand nominato nel ritornello della nuova canzone “Mille” di Orietta Berti, Fedez e Achille Lauro. 

Il celebre marchio di bevande ha scelto proprio questi artisti per svelare in anteprima il restyling di uno dei loro prodotti di punta, in uscita nella metà di luglio e ben visibile all’interno del video musicale. 

Una strategia che permetterà al marchio di beneficiare della visibilità dei singoli artisti e della popolarità della canzone in uno dei periodi dove le vendite raggiungono il picco.

 


 

Campagne Out Of Home

Con l’arrivo dell’estate va da sé che il tempo passato fuori casa aumenta e uno strumento da sfruttare diventa l’OOH. Dai cartelloni pubblicitari al wrapping dei mezzi pubblici, aumenta radicalmente la possibilità di essere notati.

Guardando al settore OOH nell’estate del 2020, si è verificato un cambiamento interessante, in risposta alla pandemia, si è diffuso sempre più il Programmatic Digital Out of Home (DOOH). 

Grazie all’utilizzo di dati real time, il DOOH, permette di erogare contenuti specifici e interessanti a potenziali clienti basandosi ad esempio sul momento della giornata, sulla stagione, sul meteo, sui risultati di un evento sportivo e altro ancora attraverso formati dinamici e automatizzati. 

Ne è un esempio la campagna di McDonald’s weather reactive, che incorpora nei suoi display creatività dinamiche mostrando la sua gamma di Iced Frappé man mano che la temperatura esterna iniziava a salire. 

 


In estate, quindi, cambiano gli strumenti e anche il modo di comunicare con la propria audience ma è possibile fare marketing anche in questa stagione dove raggiungere il pubblico può essere più difficile.

Il successo sta nel comunicare in modo meno convenzionale, rendendo virale il nome del proprio brand (come in una hit estiva) o semplicemente aumentando i touchpoint con l’audience, facendosi trovare nel luogo giusto al momento giusto con un’experience impeccabile.


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Cos’è il brand naming e perché è importante


Come abbiamo già visto in un precedente articolo, l’attività di naming (letteralmente, “nominare, dare un nome”) è uno dei passi fondamentali che chiunque stia progettando il proprio brand si trova ad affrontare. Il nome non è una semplice parola, ma rappresenta l’identità del brand, ed è – insieme al logo – il suo biglietto da visita.

In altre parole, un nome efficace è un nome rappresentativo del brand, dei suoi valori e del suo messaggio. Contemporaneamente, è un fattore di differenziazione dai concorrenti e un modo per comunicare efficacemente con i consumatori.

È inoltre immutabile nel tempo: possono cambiare il logo, il target o il modo di comunicare, ma il brand name rimane lo stesso. È quindi un vero e proprio asset immateriale per il brand, che ha un proprio valore più o meno consistente a seconda del successo del brand.

Arrivati a questo punto verrebbe da chiedersi se c’è un metodo infallibile per scegliere il nome perfetto, garante di successo per il brand che ne è portatore. Purtroppo – o forse per fortuna – tale metodo non esiste. Nell'articolo precedente abbiamo già introdotto alcuni concetti chiave e spiegato che forma ha un nome aziendale, oggi riprendiamo quei concetti e li approfondiamo ulteriormente, con alcune semplici regole che posso facilitare il processo di naming. Scopriamole insieme.

Le fasi del brand naming


A meno di non avere illuminazioni improvvise e veder apparire a chiare lettere il nome perfetto, chiunque voglia trovare un nome efficace dovrebbe seguire un processo, esemplificato di seguito in queste fasi:

  • Analisi del mercato e della concorrenza: in questa fase è importante identificare i propri punti di forza, le caratteristiche distintive su cui puntare, capire dove si posizionano i competitor e dove vogliamo che si posizioni il nostro brand.
  • Brainstorming: in questa fase si da il va libera alle idee. Una volta individuato il contesto di riferimento sarà più facile imboccare la strada per arrivare al nome giusto.
  • Scrematura: questa è la fase convergente che segue quella divergente di raccolta delle idee ed è caratterizzata dalla scelta dell’idea migliore da portare avanti.

In questo caso è fondamentale tenere in conto anche l’aspetto legale: un nome già esistente non può ovviamente essere registrato. La registrazione è una forma di tutela sia per l’azienda che per il consumatore: per la prima protegge l’identità e la proprietà del nome, per il secondo è garanzia di qualità. Pensiamo ad esempio alle cause intentate contro l’uso improprio del nome Parmigiano Reggiano da parte di aziende straniere.

Ma una volta arrivati a questo punto, come si fa a capire qual è il nome giusto? Come abbiamo detto, non esiste una regola universale, ma alcuni semplici accorgimenti possono aiutare.

SMILE e SCRATCH

Come dovrebbe e non dovrebbe essere il brand name

Una dei maggiori esperti mondiali di brand name, la statunitense Alexandra Watkins, nel suo libro “Hello, My Name Is Awesome: How to Create Brand Names That Stick” elenca cinque caratteristiche che un buon nome dovrebbe possedere, riassumibili nell’acronimo SMILE.

  • Suggestive: essere evocativo del brand. Attenzione però: non si parla di riferimenti descrittivi, ma metaforici e allusivi all’universo semantico del brand e ai suoi valori;
  • Meaningful: essere significativo per il target di riferimento, al fine di comunicare in modo intuitivo cosa fa il brand;
  • Imagery: anche in questo caso, il nome deve essere evocativo, ma stavolta in senso visuale: deve richiamare un’immagine alla mente;
  • Legs: letteralmente, deve avere “le gambe”, ovvero dev’essere capace di oltrepassare le mode e durare nel tempo. Come abbiamo visto, infatti, il nome di un brand non cambia nel corso del tempo. Scegliere quindi un nome “di moda” non è una buona mossa;
  • Emotional: un buon nome deve emozionare, richiamando sensazioni positive.

Ci sono però al contempo alcune caratteristiche da evitare, che Watkins elenca come SCRATCH.
Eccole di seguito:

  • Spelling-challenged: il nome non dev’essere difficile da scrivere, nel caso in cui un potenziale consumatore voglia cercare il brand in rete, evitando confusione tra pronuncia e scrittura. Questo vale soprattutto per i nomi anglosassoni, per cui spesso il modo in cui si pronuncia una parola non equivale a come questa viene scritta, ma anche i brand italiani devono far attenzione nel caso in cui scelgano una parola inventata;
  • Copycat: vietato copiare. Il nome ideale è unico, e non richiama quello di altri brand.
  • Restrictive: un nome troppo specifico è limitante e impedisce al brand di espandersi.
  • Annoying: da evitare nomi forzati e poco comprensibili.
  • Tame: poiché il nome ideale deve suscitare emozioni (vedi la E dell’acronimo Smile, Emotional), non può essere piatto e poco comunicativo.
  • Curse of knowledge: tale espressione significa “la maledizione della conoscenza”; in questo caso indica che non si deve dare per scontato che tutti possano capire un determinato concetto o riferimento, quindi il nome non dev’essere “da addetti ai lavori”.
  • Hard to pronounce: ricollegandoci al primo punto (Spelling-challenged) il nome non dev’essere difficile da pronunciare, per evitare incomprensioni e difficoltà. Ricordate quando fu lanciata in Italia la piattaforma streaming Dazn? Inizialmente c’è stata confusione sulla corretta pronuncia, tanto che il brand ha realizzato un video chiarificatore con protagonisti Diletta Leotta e Bobo Vieri, in cui la prima insegnava al secondo come pronunciare il nome.

Esempi celebri: Amazon e Spotify

Vi siete mai chiesti perché alcuni noti brand si chiamano così? Ripercorriamo la nascita dei nomi di due colossi nel loro campo: Amazon e Spotify.

Forse non tutti sanno che quella che oggi noi chiamiamo Amazon inizialmente era nata con il nome Cadabra, derivante dalla parola “Abracadabra”, perché nell’idea del fondatore Jeff Bezos quella che allora era una semplice libreria online doveva funzionare in maniera veloce e semplice, come una magia.

Pare che il cambiamento fu dovuto ad un misunderstanding: l’avvocato del fondatore capì “Cadaver” – “cadavere” (ecco l’importanza della pronuncia!). Per evitare di incorrere in errori simili, fu necessario un cambio nome.

La scelta del nuovo nome fu ispirata dal Rio delle Amazzoni, il più grande fiume del mondo, come Bezos si augurava che diventasse la sua libreria. Ma tale decisione è dovuta anche ad un motivo più pratico: un nome che inizia per A risulterà tra i primi in un elenco.

Per Spotify la scelta del nome fu invece del tutto casuale: come racconta uno dei fondatori, Daniel Ek, lui e il socio Martin Lorentzon erano ognuno nella propria stanza, intenti a ragionare su un possibile nome per il loro business (ricordate la sopracitata fase di brainstorming?). Ad un certo punto Martin urlò una parola che Daniel interpretò come “Spotify”; una volta verificato che il dominio non fosse già registrato (mai tralasciare l’aspetto legale, come abbiamo visto), questo diventò il nome ufficiale del brand.

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Ritratto creativo con flash e… farina!

 


Volete realizzare un ritratto super creativo? Tutto quello che vi occorre sono tre flash portatili e un po di farina.

La finissima polvere sospesa nell’aria, infatti, segue le mosse del soggetto ritratto – un ballerino – consentendoci di catturarne l’azione ed esaltarne i movimenti.

Allestire il set e scattare ritratti simili a questo non è troppo difficile. Bisogna però imparare a disporre le luci, suggerire le pose al soggetto e servirci della polvere nella maniera più efficace. L’illuminazione ha un ruolo decisivo. Sebbene sembri un allestimento complicato, avremo bisogno soltanto di tre economici flash portatili e di un paio di ombrelli per “guidare” la luce.

Inoltre, non c’è bisogno di uno studio. Va bene qualunque spazio di medie dimensioni o persino un esterno di notte (ovviamente se temperatura e umidità lo consentono). Noi abbiamo scattato in un parcheggio sotterraneo e la location ha offerto l’indubbio vantaggio di semplificare le operazioni di pulizia dopo la sessione.

Ritratto creativo passo passo

1 – Troviamo la location più adatta

Ci serve un ambiente con poca luce e uno sfondo nero (noi abbiamo scattato in un parcheggio sotterraneo). Facciamo il possibile per arginare la diffusione della farina, disponendo opportunamente i fogli di polietilene e la tela cerata a protezione della scena.

2 – Disponiamo le luci

Nel nostro allestimento a tre flash (impostati in modalità Manuale), quello frontale era diretto verso il soggetto attraverso un ombrello bianco, quello dietro a sinistra era riflesso da un ombrello argentato e su quello dietro a destra è stato montato un beauty dish.

3 – Ritratto: usiamo l’esposizione manuale

Usiamo i flash separati dalla fotocamera impostando l’esposizione manuale. Partiamo da un tempo di posa di 1/200 di secondo. Poi regoliamo la potenza dei flash, il diaframma e la sensibilità fino a quando l’esposizione sarà corretta. Nel nostro caso abbiamo scelto f/6.3 e ISO 400.

4 – Setacciamo la farina

Per essere “scientifici”, abbiamo provato due tipi di farina ma non abbiamo notato grandi differenze tra quella normale e quella con il lievito dosato. Passate al setaccio, rimangono entrambe in aria più a lungo. Il nostro modello ne ha tenuta un po’ in mano per lasciarla andare ballando e saltando.

5 – Scegliamo un abile modello

Uno scatto come questo è possibile solo con un soggetto consapevole dei suoi movimenti. Potendosi fidare della capacità del modello di mettersi in pose interessanti, saremo inoltre più liberi di concentrarci sulla scelta del momento e sulla composizione.


6 – Ritratto creativo: divertiamoci con le luci

Luci di taglio e controluce danno questo contorno chiarissimo sui due lati del corpo. Il modello dovrebbe assumere posizioni che sfruttino al massimo questa illuminazione girando la testa da un lato o dall’altro. Una posizione frontale non funzionerebbe.

 

 

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Come creare il feed perfetto su Instagram: 4 passaggi fondamentali


Hai mai pensato all’importanza del feed di Instagram?

Il feed di Instagram è il biglietto da visita del tuo profilo. È un po’ come accogliere un ospite a casa tua: preferisci accoglierli in una casa ordinata, pulita, con uno stile ben definito oppure in una casa disordinata, con un’accozzaglia di stili e colori?

Ogni elemento di un feed deve avere un senso e dev’essere studiato strategicamente, perché trasmette i valori e la visione del tuo brand: creare un feed coeso e “tarato” sugli obiettivi del tuo business è fondamentale.

Ci vuole pazienza e studio strategico, lo so. Ma un feed con una personalità definita, ti assicuro, non è un’opzione: è una necessità.

Siccome sono qui per aiutarti, eccoti 4 suggerimenti su come creare il feed perfetto su Instagram. Cominciamo?

Consiglio #1: Scegli lo stile del tuo feed

Studiata la strategia di comunicazione, gli obiettivi da raggiungere e i KPI, devi scegliere il modo migliore di comunicare il tuo brand. Su Instagram, questo si traduce anche nella scelta dello stile del tuo feed.

Prenditi il tempo per capire per quale stile optare, se prediligere colori caldi o freddi, se usare pattern oppure no, e scegli la soluzione più consona a rappresentare il tuo brand. Valuta la creazione di una moodboard, che può guidarti nel realizzare un feed con una personalità accattivante e chiara e aiutarti a stimolare la creatività.

Puoi anche prendere spunto da altri, ma senza copiare: piuttosto, “ruba” i concetti che ci sono dietro, studia la coerenza visiva e cerca di dare un’interpretazione alla strategia che potrebbe esserci a monte.

Consiglio #2: scegli i contenuti adatti all’estetica del tuo feed

Hai scelto estetica e stile del tuo feed? Bene, il primo, fondamentale passo è fatto. Ora devi creare contenuti adatti al tuo feed e al tuo pubblico, che aumentino l’engagement arrivando alle persone giuste.

Se il tuo feed ha personalità e “risuona” con i gusti dei tuoi follower, hai fatto centro! Ti consiglio di studiare un po’ di graphic design e fotografia, magari specifica per smartphone: su Instagram conta l’autenticità e non la perfezione, ma conoscere le basi ti aiuterà a pubblicare foto e immagini più efficaci.

Nella tua content strategy dovresti includere anche gli UGC (User Generated Content), i contenuti creati dagli utenti, che hanno un valore elevato perché rappresentano il legame tra te e i tuoi follower e aiutano a rafforzare il rapporto con il tuo pubblico.

Piuttosto, evita le foto stock, quanto di più lontano da un feed con una personalità forte.

Consiglio #3: utilizza i filtri per dare coerenza visiva al tuo feed

Uno dei modi più semplici per dare coerenza visiva al tuo feed è utilizzare i filtri. Evita di cambiare filtro a ogni contenuto: ricordi la similitudine della casa disordinata? Scegli il filtro (o un set di filtri) che più si addice alla personalità del tuo brand e non cambiare.

Per trovare (o creare!) il filtro perfetto, puoi usare app come VSCO, InShot o Adobe Lightroom, che ti offrono, gratis e a pagamento, una miniera di possibilità.

Consiglio #4: Pianifica!

Hai scelto lo stile del tuo feed, il filtro ideale per comunicare il tuo messaggio e trasmettere correttamente la brand personality al pubblico. Non ti resta che pianificare la pubblicazione dei contenuti.

Fare una content strategy è un lavoro fatto di varie fasi: intanto, scegliere i contenuti da pubblicare in base al target (chi voglio raggiungere?), a ciò che vuoi esprimere (cosa voglio dire?) e come vuoi farlo (come voglio dirlo?). Fare un piano e un calendario editoriale a media-lunga scadenza è la giusta mossa per non ritrovarti a improvvisare.

Il tuo feed deve comunicare rapidamente ai follower, nuovi e “vecchi”, cosa vuoi dire e farlo con chiarezza, dando un’immagine chiara e forte del tuo brand.

Rendi il feed coerente, ma non ripetitivo, testa nuovi contenuti e composizioni inedite, pubblica solo contenuti di valore e non contenuti per riempire degli spazi. Per esempio, se vendi dei prodotti, puoi fare un mix tra ciò che offri e contenuti di tipo informativo o ludico, UGC compresi.

 

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Tredici regole per scrivere email aziendali chiare ed efficaci

Le email costituiscono la principale fonte di comunicazione sul lavoro. Quotidianamente scambiamo email con colleghi, dirigenti, clienti e consumatori ma a volte i destinatari non riescono a comprendere i messaggi ricevuti o, peggio ancora, gli scambi si protraggono per infiniti giorni rubando una notevole quantità di tempo a te e al tuo team. Ecco quindi 13 regole per aiutarti a inviare email più chiare ed efficaci.

1. Scrivi la riga dell’oggetto

La riga dell’oggetto è simile a un titolo, in quanto consente di veicolare informazioni sullo scopo del messaggio immediatamente dall’inbox. Evita gli oggetti troppo generici e opta per una subject line più informativa possibile. Se l’email ha per oggetto un generico “Collaborazione” “Foto” o “Messaggio” il destinatario non potrà infatti farsi un’idea del contenuto, rendendo inutile questo elemento. Aggiungi al contrario dettagli informativi come: “Offriamo uno spazio nella nostra rivista” o “Foto per la sezione viaggi”. 

Anche se l’argomento cambia durante lo scambio, non cambiarlo all’interno dell’e-mail. Non mescolare più progetti in un’unica e-mail e non cambiare argomento quando ricevi una nuova domanda. Inizia una nuova serie di email per questa conversazione. Gli autori di Essay Map raccomandano sempre di seguire una regola: per ogni domanda importante ci dovrebbe essere una conversazione separata.

2. Personalizza

Se conosci il nome del destinatario, usa il suo nome quando ti rivolgi a lui. Se i destinatari sono più di uno, elenca per nome tutti quelli da cui ti aspetti una risposta o un’azione. Un destinatario potrebbe pensare che l’email non sia rivolta a lui se viene indirizzata a tutti in modo generico. Inoltre, utilizzare il nome della persona a cui ti stai rivolgendo rende una conversazione di lavoro meno fredda e distaccata, favorendo maggiormente la collaborazione tra colleghi.

3. Vieni al punto

Le email di lavoro devono essere corte e andare dritte al punto. Evita lunghe discussioni e vaghe digressioni che rubano solo tempo prezioso ai colleghi e non sono indispensabili per la tua comunicazione. Scrivi solo ciò che è davvero rilevante per lo scambio e utilizza elenchi puntati e frasi brevi per rendere ancora più leggibile il testo.

4. Indica la data esatta della scadenza.

Evita di utilizzare la parola “urgente” nella riga dell’oggetto o nel corpo del messaggio. Questo concetto è indefinito: per una persona urgente può voler dire un’ora, per un’altra una settimana. Sii specifico sull’ora e la data entro cui ti aspetti una risposta o un risultato e chiarisci sin da subito le eventuali deadline.

5. Formatta il testo

Un testo non formattato risulta difficile da leggere, ragion per cui è bene dividerlo in piccoli paragrafi. Dopo ogni paragrafo, lascia una riga di spazio, poi due dopo il saluto iniziale e prima della firma. Aggiungi una descrizione a ogni link inserito per spiegare a quale documento conduce e perché il destinatario dovrebbe cliccarci sopra. Cerca di non abusare di grassetto, corsivo e colori. Fai sì che il testo risulti sobrio e pulito: si tratta sempre di un’email aziendale.

6. Scrivi in modo neutro e gentile

L’interpretazione di un testo passa sempre attraverso la soggettività del destinatario e, in particolare in uno scambio di lavoro, è importante evitare ogni rischio di fraintendimento e mantenere un clima sereno e un ambiente lavorativo accogliente. Mantieni quindi un tono neutro ed educato in modo da evitare confusione. Se non conosci bene il destinatario, evita di fare domande personali che possano risultare invadenti ed essere interpretate in malo modo.

7. Salva la tua cronologia chat

Mantieni sempre l’intera catena di messaggi precedenti. È facile dimenticare l’argomento di cui stavi parlando con il mittente nel mare di informazioni che accompagnano lo scambio; la cronologia della conversazione ti aiuterà a ricordare e ricostruire i processi. Ciò è particolarmente utile per coloro che ricevono un gran numero di email contenenti problemi e richieste.

8. Firma le e-mail

Il tuo indirizzo email di lavoro dovrebbe avere un nome neutro, ad esempio nomecognome@azienda, e una firma che includa nome, cognome, qualifica ed eventuali contatti. A queste informazioni puoi aggiungere ulteriori dettagli: nome utente in piattaforme di messaggistica o social network, link al sito web aziendale, prodotti e servizi di recente lancio da promuovere.

9. Aggiungi tutti i collegamenti e i file in un’unica volta

A volte capita che solo dopo aver inviato una email si scopra di non aver allegato un file importante o di non aver specificato il link giusto. Molte persone si ritrovano quindi ad allegare file e informazioni supplementari in una email separata: “ecco il documento che ho dimenticato di inviare”. Evita di incappare in queste dimenticanze per non creare una scissione nella corrispondenza: da una parte la discussione, dall’altra i documenti necessari. Così facendo il destinatario non sa a quale email è meglio rispondere.

Per la stessa logica è meglio inviare tutti gli allegati insieme. Se l’email risulta pesante, invia un link ad un servizio di file hosting, ad esempio wetransfer o transfernow

10. Rileggi prima di inviare

Chiunque può fare un errore o commettere un’imprecisione, scrivere in modo ambiguo o spiegare qualcosa in modo non comprensibile. Quindi, rileggi tutto e controlla se ci sono errori prima di inviare un’email. Se si tratta di un’email particolarmente delicata o importante, effettua un doppio controllo: una prima rilettura per identificare eventuali errori grammaticali e una seconda lettura per verificare il tono utilizzato e la sintassi.

11. Rispondi velocemente

I mittenti non si aspettano una risposta immediata alle email, ma stando ai dati quasi la metà dei destinatari risponde alle email entro un’ora. Invia una risposta appena possibile. Se ciò fa parte delle tue responsabilità dirette (se, ad esempio, lavori nell’assistenza o come coordinatore di progetto) cerca di rispondere entro 15-30 minuti.

Se il tuo lavoro principale non richiede che tu ti debba occupare di corrispondenza via email, dedica due momenti della tua giornata a smistare la posta e rispondere. In questo modo non perderai messaggi importanti e manterrai in ordine la tua casella di posta.

Se invece sei tu il mittente e la tua email richiede particolare urgenza, ricordati di impostare una conferma di avvenuta lettura per essere sempre aggiornato su chi ha letto il messaggio e quando.

12. Invia le e-mail durante l’orario di lavoro

Ci sono tre motivi per cui è bene seguire questa regola:

  1. Il suono di notifica può svegliare il destinatario.
  2. Alcune persone trovano inaccettabile scrivere al di fuori dell’orario di lavoro, compresi i fine settimana.
  3. La tua e-mail potrebbe perdersi tra le altre.

Programma l’invio per un momento successivo se stai scrivendo in un orario non lavorativo. In questo modo è più probabile che il destinatario non perderà il tuo messaggio nell’inbox.  

13. Non inviare parole come “Grazie” e “Prego” in un’e-mail separata

Inviare solo un “Grazie”, “Prego” o messaggi simili come risposta non fa altro che distrarre la persona con cui si sta parlando. Meglio ringraziare in occasione dell’invio di ulteriori documenti o della risposta a nuovi quesiti. In questo modo, nell’email si potrà sia esprimere la propria gratitudine che fornire ulteriore valore.


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Che forma ha un nome aziendale?

Questo è il primo di una serie di post che pubblicherò sul naming. 

Molti pensano che per trovare un nome super, ultra, iper, bello ci voglia inventiva.
Vero, verissimo, senza creatività non si va da nessuna parte, ma è anche importante darsi e dare delle regole da rispettare, altrimenti la fantasia corre a briglie sciolte rischiando di produrre nomi poco efficaci.
Alcuni criteri è il cliente stesso a deciderli (io li chiedo nel primo incontro con il cliente, durante la fase di audit), per esempio: “voglio un nome corto, in italiano, che trasmetta gioia e positività”.
Altri hanno a che fare con:

  • l’essere memorabili
  • il significato
  • i valori e il tono di voce dell’azienda
  • la pronuncia

Vediamo insieme questi elementi, uno per uno.

Essere memorabili

Un nome che funziona è quello che riusciamo a ricordarci anche a distanza di tempo, sembra semplice quando lo sentiamo la prima volta (avrei potuto pensarci io, mannaggia) ma in realtà ha una costruzione tosta alle spalle.

I nomi più memorabili sono familiari, ci fanno sentire a nostro agio quando li pronunciamo, trasmettono sentimenti e sensazioni precise.

Come si trova un nome memorabile?

  • Creando delle rime, per esempio Fritto e zitto è il nome simpatico e irriverente che darei a un food truck che vende olive all’ascolana, arancini e altre golosità che prevedono l’uso di una friggitrice.
  • Usando l’allitterazione e, più in generale, tutte le figure retoriche, come ha fatto Dunkin’ Donuts.
  • Giocando con le parole; qui mi viene in mente la panetteria biologica e vegana Breaking Bread di Roma.
  • Iniziando con forza; le ricerche dicono che le parole che cominciano con d, g, k, p, t, v si memorizzano meglio delle altre, è il caso di Glovo o Kodak.

Il significato

Qual è il mondo che si cela dietro al nome di un’attività o un prodotto? Perché è stato scelto proprio quel nome e non un altro?

Il significato, più o meno nascosto, caratterizza la marca, ne definisce valori e aspetti.
Un nome può essere:

  • descrittivo, dice quello che il brand vende senza mezzi termini, come poltronesofà.
  • evocativo, racconta in modo delicato scenari e atmosfere collegate al marchio/prodotto.
  • un acronimo, cioè una sigla che di solito riprende le iniziali del fondatore o di parole descrittive; AEG o LG sono esempi calzanti di questa categoria.
  • inventato, un nome che all’apparenza non ha significato ma che in realtà ha un potere immenso. Qui si gioca con le parole, si fondono termini, si aggiungono o eliminano lettere. Uno dei casi più famosi di nomi inventati? Amazon.

I valori e il tono di voce dell’azienda

Quando si parla di naming, i valori e il tono di voce dell’azienda contano. Eccome se contano. Anche se l’attività è agli inizi e il mercato è nuovo.

L’identità di un’azienda deve essere coerente dall’inizio alla fine, il nome non può essere un’eccezione:

  • Lush è un brand name spumeggiante, leggero;
  • Nike è forte e dinamico.

Tornando all’esempio strampalato di prima, Fritto e zitto non potrebbe mai appartenere a una persona riservata e che si prende troppo sul serio.

La pronuncia

Immagina di essere in cucina a lavare i piatti perché la lavastoviglie si è rotta. L’acqua è aperta e scroscia mentre tu sciacqui la pentola della pasta. In TV passa uno spot interessante, non puoi vedere le immagini ma senti il messaggio, che ti incuriosisce. Alla fine, ecco il nome del brand… solo fai fatica a pronunciarlo. È un’accozzaglia di lettere (sarà con l’h o senza? ci vogliono due e? la prima era una c o una k?) che stride, fai fatica a ricordare.

Un buon nome è musicale, orecchiabile, riesci a pronunciarlo bene da subito anche senza vederlo scritto.

Qualche eccezione, come sempre c’è, conosci Uniqlo? Dell’origine del suo nome te ne parlerò più avanti.

 

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Story telling fotografico: come passare da uno scatto ad una storia

 

Story telling, di sicuro queste due parole non hanno mai goduto di tanta celebrazione come in questi ultimi tempi.

Sembra che tutto si sia trasformato in un immenso calderone narrativo, a volte anche a sproposito, ma si sà, è così che funziona quando un particolare concetto riesce a fare breccia in modo trasversale.

Ecco che assistiamo alla grande abbuffata… fino a quando il fenomeno non scemerà e tutto tornerà nella normalità, fino alla santificazione in salsa (multi)mediatica del nuovo fenomeno.

Una storia può essere ovunque, ma non tutto cela una storia

Proprio perché ottimi spunti per una narrazione fotografica si nascondono più o meno ovunque, il rischio è che molti di noi, soprattutto chi alle prime armi o chi arso dal fuoco creativo, possano cadere nell’errore che basti puntare una macchina fotografica, inquadrare una scena e scattare per ottenere una buona storia,

Sì, le storie sono ovunque, ma non per questo qualsiasi scena nasconde una storia che valga la pena raccontare.

Che cos’e’ una storia?

La definizione di storia più sintetica di cui dispongo è questa: una storia è la narrazione di eventi concatenati, veri o inventati che siano, che si sviluppano secondo una trama.

Ogni storia ha sempre: 

  • un autore, 
  • una trama 
  • un pubblico di riferimento 
  • oltre che spesso, uno scopo.


Se mi concedete un approfondimento nell’ambito della linguistica, una storia rappresenta uno strumento per stabilire una connessione tra l’autore e il pubblico e si basa su un paradosso: per connettersi con il proprio pubblico di riferimento, l’autore deve essere in grado di suscitare un’emozione, ma, al tempo stesso, per emozionare il proprio pubblico, è necessario che l’autore riesca a stabilire una connessione.

Esempio vs. storia

Non si tratta della stessa cosa e ce ne accorgiamo ogni volta che assistiamo ad una noiosissima presentazione costruita soltanto su dati e informazioni crude, prive di qualsiasi aggancio alla nostra sfera emotiva.

Elencare dei numeri non è raccontare una storia, è fare un esempio.

Ma se il nostro relatore è stato accorto e ha saputo introdurre una variabile emotiva nella sua esposizione, un dettaglio o un aspetto capace di suscitare in noi empatia, ecco che passa dal fare un esempio a raccontare una storia.

Introdurre una variabile emotiva nell’esposizione, è raccontare una storia
ed è proprio grazie a questa variabile emotiva che le storie non ci annoiano o ci annoiano un po’ meno degli esempi.

Per cui, potremmo sintetizzare così: STORIA = CONTENUTO + EMOZIONE


 


 

 

 

 

 

 

 

 

Impariamo a scattare una storia 

Ogni volta che parlo di story telling fotografico, mi piace fare spesso paralleli tra la scrittura e la fotografia, prendendo in prestito molti concetti che sono alla base della teoria della semantica e della critica letteraria, oltre che della linguistica.

Personalmente ho sempre fotografato per raccontare storie, che a volte posso paragonare a racconti brevi, nel caso di scatti sciolti e a sé stanti, o a racconti, nel caso di sequenze o brevi reportage, fino a romanzi di un certo corpo, nel caso di progetti più articolati e complessi.

COSA SEPARA UN SEMPLICE SCATTO DA UNA STORIA?

Personalmente credo che, al netto di un solido intento, uno scatto, per tramutarsi in una storia debba essere il prodotto finale di una visione.

Se l’intento risponde alla domanda perché voglio scattare questa scena, la visione risponde inveve a tutte quelle domande che si riferiscono a come voglio scattare questa scena.

Un solido intento e una visione curata bastano per garantire il passaggio da scatto a storia? Purtroppo no, ma ne assottigliano la distanza.

Perché i nostri scatti si trasformino in storie dobbiamo misurarci con il messaggio che intendiamo trasmettere, con la sua capacità intrinseca di interessare il nostro pubblico di riferimento e con l’empatia che il messaggio, attraverso la nostra personale visione è in grado di suscitare.



 

 

 

Le nostre storie sono spesso racconti brevi

Non dimentichiamoci che spesso siamo chiamati a raccontare storie attraverso un solo scatto e che uno scatto, a differenza di un racconto o ancora meglio di un romanzo, può essere paragonato giusto ad un racconto breve.

Come gli autori di racconti brevi, che non possono contare su descrizioni approfondite di luoghi o di personaggi, né tanto meno su introduzioni o digressioni, anche noi scrittori per immagini, story teller fotografici, dobbiamo imparare a gestire al meglio gli elementi che abbiamo a disposizione per raccontare la nostra storia, eliminare quelli superflui, comporre con attenzione, scegliere la tecnica corretta – che deve sempre essere da supporto e mai protagonista.

La capacità di produrre storie fotografiche di qualità dipende sicuramente da un solido intento, da un messaggio in grado di emozionare e di stabilire una connessione empatica per sé e da una visione – che mi piacerebbe non riduceste ad un sinonimo di “esecuzione” – capace di trasmettere il nostro messaggio.

Vediamo alcuni elementi base per fare storytelling con le fotografie:

Il mood
Il mood è l’umore che tira le fila della narrazione.
Creare il giusto mood non è cosa facile in quanto è qualcosa che si percepisce, ma non si vede.

L’idea
Esporre un’idea attraverso la fotografia può essere abbastanza difficile. Una volta che avete una idea, sarà più facile realizzare le vostre foto.

L’emozione

Usate le espressioni facciali se volete che le vostre foto trasmettano le emozioni giuste. Potete anche farlo catturando un’azione eseguita dal vostro soggetto. Ad esempio, dopo aver mostrato un primo piano delle lacrime di una persona, potete mostrare il viso striato di lacrime, oppure gli occhi rossi e gonfi, le sue mani strette a pugno.

Narrazione
Per far funzionare la narrazione delle foto, dovreste avere bene a mente che cose è successo prima che questa persona piangesse. Ad esempio, nel caso di un bambino potreste mostrarlo mentre tiene la mano di sua madre o mentre guarda i giocattoli attraverso la vetrina di un negozio. Dovreste sapere cosa includere o escludere nella scena, però. Non è necessario mostrare la faccia della madre o del padre. Solo uno scatto della mano del bambino e della mano del genitore. Il gioco della narrazione è fatto di dettagli che stimolano la curiosità.

Il messaggio
Trovate un tema per la vostra storia, usando questo tema per stabilire il messaggio che volete trasmettere. Può essere un oggetto, la posizione, i colori, lo stile o una combinazione di tutto questo, degli indizi in modo che chi guarda sia in grado di formulare idee su ciò che può ancora accadere.


Insomma raccontare con le immagini non è una cosa per pigri

Se vi aspettavate un bel decalogo a punti con i dieci trucchetti per raccontare storie fotografiche, temo di avervi deluso.

Purtroppo narrare è un’arte e, anche se qualche trucco del mestiere, in effetti, esiste, molto ha a che fare con il nostro approccio alla fotografia, che non dovrà mai prescindere dalle conoscenze tecniche, ma le cui conoscenze tecniche non bastano.

Un grandissimo fotografo ripeteva sempre “che la tecnica la imparano anche i muli”. Aveva tragicamente ragione, come sempre, ma dietro quella sua ricorrente butade si nascondeva una secondaria che non pronunciava mai e che lasciava soltanto supporre: “ma i muli non sanno fotografare”.

Perché questo è il segreto e la singolarità della fotografia, quella vera, quella che prova a raccontare e ad emozionare.

È un po’ come avere a che fare con un cocktail, 1/3 di tecnica, 1/3 razionalità, 1/3 di emozione e una spruzzata di culo (nel senso di “fortuna”).

Ecco, questo cocktail, credo rappresenti piuttosto bene la fotografia, per come la intendo, ma l’aspetto ancora più delizioso, empirico, intimo e singolare, che rende la fotografia ancora di più una questione personalissima, è che nessuno di quei terzi è mai davvero 1/3.


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Qual è la migliore apertura per i ritratti?


Di solito la scelta dell’apertura del diaframma migliore per i ritratti non è qualcosa di complicato, basta seguire alcune linee guida e otterrai scatti sbalorditivi. 

Perché l’apertura è importante nella fotografia di ritratto?

L’apertura è davvero molto importante, è una delle 3 componenti principali dell’esposizione fotografica, quindi se non si ottiene un’apertura corretta si rischia di ottenere una foto o troppo scura o troppo chiara.

Inoltre, l’apertura influenza direttamente la velocità dell’otturatore e l’ISO.

È molto importante perché indirizza l’attenzione dello spettatore sul soggetto e regola la profondità di campo per ottenere una giusta quantità di sfondo sfocato.

I migliori obiettivi per ritratti hanno aperture ampie che vanno dai F2.8 a F1.2. Con queste lenti puoi scattare praticamente in qualsiasi condizione di illuminazione.

Ma mentre consideri qual è il diaframma migliore per i ritratti devi calcolare anche la lunghezza focale degli obiettivi e a quale distanza sarai per scattare le foto.

Ricorda che un’ampia apertura su un obiettivo da 35 mm non sfoca lo sfondo tanto quanto un’apertura ampia su un obiettivo da 85 mm. 

Lunghezze focali maggiori richiedono velocità dell’otturatore elevate per ridurre le vibrazioni e non rischiare di scattare fotografie mosse, a meno che l’obiettivo o la fotocamera non abbiano una stabilizzazione a bordo. 

Di solito le aperture ampie possono aiutare a ottenere quelle velocità dell’otturatore elevate senza mettere un ISO elevato.

L’apertura migliore per i ritratti singoli è sicuramente da f / 2 a f / 2.8 mentre se stai fotografando due persone i consiglio f / 4, più di due persone, scatta a f / 5.6.

Ovviamente non sono le uniche aperture da utilizzare perché ci sono altri elementi da considerare ma se vuoi ottenere risultati quasi sicuri, non puoi sbagliare con questi valori di base perché ti aiuteranno a garantire che i tuoi ritratti siano nitidi e i tuoi soggetti siano a fuoco.

La migliore apertura per i singoli ritratti

La profondità di campo è sottile a diaframmi ampi ed è meglio iniziare con un valore un po‘ più piccolo del valore di apertura massima dell’obiettivo per assicurarti che tutta la composizione sia a fuoco.

Ad esempio, se usi un obiettivo principale da 35 mm, puoi andare fino a f / 1.8 o più ampio e mantenere a fuoco gran parte del soggetto.

Un consiglio: alcuni obiettivi, in particolare gli zoom meno costosi perdono nitidezza alle massime aperture e per questo motivo consiglio di scattare sempre in modo conservativo e di non andare sempre il più ampio possibile.

Ogni obiettivo è diverso, prova diverse aperture, è proprio questa la differenza principale nella qualità degli obiettivi tra Nikon, Canon, Sigma e Tamron.

La migliore apertura per foto di gruppo

Scegliere l’apertura corretta per foto di gruppo dipende da una serie di fattori, di solito con F/4 vai sul sicuro, hai una buona profondità di campo e produce un ottimo risultato.

Di solito quando si fotografa un soggetto, è essenziale mettere a fuoco gli occhi, ma quando fotografi dei gruppi vuoi che gli occhi di tutti siano a fuoco, proprio per questo la profondità di campo dovrebbe essere ampia con la conseguenza di un’apertura più piccola.

Per quanto riguarda la profondità di campo puoi stare tranquillo, di solito sarai posizionato lontano rispetto ai soggetti e questo aumenterà la profondità di campo in modo naturale e l’apertura f / 4 offrirà un ottimo equilibrio tra la sfocatura dello sfondo e la nitidezza dei soggetti.

La migliore apertura per i ritratti ravvicinati

Fare ritratti molto ravvicinati, sia con lenti macro o filtri close-up, può essere estremamente difficile. Non te lo immaginavi vero? Questo perché la profondità di campo è incredibilmente sottile. 

Aperture ampie aumentano questo problema, quindi è meglio scattare in condizioni di buona illuminazione e utilizzare un’apertura piccola come f / 5.6.

Conclusione

Scegliere la migliore apertura per i ritratti non è difficile, ma richiede un po ‘di esperienza e pratica come ti ho detto inizialmente, il mio consiglio è quello di partire con i valori che ti ho indicato e modificarli a seconda del tuo stile.

Non puoi sbagliare scattando a F2.8, quindi parti da questa base, per poi osare e capire qual è l’apertura migliore nel tuo caso, dosando bene il risultato tra nitidezza e profondità di campo finché non ottieni il risultato che ti piace di più.

 

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I 10 comandamenti della comunicazione visiva


La comunicazione visiva Ã¨ la trasmissione di un messaggio tramite un’immagine (perciò è chiamata a volte comunicazione iconica, dal greco eikon, “immagine”), che rappresenta in maniera metaforica la realtà. La comunicazione per immagini permette di raggiungere il massimo effetto comunicativo nel più breve tempo possibile, grazie al suo forte potere di richiamo, alla sua immediata comprensibilità e alla facilità di memorizzazione. L’approccio iconologico permette di occuparsi di segni: elementi che significano qualcos’altro rispetto al fenomeno stesso.

Nella vita di tutti i giorni ci troviamo a confronto con innumerevoli esempi di comunicazione visiva. Pensiamo, per esempio, alla segnaletica stradale orizzontale e verticale, oppure ai cartelli indicatori presenti nei luoghi di grandi ritrovi come gli ospedali e gli aeroporti. Nella progettazione e realizzazione di qualsiasi tipo di cartellonistica è fondamentale prevederne l’efficacia comunicativa.

A livello corporate, la comunicazione visiva è fondamentale per il successo di ogni azienda, grande o piccola che sia. Il farsi distinguere, valorizzando i propri punti di forza e comunicarli con una immagine non è scontato e nemmeno semplice, occorre studio, analisi e capacità di sintesi grafica. Può risultare critica anche nella fase di definizione di un logo, di studio di un packaging, di un catalogo per i distributori ed in altre molteplici occasioni, affiancandosi a tutto il resto delle azioni di marketing e commerciali per ottenere il successo del proprio prodotto o servizio. Una buona immagine, infatti, conferisce un grande valore al brand, lo fa conoscere, riconoscere e distinguere rispetto ai competitor, aggiungendo valore commerciale al servizio o prodotto proposto dal cliente.

Ma come possiamo essere sicuri di realizzare una comunicazione visiva efficace? Iniziamo mettendo in fila le 10 regole di base che è fondamentale seguire.

1- COLORI

Considera la ruota dei colori come tua alleata e cerca di usare colori complementari, contrastanti o le regole della triade. In generale, meglio utilizzare i colori con moderazione: non più di 3 in un singolo layout, massimo quattro, per non creare un effetto carnevale, che è fortemente sminuente dal punto di vista estetico e, soprattutto, da quello della chiarezza del messaggio. Se poi si riesce a lavorare sulle tonalità invece che su colori, tanto meglio.
La scelta del colore deve essere meditata, già a partire da un logo e dalla conseguente immagine coordinata (sito internet, biglietti da visita, strumenti, ecc.). La scelta del colore sbagliato corre il rischio di farci comunicare anche il messaggio sbagliato. I colori, infatti generano una risposta psicologica, hanno un significato nella varie culture e rappresentano un messaggio. È stato dimostrato che il colore ha effetti diretti sulla percezione (in particolare su quella del sapore e dell’appetibilità degli alimenti), sull’umore e sul comportamento.

 

2- TIPOGRAFIA

Impara a conoscere le famiglie di font, gioca sui contrasti senza scegliere font troppo diversi tra loro. Scegli massimo due font e pesa con saggezza l’uso che ne vuoi fare. E per favore, non usare il Comics.

Esistono due grandi famiglie di caratteri: graziati (Serif) e senza grazie (Sans Serif). Le grazie sono degli orpelli ornamentali alle estremità delle lettere. Un font Serif molto noto, ma anche piuttosto banale, è il Times New Roman (i Sans Serif probabilmente più diffusi sono invece il Verdana e il Calibri). Nella scelta del font per la nostra grafica, è sempre bene tenere presente che alcuni di essi rendono difficile distinguere alcune lettere come ad esempio la lettera i maiuscola (I), il numero uno (1) e la lettera elle minuscola (l).

In genere, i lettori web preferiscono i caratteri senza grazie soprattutto per testi lunghi. Potremmo fare uno strappo alla regola usando i caratteri Serif per i titoli perché sono brevi e generalmente stanno in un’unica riga.


3- FORME

Tutte le forme comunicano. Impara ad usarle nel posto giusto al momento giusto. L’occhio di un normale utilizzatore di internet o, più semplicemente, di un fruitore di un messaggio di comunicazione, ha imparato negli anni ad associare ad ogni forma un determinato significato. Fa parte della comunicazione non verbale, riconosciuta a livello globale. Il triangolo ad esempio è una forma che ispira dinamicità che stimola all’azione (ad esempio le frecce), ma è anche aggressiva. Il cerchio, diversamente, è un segno che proietta sull’utente un’immagine positiva e rassicurante.

 

4- GERARCHIA

Per te e per il tuo cliente è importante governare la lettura di una pagina web. Questo è possibile rispettando una gerarchia tra i vari contenuti. Una visualizzazione triangolare è preferibile quando hai pochi elementi, la proporzione aurea aiuta a creare un ambiente piacevole, mentre se vuoi focalizzare un particolare elemento, come un bottone, mettilo in evidenza rispetto agli altri contenuti che potrebbero distrarre la navigazione. Ricorda che la visualizzazione di una pagina è una questione di secondi ed è quindi molto importante arrivare al punto il prima possibile. Proprio per questo motivo non possiamo permetterci di disperdere l’attenzione del nostro lettore, sia con aspetti grafici che con accorgimenti di copywriting fuorvianti. Sarebbe sbagliatissimo utilizzare i grassetti in modo casuale, come pure le evidenziazioni, che devono essere utilizzate in modo sporadico per avere l’effetto che vogliamo ottenere. Eleganza ed efficacia fanno rima con semplicità.

5- LINEE

Il layout di strumenti cartacei e pagine web deve essere studiato ripartendo meticolosamente gli ingombriCome per le forme, anche le linee comunicano, ecco perché se vuoi andare dritto al punto, conviene essere lineari, sia orizzontalmente che verticalmente. Mentre se vuoi che il tuo utente segua un determinato percorso lo puoi guidare con linee convergenti o divergenti. Anche il ritmo è importante quindi rispetta le regole che ti sei dato in termini di spaziatura, proporzionalmente alla dimensione dei font.

6- ICONOGRAFIA

Dal punto di vista della comunicazione visiva, l’iconografia ha un valore strategico: quello di comunicare immediatamente e trasversalmente un messaggio. Un simbolo, di fatto, è come un’ideogramma: dovrebbe poter essere immediatamente convertito in parole, anche in assenza di una codifica ufficiale. Per questo è importante rifarsi, per quanto possibile, all’iconografia più diffusa. Se si sfrutta il mapping naturale tra l’azione che si può compiere e l’icona che deve rappresentarla si ottengono icone intuitive che riducono al minimo lo sforzo interpretativo dell’utente e non lo costringono ad imparare nulla di nuovo. Un esempio di mapping naturale applicato alle icone è l’uso del “cestino” o del “carrello”.
Dato dunque per assunto che ci rifaremo a modelli di icone universalmente riconosciuti e immediatamente comprensibili, quello che possiamo fare per rendere meno banale la nostra  comunicazione visiva è creare delle icone personalizzate, per esempio che richiamino i colori sociali della nostra azienda o che riprendano un elemento grafico del nostro logo e che, necessariamente, mantengano uno stile coerente con quello del resto della nostra comunicazione.

7- CONTRASTO

Molto spesso il contrasto è un opzione che ti puoi dare per separare o evidenziare i contenuti, soprattutto nel testo: prova a giocare con “bold”, “light” all’interno della stessa frase. Anche la disposizione differente può tornare utile in una pagina per orientare la lettura e stimolare l’interazione, ad esempio un form contatti che entra lateralmente.

Nella scelta cromatica, optare per due colori complementari – ovvero che, se giustapposti, raggiungono il loro massimo grado di luminosità – otterremo un effetto di sicuro impatto. Dal punto di vista fisiologico poi l’occhio esige l’integrazione di ogni colore con il suo complementare e, se non c’è, se lo rappresenta come se ci fosse.
I colori complementari, usati in giusti rapporti quantitativi, danno effetti di solida staticità. Infatti conservano inalterata non solo la loro luminosità, ma anche la loro essenza cromatica. Volendo sfruttare appieno il contrasto dei complementari, oltre ai colori puri, si possono utilizzare le loro gradazioni intermedie in funzione mediatrice e di equilibrio perché con la loro affinità ad entrambi i colori in contrasto, li unificano in un complesso omogeneo.

8- ORDINE

Gli elementi devono essere allineati in qualche modo. Datti una regola e seguila come un mantra. Crea una griglia dove lavorare e inserisci gli elementi rispettando gerarchie e pesi, oppure, se preferisci, allinea tutto al centro. La cosa importante è scegliere una regola di lettura. Per l’utente sarebbe odioso dover resettare il proprio stile di lettura pagina dopo pagina, nello stesso sito web.
La maggior parte delle informazioni che un sistema trasmette al suo utente sono veicolate da display video di varia forma e dimensione. L’usabilità di questi sistemi dipende quindi in modo considerevole dalla loro interfaccia grafica.

9- PESI

Fai attenzione al peso che deve avere il testo. Poche ma attente scelte, fanno la differenza. Anche da un punto di vista SEO, rispetta le regole h1, h2, h3, … Inutile dire che, oltre a valutare cosa è più e meno importante e valutarne di conseguenza la visibilità, andranno anche equilibrati i quantitativi di testo e immagini, sulla base dell’obiettivo della pagina che stiamo costruendo.
Il designer della comunicazione deve prendere decisioni calcolate su come dare priorità al contenuto e guidare gli utenti, creando percorsi per portarli nella direzione desiderata. Deve prestare attenzione al peso degli elementi grafici e testuali e distribuirli in maniera appropriata.

10- SPAZIO

La pagina web è il foglio bianco che devi saper riempire, senza esagerare. Anche lo spazio bianco ha la sua importanza. Non farti prendere la mano riempendo l’intero spazio di immagini, testi, bottoni che creano solo confusione e disturbano la vista. Attenzione, non essere nemmeno troppo minimal, o potresti non essere compreso. Dipende molto dal tipo di sito che si vuole ottenere e dal settore di appartenenza. C’è un legame tra le due cose, in quanto l’utente ha delle aspettative che devono essere rispettate. Un po’ come nel caso delle forme geometriche.
Perché è importante il cosiddetto Native Space (spazio vuoto che circonda un elemento visuale)? Perché la nostra grafica ha bisogno di aria per emergere ed essere davvero efficace nel comunicare i concetti che intendiamo trasmettere. Riempire troppo un layout significa limitare significativamente la visibilità di ogni elemento, e risulterà quindi controproducente sul piano comunicativo.