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Rebranding: gli Epic Fail di alcuni grandi marchi

 


Nei giorni scorsi, abbiamo parlato di rebranding, spiegando cos'è e come e quando farlo. In effetti di Rebranding ne abbiamo visti tutti – Zara che riduce le spaziature tra i caratteri del suo marchio, McDonald’s che elimina il colore rosso dal suo iconico logo, e ancora Apple che elogia il minimalismo eliminando il multicolor dalla mela morsicata – ma nonostante ne sia pieno il mercato non va sempre tutto secondo i piani. In questo articolo troverai qualche Epic Fail di grandi marchi e come imparare dai loro errori.

I casi di INsuccesso 

Mio padre (😉 credo non fosse suo il copyright) diceva sempre che dagli errori si impara – anche se sono quelli degli altri – per questo vediamo alcuni casi di Rebranding che era meglio evitare:

Pepsi

pepsi rebranding

Tu lo vedi il sorriso?
Fin dalla nascita Pepsi lotta per la sua identità – sappiamo bene che il suo competitor principale non molla la presa – e l’evoluzione del marchio è una storia che iniziò parecchi anni fa ma l’esperienza in materia di Rebranding non è bastata per fare un buon lavoro. 

Nel 2008 è stata rilasciata la sua ultima versione: modifica del font e rotazione del logo, l’idea era quella di renderlo un “cheeky smile”, lo hai notato? Molti non ne sono convinti e hanno lasciato spazio alla creatività.

Interpretazioni scherzose dello smile Pepsi

Interpretazione scherzosa del logo pepsi

The white stripe on the new logo varies across Pepsi products, getting wider or thinner depending on product. The design team that sparheaded the campaign explains that they’re supposed to be “smiles”, but we don’t really see it.

– Forbes Magazine

 

Kraft Food

kraft logo

L’international Food&Drinks company cambiò rotta, ma solo per poco. I consumatori, senza esitazione, smontarono l’entusiasmo del cambiamento, dopo soli 6 mesi Kraft decise di tornare sui propri passi (o quasi) per recuperare l’identità persa.
Ma cosa ci sarebbe di così sbagliato nel nuovo logo, così diverso dall’originale? Forse proprio questo!
La percezione dei consumatori del brand originale è stata definita come uno “smack in the face”  (schiaffo in faccia) potente e subito riconoscibile, con il Rebranding invece il brand ha cambiato energia risultando generico e patetico, complice anche la scelta dei caratteri, Tekaton e Papyrus, molto discutibile. 

Tropicana 

tropicana rebrand

Nel 2009 l’azienda si lanciò nel mercato con un drastico Rebranding, modificando packaging, logo e stile comunicativo, ma tutti questi sforzi potevano essere tranquillamente evitati.

I consumatori si trovarono di fronte a un prodotto che non riconoscevano più, smettendo quindi di acquistarlo. Questo ha generato un calo del 20% delle vendite per un valore di 30 milioni di dollari, il crollo della brand awareness, nonché conseguenze negative alla reputation aziendale. 

Un bel regalo per i competitors che si sono acchiappati le quote di mercato del colosso americano. Ma questo incubo non durò molto, nel 2009 Tropicana ripristinò il suo vecchio logo tornando il prodotto di punta tra i succhi di frutta.

Mastercard

mastercard rebrand

Anche i migliori sbagliano, Mastercard* nel 2006 ha avuto la (non tanto) brillante idea di fare Rebranding del suo riconosciuto marchio. Questo remake è costato all’azienda quasi 10 milioni di dollari che era meglio investire in altre attività. Il pubblico, infatti, non apprezzò il cambiamento definendo il marchio confusionario e poco chiaro. Ecco che la multinazionale fece un passo indietro ri-adottando le vecchie caratteristiche del brand.

Royal Mail

RoyalMail rebrand

Un salto nel vuoto non irrilevante per la Royal Mail* – il servizio postale britannico, inizialmente al solo servizio reale – che nel 2002 cambiò drasticamente il suo nome in Consignia creando scompiglio e difficoltà di riconoscimento, complice anche la quasi assente campagna di comunicazione. La Royal Mail, però, è tornata indietro in solo un anno consapevole dell’errore. 

5 consigli per un’ottima strategia di Rebranding 

Dai casi di insuccesso appena visti possiamo trarre delle conclusioni su come è bene non fare rebranding:

  1. Make it easy: semplificazione anziché complicazione, questa è una regola fondamentale, soprattutto quando il logo è internazionale. È importante rendere il logo più comprensibile e chiaro, senza inserire elementi superflui che finirebbero per complicarlo;
  2. Cambiare logo è un azzardo, e qui non stiamo giocando. Ogni attività che comporta uno sforzo, in questo caso far sì che il consumatore riconosca e associ il nuovo logo all’azienda, non è apprezzata dal nostro cervello che di sforzarsi non ne ha voglia. Quindi si può fare ma solo se strettamente necessario;
  3. Ma…prima di iniziare con il Rebranding assicurati di aver compreso la percezione del brand e del prodotto nella mente dei consumatori, e chiediti se è davvero necessario agire;
  4. Assicurati che ogni attività di Rebranding sia sempre seguita da una campagna di comunicazione, soprattutto quando l’attività è radicale;
  5. Non dimenticare i valori e la mission che accompagnano il tuo brand, questi devono venire trasferiti sul nuovo logo.

Per concludere, l’attività di Rebranding non è cosa semplice e non sempre, nonostante l’esperienza, le cose vanno secondo i piani. Non esistono delle azioni giuste o sbagliate, esistono circostanze diverse che devono venire valutate prima di agire, analizzando l’ambiente competitivo ed eventuali pro e contro che la strategia può portare con sè.

Migliorare il legame emotivo

Ma se non ti è ben chiaro cos’è il Rebranding, ecco la risposta.

Partiamo dalle basi: il Rebranding è una strategia di marketing che ha lo scopo di riposizionare nel mercato e nella mente dei consumatori un brand già esistente. Questo avviene nel concreto con la modifica dell’identità del marchio ovvero dei segni distintivi di un’azienda come, ad esempio, il logo o lo stile comunicativo. 

Il Rebranding è una strategia dinamica che può avvenire sia in breve tempo sia in tempi più lunghi e può essere sia radicale sia quasi impercettibile agli occhi dei consumatori.

Non solo, il Rebranding può essere Proattivo quando la scelta di agire parte dall’azienda stessa, per migliorarsi, crescere o conquistare nuove quote di mercato o Reattivo quando sono le circostanze esterne che “obbligano” ad agire per resistere e cavalcare i trend del mercato. 

Quindi, per concludere, perché un’azienda dovrebbe fare rebranding? Semplice:

  • Il pubblico o l’azienda sono cambiati e la brand identity non rispecchia più il business e i consumatori target non si sentono più rappresentati da quell’immagine aziendale; 
  • Il Logo è obsoleto quando la grafica non è più attuale;
  • Le tendenze si evolvono e per seguire le esigenze dei consumatori è necessario stare al passo con il cambiamento per non risultare obsoleti;

E qualcuno però ci è riuscito:

Oltre ad aver visto come NON fare dobbiamo anche imparare dai migliori. Ecco due casi di successo che molto probabilmente avrai notato:

McDonald’s non serve più cibi di bassa qualità

macdonald rebranding

La catena di fast food più famosa al mondo viene etichettata come distributrice di cibi dove la qualità non è il suo punto di forza. Negli anni però, McDonald’s ha capito che adattare l’offerta alle richieste dei suoi consumatori era fondamentale per non perdere la posizione competitiva. Dagli inizi del 2000, infatti, iniziò a servire cibi più sani, e per far percepire questi cambiamenti ai consumatori decise di intervenire anche sul logo, la celebre “M” gialla affiancata dal colore rosso non comunica in modo ottimale la scelta dell’azienda, ecco che inizialmente viene rimosso il colore rosso, e successivamente inserito il colore verde, il colore della natura. 

Dropbox

dropbox rebranding

La Dropbox inc. non ci è andata con i piedi di piombo, l’evoluzione del suo logo iniziò nel 2008 per concludersi nel 2017 modificando lievementi tutti gli aspetti del marchio. Nello specifico:

  • La scatola, prima tridimensionale, è ora è piatta e priva di profondità;
  • La palette di colori, prima sfumata sia sulla scritta sia sul logo, è stata sostituita da colori piatti;
  • Il carattere è più semplice e di facile lettura.

Questo è un esempio di Rebranding difficile da percepire in quanto le modifiche non sono state drastiche, ma nonostante ciò è stato fatto un ottimo lavoro, semplificando la percezione dei consumatori eliminando elementi di confusione.

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Copywriting Persuasivo: 10 dritte per scrivere testi (davvero) coinvincenti

 


Il Copywriting Persuasivo è la scrittura dei testi che conducono a, conducono verso. È quel susseguirsi di parole, di emozioni e di storie che ti conducono in un viaggio e ti inducono all’azione.

Lo sai che, al di là di fantasie e di per sentito dire, ci sono molte tecniche e altrettanti accorgimenti che puoi e che devi seguire per rendere i tuoi testi persuasivi? In questo articolo ti indicherò le dritte più importanti per un copywriting persuasivo realmente efficace. Ma, prima di addentrarci nel concreto, capiamo insieme cos’è il copywriting, realmente.

 

Cos’è il Copywriting

Il Copywriting è la capacità di scrivere testi persuasivi, che hanno l’obiettivo di catturare l’attenzione delle persone, di condurle in un mondo emozionante, di convincerle a risolvere un problema e, infine, di indurle all’azione. Il Copywriting, dunque, persuade, termine che deriva dal latino persuadere, da per+suadere, ovvero consigliare, convincere. Ecco, il copywriting consiglia per convincere. E non è certo un caso che alla base dell’attività di copywriting vi siano il metodo, la strategia, la creatività e l’impiego di precise tecniche.

Per scrivere un testo persuasivo è fondamentale conoscere approfonditamente e dettagliatamente il target di riferimento e anche l’obiettivo che il testo deve raggiungere, ovvero l’azione concreta che la persona deve compiere (scarica il manuale, iscriviti alla newsletter, acquista ora, prova gratuita, ecc.).

Bene, ora vuoi sapere come scrivere testi persuasivi? Qui troverai 10 pratiche dritte per un copywriting capace di condurre l’utente dritto all’azione.

 

1. Punta sul beneficio e non sulla caratteristica

Una regola basilare di un copywriting persuasivo è richiamare l’attenzione sul beneficio che il prodotto o il servizio offre al suo target di riferimento, piuttosto che sulle caratteristiche. Ti faccio un esempio concreto. Pensa di vendere ferri da stiro, probabilmente saresti portato a descriverne la potenza, la capacità di pressione, la capienza della caldaia. Ed invece sai cosa fa un buon copywriter? Piuttosto che soffermarsi sulle caratteristiche tecniche del prodotto mette in risalto il beneficio concreto che apporta alle persone: lo sai che il nostro ferro da stiro ti permette di stirare con facilità camicie e pantaloni grazie all’elevata temperatura che riesce a raggiungere? Oppure: stanca dei soliti pesanti ferri da stiro? Il nostro ferro XY pesa xxx in meno.

Concentrare l’attenzione sul beneficio ha diverse importanti conseguenze nella testa delle persone:

  • spiega qual è il vantaggio reale e concreto che il prodotto o il servizio può riservare loro;
  • li convince che quel prodotto o servizio può davvero risolvere il loro problema;
  • mette in risalto le caratteristiche che differenziano il prodotto o il servizio rispetto alla concorrenza.

 

2. Il Copywriting Persuasivo motiva

Per convincere le persone a compiere un’azione devi ricordare loro che hanno un problema impellente da risolvere ma devi anche fare qualcosa in più: devi motivarle per risolverlo. Cosa vuol dire? Che devi stimolarle per indurle ad agire, devi raccontargli con convinzione in che modo possono migliorare la loro vita se acquistano il tuo prodotto o il tuo servizio . Un esempio: segui il webinar e impara subito 5 trucchi per ottimizzare le tue Landing Page.

 

3. Attenzione – Emozione – Ragione: gli step di attivazione del Copywriting Persuasivo

Questi sono gli step che il tuo Copywriting deve attivare per essere persuasivo. La prima cosa che il tuo testo deve fare è attrarre l’attenzione del lettore, compito tanto più difficile se pensi che oggi siamo sommersi da contenuti di ogni tipo. A ciò si aggiunga la facilità dell’utente nello scorrere velocemente i feed delle notizie, nel cambiare pagina, nell’essere attratto da altre cose. Il secondo step, immediatamente conseguente e alle volte contemporaneo al primo, consiste nel suscitare le emozioni, nell’attivare la parte emozionale delle persone, che è quella che spinge ad agire. Infine, il tuo Copywriting deve far entrare in gioco la ragione, che ha un compito fondamentale: giustificare e consolidare le scelte che l’emozione ha compiuto.

 

4. Come attrarre l’attenzione con il Copywriting Persuasivo

Attrarre l’attenzione delle persone è probabilmente il compito più difficile in un’epoca in cui siamo pervasi dagli stimoli e il nostro tempo è diventato la risorsa più preziosa di cui disponiamo. Ecco perché, quando scrivi, è molto importante fare subito presa su alcune esche. Qualche tecnica che può aiutarti a catturare l’attenzione e l’interesse delle persone?

Comincia il copy con una domanda diretta, chiara, semplice e specifica. Sei un ingegnere? oppure Hai la pelle secca e vuoi risolvere il tuo problema? o ancora Il tuo sogno è una vacanza rilassante in riva al mare? Come puoi notare, in tutti e tre i casi le domande sono di facile comprensione, si rivolgono all’utente in maniera diretta ed esplicita e scendono nel dettaglio, identificando subito:

  • la persona che può essere interessata (un ingegnere, non un qualunque professionista);
  • oppure il problema che possono rivolvere (problema con la pelle secca, non problema epidermico in generale);
  • o il desiderio che possono realizzare (la vacanza è rilassante e in riva al mare, non è una vacanza in montagna e non è una vacanza adatta a chi ama il divertimento sfrenato).

La specificità è fondamentale per attrarre l’attenzione delle giuste persone a cui rivolgere il contenuto, ovvero delle persone con cui davvero ti importa costruire una relazione.

Un’altra tecnica che può essere utilizzata sono i numeri: comincia la frase con un numero, ma prima accertati che sia vero e reale. Inoltre, usa le cosiddette parole esca (gratis, posti limitati, fino a esaurimento scorte, ecc.) e, se è il caso, scrivile in maiuscolo (senza esagerare, mi raccomando).

 

5. Come suscitare l’emozione con il Copywriting Persuasivo

Lo sai che l’80% delle nostre scelte quotidiane è dettato dalle emozioni, vero? Sono queste che ci inducono ad agire. Come sostiene Daniel Goleman nel suo Intelligenza Emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici,

Tutte le emozioni sono, essenzialmente, impulsi ad agire; in altre parole, piani d’azione dei quali ci ha dotato l’evoluzione per gestire in tempo reale le emergenze della vita. La radice stessa della parola emozione è il verbo latino moveo, muovere, con l’aggiunta del prefisso e- (movimento da), per indicare che in ogni emozione è implicita una tendenza ad agire.

Le emozioni, dunque, preparano il corpo ad un’azione e ognuna di queste ha un compito diverso e ben specifico. Ad esempio, la paura pone la nostra attenzione sul pericolo, sulla minaccia, suggerendoci che dobbiamo fare qualcosa per risolverla; la felicità è uno stato di benessere che predispone positivamente ad un’azione; la sorpresa ci induce a ragionare rapidamente su quale possa essere la migliore reazione a quell’improvviso avvenimento.

Come il Copywriting Persuasivo suscita le emozioni

In che modo il Copywriting può suscitare le emozioni delle persone? Utilizzando diverse tecniche. Un ruolo molto importante spetta allo Storytelling, che non solo è l’arte di raccontare una storia emozionante, ma che fa anche qualcosa di molto più importante: induce le persone a immedesimarsi in quella storia, a sentirsi protagonista di quell’avventura. Così, se l’eroe ha un problema da risolvere e il fido aiutante giunge in suo soccorso con un magico e potente strumento risolutore (un po’ come la bacchetta magica della fata di Cenerentola), allora anche chi legge la storia sarà indotto a sentirsi nei panni di quell’eroe che aveva un problema e che ora l’ha risolto proprio grazie all’aiutante e al suo strumento.

Altrettanto importante è il ruolo delle leve della persuasione (a tal proposito ti consiglio di leggere il libro di Robert Cialdini, le Armi della Persuasione). Si tratta di stimoli che agiscono a livello inconscio (è qui che assumiamo il 95% delle nostre decisioni) e ci inducono ad agire.

 

6. Come stimolare la ragione con il Copywriting Persuasivo

Dopo aver attratto l’attenzione e attivato l’emozione, il Copywriting persuasivo deve stimolare la ragione perché questa ha il compito fondamentale di confermare e di consolidare la scelta che l’utente precedentemente ha deciso sul piano emotivo. Questa scelta ora deve essere confermata da argomentazioni razionali e concrete, deve essere testimoniata da numeri e, se possibile, da persone, ovvero i testimonial, che attivando il meccanismo della riprova sociale hanno un ruolo molto importante nel convincere le persone che la loro è una scelta giusta (se Maria, Alberto, Teresa hanno scelto X e hanno vissuto un’ottima esperienza/hanno risolto il loro problema/hanno realizzato il loro sogno, allora anche per me sarà lo stesso).

 

7. Poni l’attenzione sul problema

Porre l’attenzione sul problema che ha una persona, ricordargli quanto ha voglia di risolverlo e quanto è importante per lui trovare la strada giusta, ha due risvolti importanti:

  • attiva la paura, emozione che spinge ad agire per trovare la via di fuga migliore;
  • valorizza la soluzione che proporrai all’utente e lo indurrà all’azione.

Il meccanismo che guida la scrittura di un testo persuasivo è: hai questo problema, lo devi risolvere per evitare che determini la conseguenza X (paura), quindi devi trovare la soluzione adeguata e devi farlo in tempi brevi. Ecco, questa che ti sto offrendo è la soluzione migliore per te, per risolvere il tuo specifico problema.

 

8. Rimarca che tu sei il detentore della soluzione

Quando scrivi un testo persuasivo, in ogni parola, pensiero e contenuto, deve essere ben chiaro che l’utente ha un problema che vuole e che deve risolvere e che tu sei il detentore della soluzione a lui più idonea, quella che può soddisfare realmente i suoi desideri, quella che può risolvere concretamente le sue difficoltà, quella che può essere la chiave d’accesso nell’universo dei suoi sogni. Tu hai la soluzione.

Attento a non esagerare, però. Essere il detentore della soluzione non deve trasformarti nel re assoluto del regno: mantieni sempre la tua vicinanza con il lettore, sii umile e discreto, non essere eccessivamente autoreferenziale e non rimarcare di continuo che sei il migliore del mondo.

 

9. Conquista la fiducia

Vuoi davvero vendere il tuo prodotto o il tuo servizio? Ti sarà impossibile riuscirci se prima non avrai conquistato la fiducia delle persone. E, cosa fondamentale, dovrai farlo con verità, onestà e trasparenza. Mai prendere in giro un utente o un cliente, sta’ pur certo che se ne accorgerà e tu non solo avrai perso lui ma anche dovrai affrontare un danno di reputazione e di immagine che difficilmente riuscirai a risolvere. Ricorda, in Rete il passaparola (positivo o negativo che sia) viaggia alla velocità della luce.

Come convincere le persone a fidarsi di te? Non sempre (o meglio quasi mai) ti sarà possibile farlo al primo contatto. Alle persone serve tempo per conoscerti, per capire chi sei, per capire cosa fai, per rendersi conto che sei effettivamente il detentore della loro soluzione e che non le stai prendendo in giro. E serve tempo per ascoltarti, parlare, affezionarsi a te e convincersi. A meno che tu venda un prodotto di impulso o un prodotto o un servizio che ha un costo irrisorio, è molto difficile vendere al primo contatto. Ma puoi lavorare per conquistare la fiducia delle persone a piccoli step, contenuto dopo contenuto, parola dopo parola, ed è un po’ questo che fanno le strategie di Lead Generation, conquistando persone interessate alla tua offerta e poi coltivando la relazione con loro.

Gli strumenti a tua disposizione per convincere le persone sono: le parole, le testimonianze di altre persone, i doni gratuiti (come le risorse informative, le guide, gli e-book, i video di approfondimento, i webinar, le consulenze gratuite, le prove gratuite del prodotto. E un ruolo fondamentale ricopre la tua reputazione: cosa si dice di te in Rete? Quali messaggi, positivi o negativi, ti precedono?

 

10. Il Copywriting Persuasivo non abusa

Se impari questa regola sei già a metà strada. Il Copywriting persuasivo non abusa:

  • dell’attenzione delle persone, ma offre loro contenuti sempre davvero interessanti e rilevanti;
  • della formattazione con l’obiettivo di attrarre l’attenzione: no all’eccesso di parole né alla scarsità di parole, no all’eccesso di grassetto, maiuscolo e corsivo;
  • delle parole stesse, che devono essere scritte nella giusta forma (tono di voce, linguaggio e grammatica) e nella giusta quantità (non troppe ma neppure poche).

 

Conclusioni

Il Copywriting Persuasivo è la capacità professionale di scrivere testi pensati per le persone. Meglio, per quello specifico target di persone. È per questo che un buon Copywriter deve riuscire a coniugare molte competenze, conoscenze e abilità: di scrittura, ma anche di comunicazione, di psicologia, di marketing, di analisi e spesso di SEO. Nello specifico, in questo caso, si parla di SEO Copywriting, il perfetto connubio tra SEO e persuasione.

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Come ottenere di più dalla tua strategia di Content Marketing

 



Come ottenere di più dalla tua strategia di Content Marketing? Qui ti suggerisco 3 soluzioni diverse dalle solite, molti consigli per ognuna di queste + Bonus finale!

Hai presente quando, dopo chilometri e chilometri già percorsi e l’intensa voglia di fare ritorno, ti ritrovi dinanzi a un bivio dalla dubbia scelta? Un strada ti avvicinerà alla meta, l’altra ti allontanerà di molto. Ecco, quando pianifichi una strategia di Content Marketing, quando imposti la comunicazione del tuo sito web, ogni volta che scrivi un contenuto per il blog o posti sui Social Network, ti ritrovi dinanzi a questo bivio qui. E ogni volta dovrai scegliere l’opzione più saggia.

Come fare? Ti suggerisco qui 3 soluzioni [+ Bonus] per aiutarti a districarti tra i sentieri impervi, tre lucciole che ti abbaglieranno ogni volta in cui il buio avrà calato le sue vesti e coperto la tua strada.

No, non saranno le solite 3 manfrine sul Content Marketing: studia attentamente il tuo target di riferimento, pianifica preventivamente la tua strategia, scrivi contenuti di valore. Queste 3 linee guida sul Content Marketing ti aiuteranno davvero a ottenere di più dalla tua strategia e dalla creazione di contenuti, ti permetteranno davvero di risparmiare tempo e risorse e ti faranno capire quanto importante sia conquistare eticamente la fiducia delle persone. Delle tue persone.

1. Comunica responsabilmente

Il senso di responsabilità è quello che manca al 90% delle strategie di comunicazione dei brand. E proprio per questo, anche per questo, è quello che può farti fare la differenza.

Cosa vuol dire comunicare responsabilmente? Vuol dire pianificare una strategia di comunicazione e di Content Marketing che parli alle persone e ai loro timori, non ai numeri. Significa essere responsabili del contenuto che comunichiamo e del modo in cui lo facciamo. Vuol dire saper toccare le corde profonde dell’animo umano per crescere insieme, migliorare insieme. Vuol dire vivere il contesto da protagonisti attivi e adattare perfettamente a questo la comunicazione e i contenuti.

Comunicare responsabilmente vuol dire proteggere le persone e i loro dati, cullare la loro sensibilità e le loro paure. Vuol dire essere parte del contesto ed essere dalla parte delle persone.

Un po’ di numeri sul Content Marketing Responsabile

Leggi un po’ qui. Questi sono i dati più importanti riportati da una ricerca condotta da GroupM su 14.000 consumatori in 23 Paesi del mondo. Tra i risultati evinti:

  • il 56% degli intervistati desidera avere maggior controllo sui propri dati;
  • il 60% degli intervistati ha dichiarato di essere meno propenso a usare un prodotto se il brand usa i suoi dati per qualsiasi scopo;
  • il 37% degli intervistati ritiene che gli annunci digitali siano troppo invadenti.

Non scordare che a fare la differenza nel digitale è proprio il Native Advertising, ovvero la possibilità di inserire i tuoi messaggi promozionali in contesti nativi, assumendone forma e contenuto. Obiettivo? Interessare le persone senza disturbarle, troppo quantomeno.

Ma c’è di più. Devi tenere sempre presente che l’interesse delle persone per te, a volte, può essere anche solo informativo, educativo. Non sempre e non necessariamente le persone hanno voglia di acquistare. Ecco, comunicare responsabilmente vuol dire anche rispettare il momento giusto.

Comunicare responsabilmente vuol dire rispettare il momento giusto.

Il momento giusto per le tue persone, non per te.

Un’altra ricerca condotta da Ipsos Poll il 20 marzo 2020 negli USA ha evidenziato che:

  • il 72% delle persone intervistate ritiene che i brand hanno la responsabilità sociale di offrire aiuto alla comunità durante l’emergenza Coronavirus;
  • il 71% di loro desidera avere consigli concreti e linee guida pratiche per capire come affrontare e uscire dalla crisi;
  • il 33% delle persone ritiene che i brand debbano trasmettere sensazioni ed emozioni positive con le loro campagne di comunicazione.

Calarsi nel contesto vuol dire proprio questo. Vuol dire non solo adeguarsi a quel che accade ma anche viverlo da protagonisti. Agire e fare qualcosa di concreto e di disinteressato per le persone quando il momento lo richiede.

2. Il Content Marketing propone il cambiamento

Il marketing moderno viaggia lontano dal vecchio marketing utilitaristico, dove tutto era incentrato sul prodotto, sul denaro e sulle masse. Il marketing oggi è efficace solo se e quando propone un cambiamento alla nicchia di persone a cui ci rivolgiamo, quando si mette al servizio delle persone, ne risolve i problemi, ne migliora la vita.

Il Content Marketing ha un compito ben preciso: aiutare le persone a risolvere il loro problema. Indicare alle persone il modo in cui migliorare la loro vita, offrire loro una nuova visione del mondo e supportarle in questo proficuo cambiamento. Come riuscirci?

3 consigli utilissimi per il Content Marketing del cambiamento

  • Analizza i sogni, i desideri e l’intimità delle persone ancor prima che l’età, il sesso e il potere d’acquisto;
  • racconta storie oneste che sono capaci di creare connessioni, che sono intrise di significato e che piantano il seme del cambiamento;
  • crea attesa e opera strategicamente affinché le tue storie e le tue idee di miglioramento si diffondano presso la nicchia di persone che hai scelto.

3. Elimina tutti i dubbi e i rischi

Una strategia di Content Marketing davvero efficace riesce sempre ad anticipare le obiezioni. Riesce a comprendere i dubbi che hanno le persone, i rischi che percepiscono e a eliminarli ancor prima che possano incidere sul risultato finale, sull’azione da compiere.

Perché questa tecnica è così importante? E come anticipare le obiezioni?

Bias di conferma

Il bias di conferma è una delle più comuni distorsioni cognitive inconsapevoli che influenzano la nostra percezione della realtà. Accade che le persone prestino attenzione e ricordino solo le informazioni che confermano i loro preconcetti, i pregiudizi radicati e le conoscenze che hanno già acquisito. Ecco perché, se qualcuno ha un pregiudizio negativo nei confronti del tuo brand e/o del tuo prodotto o servizio, è fondamentale anticipare e scoraggiare qualsiasi obiezione.

In che modo puoi riuscirci? Ti suggerisco alcune tecniche utilissime:

  • i tuoi contenuti devono essere emozionali ed è importante anche offrire dettagli tecnici e specifici che confermino razionalmente la bontà della scelta emotiva che le persone hanno compiuto;
  • fornisci dati a supporto della tua tesi;
  • usa bene le testimonianze e le recensioni delle persone che sono già entrate in contatto con te. Invoglia le persone a raccontare le loro esperienze e, soprattutto, i timori che avevano e che tu sei riuscito a dissipare. Ricorda, testimonianze e recensioni devono essere oneste e reali;
  • nel caso in cui i dati includano più opzioni, soprattutto comparative, prediligi le tabelle. Le tabelle sono uno strumento esplicativo, chiaro e facilmente comprensibile;
  • sfrutta il design per prevenire le obiezioni, prevedendo anche graficamente degli spazi a ciò dedicati.

I 6 più importanti rischi percepiti

Guarda il tuo orologio. Quanto tempo è passato da quando hai cominciato a leggere questo articolo? Temevi che dedicarmi qualche minuto sarebbe stato inutile e avresti solo finito col perdere il tuo prezioso tempo? Ecco, questo è un esempio di rischio percepito che ho smontato fin dalle prime parole del post dicendoti:

No, non saranno le solite 3 manfrine sul Content Marketing […] Queste 3 linee guida sul Content Marketing ti aiuteranno a ottenere di più dalla tua strategia e dalla creazione di contenuti, ti permetteranno davvero di risparmiare tempo e risorse e…

Le persone che approcciano alla tua comunicazione possono avere diverse paure e il tipo di rischio percepito varia da soggetto a soggetto. Anche per questo è fondamentale conoscere approfonditamente il tuo target di riferimento prima di pianificare una strategia di Content Marketing.

Quali sono ì più importanti rischi percepiti?

  • Il rischio funzionale, ovvero il timore che il prodotto possa non funzionare;
  • il rischio di perdita finanziaria, ovvero la paura di pagare per un prodotto o un servizio di cui non usufruiremo oppure il timore di non avere soldi a sufficienza per acquistarlo;
  • la perdita di tempo: il prodotto arriverà in tempo? Io ho abbastanza tempo per usarlo? Il servizio clienti è veloce ed efficace?
  • il rischio fisico, ovvero il timore che il prodotto o il servizio sia pericoloso per la mia salute e/o per l’ambiente;
  • il rischio sociale: il prodotto può aiutarmi a comunicare e a migliorare il mio status sociale? Il prodotto corrisponde all’immagine che ho di me?
  • il richio psicologico, ovvero la paura che l’acquisto non sia davvero efficace, così finendo per minare la mia autostima.

Capirai bene che per una strategia di Content Marketing efficace è fondamentale conoscere approfonditamente i rischi percepiti dal tuo cliente, prevederli e scoraggiarli.

Bonus: La Tecnica di Copywriting che devi usare

I contenuti sono viaggi emozionali per le strade del cuore, sono voli pindarici per i sentieri della testa. I contenuti devono essere emozione, devono essere condivisione, devono essere coinvolgimento e sentimento.

Una tecnica di Copywriting molto utile per scrivere contenuti emozionali ed eampatici è quella di usare le parole percettive. Sai cosa sono? Si tratta di parole che hanno a che fare con il modo in cui percepiamo ed esperiamo la realtà esterna. Le parole percettive sono parole come immagina, ascolta, guarda, tocca, nota. Sono parole che ti aiutano a costruire nella mente delle persone immagini sensoriali, che generano la sensazione della percezione e, quindi, l’emozione. L’obiettivo finale? Indurre le persone ad agire.

Visto che siamo in tema di Copywriting, ti suggerisco anche un’altra tecnica preziosa per scrivere contenuti efficaci. Il modello ABS: Attrai le persone; Bypassa i loro timori e le loro difese; Stimolale all’azione.

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Cos'è il Rebranding, come e quando farlo.

Col termine rebranding, o rivitalizzazione del marchio, si intende quel processo secondo il quale un prodotto o un servizio creato e commercializzato con un determinato nome e logo viene rilanciato sul mercato sotto un altro nome (o un’altra identità). Un’operazione, questa, molto frequente in caso di acquisizioni di brand. Ma non solo.

Un brand, infatti, non può essere immutabile. O meglio, sono pochissimi i casi in cui un marchio, sempre uguale a se stesso, può attraversare i decenni registrando sempre successi e consensi. Per tutti gli altri, al mutare del mercato e dei consumatori, delle tecnologie e dei competitors, è necessario aggiornarsi.

Non si può, del resto, analizzare il significato di rebranding senza sapere prima cos’è il branding. E, dunque, quel processo che le imprese mettono in atto per differenziarsi dai competitors grazie a nomi e simboli distintivi. Ovviamente, per definire questi aspetti bisogna partire da quella che è la propria filosofia aziendale, interrogarsi sulle idee e le emozioni da trasmettere. Perché saranno poi la base da cui partire per effettuare un rebranding aziendale.

Che cos’è il rebranding?

Il rebranding nasce da un’esigenza: cambiare la brand image di un prodotto/servizio, e dunque la percezione che i consumatori hanno di questo o dell’azienda che lo offre.

Non esiste in realtà un solo modo di fare rebranding: si possono modificare elementi distintivi quali il nome, il logo, le strategie di marketing e di vendita (rebranding totale) oppure ci si può limitare a piccole modifiche che migliorino l’assonanza percettiva del prodotto. Ad esempio, se un’azienda acquista un prodotto, può mantenere tutto identico e aggiungervi solo “il nuovo” prima del nome (il nuovo nome prodotto + di nome azienda acquirente). In questo caso, si parla di rebranding parziale.


 

Secondo il saggio “Rebranding Process – Il Processo di Corporate Rebranding” di Muzellec e Lambkin, il rebranding può invece essere evolutivo o rivoluzionario: nel primo caso riguarda in genere il logo o lo slogan, nel secondo avviene un cambio più radicale che può coinvolgere ad esempio il nome. E se il rebranding evolutivo è percepito in modo meno evidente dagli utenti in quanto è graduale e risponde ad adeguamenti messi in atto dall’azienda, il rebranding rivoluzionario porta con sé cambiamenti radicali che subito saltano all’occhio del consumatore.

C’è infine una terza distinzione, messa in campo da The Economic Times: quella tra rebranding proattivo e rebranding reattivo. Nel primo caso, l’azienda adotta questa strategia quando vuole migliorare la sua brand image, quando vuole crescere, quando vuole aprirsi a nuovi mercati o raggiungere un target di pubblico mai colpito prima; il secondo caso è invece una risposta a specifici eventi.

Ecco dunque che, a seconda dei casi, si andrà a mettere in atto una specifica strategia di rebranding.

Rebranding proattivo o reattivo: quando metterlo in atto

Il primo caso in cui studiare una strategia di rebranding è di tipo “interno”. Ad esempio, la volontà di raggiungere con quel prodotto un mercato o un target dalle caratteristiche del tutto diverse rispetto ai mercati e ai target a cui attualmente ci si rivolge. Oppure, la volontà di mantenere una certa coerenza tra un’evoluzione del proprio business e l’immagine di quel prodotto. O, ancora, la volontà di crescere e di espandersi. È il sopracitato concetto di rebranding proattivo.

Esempi di rebranding di questo tipo sono le aziende che cominciano a produrre prodotti diversi da quelli che formano il loro core business, e vogliono dunque adattare la loro immagine. Il rebranding così realizzato non avviene dunque sul prodotto, ma riguarda l’intera attività: è il cosiddetto rebranding aziendale.

Oppure, nel caso del rebranding reattivo, si va ad agire in risposta ad un fattore esterno. Ad esempio, una compravendita o una fusione aziendale, l’obbligo di rispondere a questioni legali o di utilizzo del marchio, le innovazioni e i cambiamenti messi in atto dai principali concorrenti. Ma anche, semplicemente, il cambiamento del pubblico (specie in settori che cambiano molto rapidamente, come quelli delle tecnologie o del digital marketing).

Non si tratta però di un’operazione priva di rischi: il cambiamento è sempre destabilizzante, specie se molto evidente. Ed è dunque necessario che il proprio rebranding sia frutto di un’attentissima analisi, per evitare che il pubblico reagisca in maniera negativa. O che non comprenda le motivazioni dietro quel cambiamento.

Il caso dei Brand Gap e Airbnb

Anni fa, ad esempio, il marchio fashion Gap cambiò radicalmente il suo logo ricevendo le critiche dei consumatori, che non capirono quella scelta e che non ritrovarono i valori aziendali nella nuova grafica; così, i manager furono costretti a ripristinare la vecchia immagine.


 

Airbnb, al contrario, riuscì a far apprezzare il nuovo logo (accusato di avere una connotazione sessuale) spiegando al meglio la sua filosofia, quella di un simbolo che rappresenta l’amore, i luoghi e le persone. E spiegando come fosse stato studiato per essere semplice e replicabile, in ogni parte del mondo.

 


Come effettuare un rebranding nel modo corretto

Al di là di quale sia lo scopo della realizzazione del rebranding, è necessario che l’intero percorso segua una logica ben precisa. Poco importa, che le proprie entrate non siano soddisfacenti o che si vogliano acquisire nuovi mercati: la strategia deve essere accorta e tenere conto del target che si intende colpire.

Tutto deve dunque partire da un’attenta analisi della propria azienda e del proprio brand, individuando punti di forza e punti deboli, ma anche il mercato. L’obiettivo è cercare di individuare le possibili minacce, così da batterle sul tempo. Ecco dunque che una scelta saggia è analizzare i propri competitors, per capire cosa nella loro azienda o nel loro prodotto/servizio funziona per cercare di replicarlo. O, meglio ancora, di migliorarlo.

In secondo luogo, bisogna trasferire la mission aziendale sul brand. Sempre tenendo conto che, quel brand, dovrà parlare ad un pubblico ben preciso con le sue esigenze, i suoi gusti e le sue caratteristiche. Scopo di un’operazione di rebranding è catturare infatti l’attenzione dell’utente: ecco dunque che conoscere i suoi interessi e ciò che in un prodotto cerca è fondamentale. Solo a quel punto si può passare all’aspetto grafico, visivo e testuale del prodotto.

Esempi di rebranding famosi

Ci sono aziende che, nel tempo, hanno effettuato numerose operazioni di rebranding parziale, apportando piccole modifiche solo lievemente percettibili.

 


È il caso di Google che – diverse volte – ha modificato il suo font, cambiato l’ordine dei colori, aggiunto elementi (poi eliminati) ed effettuato ridimensionamenti. Oppure di Dropbox, la cui operazione di rebranding è durata dieci anni, trasformando la scatola tridimensionale in una scstola piatta, secondo i dettami del sempre più in voga “flat design”.


 

Tra i più riusciti esempi di rebranding famosi totali troviamo invece quello di McDonald’s: inizialmente noto come distributore di “junk food”, tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila la catena ha iniziato a introdurre un’offerta più “sana”, a cui il logo non rispondeva più. Così, la M gialla su fondo rosso – sinonimo di un cibo a basso costo e di bassa qualità – ha lasciato il posto ad una M più discreta, su di un fondo verde bosco.


 

Allo stesso modo, anche Pepsi ha deciso di effettuare un’operazione di rebranding per avvicinare il suo logo ai valori espressi dal brand: all’inizio era una scritta rossa, Pepsi Cola, dall’aspetto baroccheggiante. Nel 1950 è stata introdotta la grafica del tappo, nel 1973 ha perso la denominazione “Cola” divenendo a tutti gli effetti solo “Pepsi”. Oggi la scritta è addirittura scomparsa, per lasciare spazio ad un tondo bianco, rosso e blu che è la massima stilizzazione dell’elemento tappo.


 

Riassumendo, è bene pensare ad un’operazione di rebranding quando:

  • l’azienda è cambiata, per l’introduzione di nuovi prodotti o l’apertura a nuovi mercati
  • il pubblico è cambiato, basti pensare a quanto hanno inciso il potere d’acquisto e il passaparola virale dei Millennials su molti prodotti
  • le tendenze sono cambiate, come nel caso dell’agroalimentare che – oggi – è spinto verso una dimensione sempre più green e sempre più healthy
  • il logo è obsoleto, in quanto creato in un periodo storico dai canoni stilistici ben diversi da quelli attuali.

Ovviamente, è fondamentale affidarsi ad un professionista che – per l’operazione di rebranding – non si limiti a disegnare un nuovo logo con nuovi colori, ma sappia cogliere a pieno la filosofia aziendale e i percorsi decisionali che hanno condotto alla rivitalizzazione del marchio. Solamente così, l’utente percepirà come positivo il cambiamento attuato e verrà conquistato (o rimarrà fedele al brand).

 

InsightAgency

Perché è importante realizzare una campagna creativa?

 


Perché la creatività ripaga, sempre!

Sappiamo bene che la battaglia delle aziende si svolge sul campo dell’attenzione: chi riuscirà ad inserirsi nella mente del consumatore anche per pochi secondi al giorno, sarà stato capace di penetrare quella solida barriera di indifferenza che lo protegge dall’infinità di contenuti con cui ogni giorno entra in contatto.

Partiamo quindi da alcune evidenze sul consumatore odierno:

  • La sua conoscenza delle marche è superficiale e raramente sa indicare che cosa differenzi una marca dalle altre;
  • Ne consegue che la fedeltà di marca è piuttosto bassa;
  • I brand sono raramente oggetto delle sue conversazioni e, anche quando lo sono, vengono toccati di sfuggita, come particolari di un racconto;
  • Costruire delle relazioni con le marche non è considerata una priorità.

 



Al contrario di quello che si potrebbe pensare, raramente le aziende scelgono di mettere in atto campagne ad alto tasso di creatività, che vengono invece riservate per il lancio di nuovi prodotti oppure per i brand che pesano poco sul profitto dell’impresa. Più propense verso questo tipo di investimento risultano le aziende piccole.

La causa risiede nella poca conoscenza del proprio pubblico. La paura infatti è che i risultati raggiunti dalla marca vengano distrutti da una campagna che si discosta dall’attività promozionale messa in atto fino a quel momento, che quindi il messaggio implicito che la campagna creativa porta con sé non venga compreso dal pubblico o che venga compreso in modo sbagliato.

Perché una campagna creativa non è mai uno spreco

Chiariamo però prima una cosa: realizzare una campagna creativa non è mai uno spreco. Infatti stiamo parlando ad un consumatore sveglio, che ha imparato a selezionare con cautela e giudizio i messaggi che gli arrivano dall’esterno. Una campagna creativa gli comunica qualcosa di importante sulla marca, cioè:

  • “Il nostro è un prodotto di qualità, perché ci abbiamo investito molto e si vede”
  • “La nostra è un’azienda innovativa ed intelligente, perché capace di trasmettere messaggi fuori dagli schemi”
  • “Siamo una realtà di successo perché possiamo permetterci di non risparmiare sulla creatività”

Tutti messaggi positivi non credi?

Ma andiamo a vedere più nel dettaglio quali sono i risvolti di una campagna creativa.

Prima di tutto i benefici della creatività si manifestano nel lungo periodo (almeno sei mesi) perché legati ad aspetti emotivi. Infatti le pubblicità che veicolano messaggi razionali influenzano più in fretta il comportamento dei consumatori, che però non avranno sviluppato un particolare attaccamento verso la marca o quel prodotto. Al contrario, la pubblicità creativa pone le basi per una relazione duratura, tanto che il consumatore si mostra meno sensibile al prezzo, accettando di spendere di più per quelle marche che comunicano in modo inedito.

L’originalità di una campagna fa si che la marca diventi più facilmente argomento di conversazione tra le persone e il word-of-mouth è un potentissimo strumento in grado di incidere sulle performance di mercato.

Come la creatività agisce sul cervello

Solitamente la pubblicità creativa presenta un messaggio implicito e ambiguo, cioè che può avere più di un’interpretazione oppure che è in contrasto con gli schemi mentali del consumatore. Quest’ultimo si trova davanti un dilemma, una situazione che chiede di essere risolta, e impegnerà le sue energie nel tentativo di elaborazione.

La conseguenza è che saranno necessarie meno esposizioni al messaggio pubblicitario per svilupparne il ricordo e una risposta comportamentale. Allo stesso tempo si stuferà più tardi di un messaggio creativo, perché ad ogni nuova esposizione cercherà nuovi dettagli a conferma della sua interpretazione.

Un altro aspetto fondamentale, mostrato dagli studiosi Yang e Smith, è che i consumatori assumono un atteggiamento di apertura e curiosità di fronte a questo tipo di comunicazione. Questo accade perché si instaura un meccanismo chiamato DPC (desire to postpone closure), per il quale si è disposti ad assumere maggiori informazioni prima di giudicare. Non entrano quindi in gioco pregiudizi, stereotipi, credenze, e soprattutto viene effettuata meno selezione sulle informazioni ricevute.

 


In sostanza il consumatore vuole essere trattato come una persona astuta e capace. La frustrazione iniziale per la complessità del messaggio lascia spazio alla soddisfazione di essere riuscito a decifrarlo.

Le sensazioni positive stimolate nel consumatore ripagheranno non solo le performance di prodotto, ma anche l’andamento della marca. Infatti la pubblicità creativa lascia tracce e associazioni nella memoria che facilitano il riconoscimento della marca, ma anche il suo ricordo spontaneo. 

Come realizzare una campagna creativa: 5 modi

Secondo il test inventato dallo psicologo Torrance negli anni ’60, la divergenza può essere creata in cinque modi:

  • Utilizzando elementi originali che si discostano da ciò che già esiste o da ciò che il pubblico crede di sapere;
  • Adottando una visione flessibile del prodotto, che lo mostri in situazioni inedite o in usi non comuni; 
  • Combinando tra loro elementi che normalmente non hanno alcun legame;
  • Comunicando idee e messaggi in modo elaborato e sottile, stimolando così le capacità cognitive;
  • Inserendo elementi particolarmente affascinanti dal punto di vista estetico.

Possiamo citare alcuni esempi di pubblicità che nel 2020 hanno sfruttato questi principi.

Facciamo qualche esempio

“Attento a ciò che ingoi” è stata una pubblicità lanciata da Burger King in cui il brand mostra ironicamente il confronto tra la famosa banana appiccicata al muro dell’artista Cattelan e una patatina da loro prodotta (e sicuramente molto più saporita) del prezzo di 0,01 centesimi. Il divertimento è assicurato: Burger King dimostra di avere una visione flessibile del suo prodotto e un occhio vigile verso le novità, comunicando un messaggio implicito e altamente stimolante per il cervello del consumatore.

 


 Heineken ha invece fatto leva sugli stereotipi di genere con la sua campagna “Cheers to all”. Il messaggio è chiaro: la sua birra può essere associata anche all’immagine femminile, prendendo così le distanze dai competitor che di solito mostrano la birra come un prodotto maschile. 

 

 

Infine, la campagna Digital Detox messa in atto da Porsche ha collegato al piacere della guida il tema della disintossicazione digitale, ispirando emozioni di libertà, auto-consapevolezza, contatto con la natura e con il prossimo. L’accostamento inusuale di questi due temi ha portato alla creazione di una campagna molto ingaggiante.

 

Osare è la parola chiave!

Insomma, la comunicazione creativa può portare enormi vantaggi per i brand che la mettono in pratica, offrendo allo stesso tempo un’esperienza di valore al pubblico verso cui è rivolta. Non è poi così difficile da realizzare: basta seguire queste semplici regole e munirsi di una sana voglia di ‘osare’.

InsightAgency

Comunicazione persuasiva: la strategia del direct marketing!

 


Abbiamo già visto come alla base delle strategie di marketing è fondamentale individuare il target group e le buyer personas. La comunicazione persuasiva, quindi, ha la necessità di promuovere contenuti che siano adatti e rispecchino i desideri, di quelli che sono raffigurati come clienti. Ma qual è il modo per raggiungerli in modo diretto ed efficiente?

Nel settore che riguarda il marketing, e specialmente il digital marketing, la risposta è unica e concreta: il direct marketing. Questa tecnica viene spesso ridotta ad una spiegazione superficiale secondo la quale il marketing diretto indica una vecchia tipologia di fare comunicazione che include il tradizionale annuncio cartaceo tramite posta, ma in realtà c’è da sapere molto di più.

Il direct marketing è strettamente collegato ad un importante concetto, ossia il content marketing. La definizione più chiara è proposta da Direct Marketing Association:

“Direct Marketing: sistema interattivo di marketing che utilizza uno o più mezzi di comunicazione diretti al consumatore per produrre risposte e/o transazioni misurabili”.

Vale la pena rispondere con fermezza alla domanda: 

Cos’è il direct marketing?

Volendo fare una traduzione corretta potremmo dire che il direct marketing non è altro che un tipo di risposta diretta e che racchiude tutte quelle forme di promozione e/o comunicazione che hanno l’esplicito scopo di raggiungere il pubblico individuato, senza necessariamente avvalersi di qualche tipo di intermediario.

A sottolineare il fattore di immediatezza ci pensa la definizione che ne fa il Chartered Institute of Marketing che qui riportiamo volentieri:

“Nel direct marketing tutte le attività che rendono possibile la vendita di un bene o di un servizio o la trasmissione di un messaggio tramite posta, telefono, email o altri mezzi diretti.”

Il direct marketing è quindi molto transmediale perché è in grado di realizzare approcci comunicativi con i mezzi più tradizionali (telefono, posta, ecc.) ma anche moderni. È importante ribadire, in questa occasione, che rappresenta un punto cruciale l’assenza di intermediari e il contatto diretto con il pubblico.

Secondo gli studiosi le origini del direct marketing vanno ricercate facendo un lungo salto nel passato. Parrebbe che già nel 1700, ad esempio, girassero dei cataloghi che avevano l’obiettivo di aumentare il commercio delle botteghe. Il termine è stato coniato, in realtà, nel 1958 da Lester Wunderman, oggi considerato il padre del marketing diretto.

Il sistema interattivo del Direct Marketing, sostanzialmente prevede l’impiego di canali di comunicazione e di vendita diretti che abbiano l’obiettivo di raggiungere i clienti per comunicare loro in modo preciso le informazioni sui prodotti.

La fruibilità di questi canali sta proprio nel fatto che permettono all’azienda di svolgere l’intero processo d’acquisto interagendo direttamente con il consumatore/prosumer senza ricorrere a intermediari commerciali.

In base a ciò, va detto che nel corso degli anni si è sviluppato, nell’ambito della distribuzione, la formula del non-store retailing, che sottintende ad un sistema di vendita al dettaglio, senza dover fare riferimento a specifici di punti vendita con sede fissa.

I canali del marketing diretto vogliono raggiungere direttamente il target group. Il direct marketing è a tutti gli effetti una formula appartenente alla comunicazione persuasiva.

Le caratteristiche distintive del marketing diretto

Un requisito irrinunciabile per il direct marketing è l’analisi dei big data. Nel marketing la raccolta dei dati sui clienti è un elemento importante perché è ciò che fortifica le modalità della comunicazione persuasiva. La verifica e organizzazione viene fatta per poi realizzare un dettagliato database di marketing (customer database), ossia un archivio costituito da: 

  • dati statici (nominativi e parte anagrafica), 
  • dati dinamici tutte le altre informazioni. 

Grazie a questo database, molto fornito, l’impresa è capace di interpretare e di capire da un punto di vista commerciale tutte le informazioni che caratterizzano l’atteggiamento e il comportamento dei clienti. Ma quali sono le caratteristiche fondamentali del direct marketing? Ne possiamo facilmente evidenziare 4: selettività, personalizzazione, interattività e misurabilità.

La selettività: si riferisce in particolar modo al messaggio! L’impresa studia in che modo fare la propria comunicazione, ricordando che il pubblico d’interesse è già stato preselezionato sulla base delle informazioni ricavate dal database clienti. 

La personalizzazione: rende il messaggio rivolto al cliente unico e originale, perché si stabilisce un contatto selettivo e individuale (ad esempio come nel marketing one-to-one)

L’interattività: si concretizza nelle azioni del processo. Il destinatario svolge tutte quelle attività (richiesta di informazioni e campioni di prova) che si tramutano in una precisa risposta comportamentale e commerciale (acquisto del prodotto). 

La misurabilità: è la possibilità di misurare la reattività degli utenti. Può esser considerato un plus del direct marketing ma soprattutto è la risorsa che racchiude anche gli altri 3 fattori appena descritti. Nel direct marketing le risposte ottenute raccontano in che modo la comunicazione persuasiva ha agito e che tipo di stimoli ha suscitato.

 


 

I canali di direct marketing

In questo articolo, abbiamo più volte evidenziato la capacità del direct marketing di raggiungere un preciso target e di instaurare con esso un dialogo tanto diretto quanto personalizzato. Con il direct marketing si ottengono 2 risultati: ottenere una risposta immediata e stabilire un forte rapporto duraturo, per questo si parla anche di marketing relazionale.

A tal fine, è il caso di esaminare alcune di quelle attività che rientrano nel direct marketing come: il direct mail, il marketing su catalogo, il telemarketing, la direct-response marketing e il marketing on-line.

La comunicazione persuasiva con il direct marketing procede in modo lineare su determinati canali che implicano il contatto diretto come ad esempio: la vendita diretta (tipica dei negozi o porta a porta), vendita da catalogo o per corrispondenza, compravendita con il telefono (telemarketing), vendita dei prodotti attraverso i media tradizionali (la televendita) e vendita via Internet (siti di e-commerce).

Siccome sono molteplici le forme del direct marketing è opportuno suddividere i canali di direct marketing in due macro-categorie:

1.La vendita per corrispondenza, da catalogo o per telefono: che racchiude appunto la metodologia tradizionale di vendita grazie al servizio postale, distribuendo messaggi pubblicitari e fornendo dettagliati cataloghi che i clienti possono sfogliare, per valutare e scegliere i prodotti da ordinare. Con Internet c’è soprattutto un tipo di vendita definita telemarketing perché consiste nell’impiego del telefono.

2.La pubblicità a risposta diretta: di diverso tipo è il direct response advertising che non solo utilizza i classici media ma soprattutto i new media. In genere è verificabile quando l’azienda pubblicizza i suoi prodotti per renderli immediatamente disponibili…

Va notato come i mass media siano in grado di realizzare comunque un tipo di comunicazione interattiva, introducendo l’uso del telefono, l’indirizzo e-mail e sito web.

 


 

Cos’è il direct response?

A tal proposito è opportuno approfondire il tema del direct response advertising. Fa parte di quest’ultimo la vendita al dettaglio online, ovvero l’online retailing che permette ai clienti di confrontare e acquistare i prodotti grazie alla rete.

Difatti, nella pubblicità online, viene spesso utilizzata una forma di direct response: la display advertising che ha il compito di ricevere le risposte. A differenza della classica pubblicità, radiofonica o televisiva, che ha lo scopo di rafforzare la brand image dell’azienza la finalità del direct response advertising è quella di sollecitare la proattività della clientela.

Il direct marketing (marketing diretto) è una forma di pubblicità che comporta la consegna di un messaggio immediato e personale, tra gli esempi più famosi di direct marketing (con canali digitali e non) abbiamo: 

  • Email
  • Chiamate al telefono
  • Coupon
  • Cataloghi
  • SMS ed MMS

Perché il direct marketing ha successo?

Il direct marketing di successo è davvero ideale per tutti quei clienti che dimostrino un chiaro interesse per i prodotti e/o servizi di un’azienda. Ma quali sono i motivi? Principalmente possiamo dire che tra i motivi c’è sicuramente l’abilità di creare un messaggio personalizzato, dove il cliente risulta protagonista e pensa di essere l’unico ad averlo ricevuto.

Difatti, la comunicazione persuasiva del direct marketing è diretta ad una segmentazione efficace perché rivolta a persone che sono già state identificate come potenziali acquirenti. Tra le qualità del direct marketing continuiamo a sottolineare la misurabilità: necessario per realizzare future campagne. 

Nella strategia di direct marketing le campagne di marketing non sono nulla senza la raccolta di una lista di contatti. È fondamentale aggiornare il customer database per fornire le informazioni sul comportamento d’acquisto di una persona.

Tra l’altro un database accurato è capace di ampliare le opportunità di cross selling e up selling. In sostanza, per stabilire delle reali connessioni con i consumatori è essenziale conoscere i clienti, sapere quello che fanno e cosa preferiscono comprare.

In conclusione, le aziende per pianificare le strategie e le campagne sui canali hanno bisogno di fare una comunicazione personalizzata, con i prospect dettagliati dei clienti, monitorando il processo comunicativo del direct marketing.