Nei giorni scorsi, abbiamo parlato di rebranding, spiegando cos'è e come e quando farlo. In effetti di Rebranding ne abbiamo visti tutti – Zara che riduce le spaziature tra i caratteri del suo marchio, McDonald’s che elimina il colore rosso dal suo iconico logo, e ancora Apple che elogia il minimalismo eliminando il multicolor dalla mela morsicata – ma nonostante ne sia pieno il mercato non va sempre tutto secondo i piani. In questo articolo troverai qualche Epic Fail di grandi marchi e come imparare dai loro errori.
I casi di INsuccesso
Mio padre (😉 credo non fosse suo il copyright) diceva sempre che dagli errori si impara – anche se sono quelli degli altri – per questo vediamo alcuni casi di Rebranding che era meglio evitare:
Pepsi
Tu lo vedi il sorriso?
Fin dalla nascita Pepsi lotta per
la sua identità – sappiamo bene che il suo competitor principale non
molla la presa – e l’evoluzione del marchio è una storia che iniziò
parecchi anni fa ma l’esperienza in materia di Rebranding non è bastata
per fare un buon lavoro.
Nel 2008 è stata rilasciata la sua ultima versione: modifica del font e rotazione del logo, l’idea era quella di renderlo un “cheeky smile”, lo hai notato? Molti non ne sono convinti e hanno lasciato spazio alla creatività.
The white stripe on the new logo varies across Pepsi products, getting wider or thinner depending on product. The design team that sparheaded the campaign explains that they’re supposed to be “smiles”, but we don’t really see it.
– Forbes Magazine
Kraft Food
L’international Food&Drinks company cambiò rotta, ma solo per
poco. I consumatori, senza esitazione, smontarono l’entusiasmo del
cambiamento, dopo soli 6 mesi Kraft decise di tornare sui propri passi (o quasi) per recuperare l’identità persa.
Ma cosa ci sarebbe di così sbagliato nel nuovo logo, così diverso dall’originale? Forse proprio questo!
La percezione dei consumatori del brand originale è stata definita come uno “smack in the face” (schiaffo in faccia) potente e subito riconoscibile, con il Rebranding invece il brand ha cambiato energia risultando generico e patetico, complice anche la scelta dei caratteri, Tekaton e Papyrus, molto discutibile.
Tropicana
Nel 2009 l’azienda si lanciò nel mercato con un drastico Rebranding, modificando packaging, logo e stile comunicativo, ma tutti questi sforzi potevano essere tranquillamente evitati.
I consumatori si trovarono di fronte a un prodotto che non riconoscevano più, smettendo quindi di acquistarlo. Questo ha generato un calo del 20% delle vendite per un valore di 30 milioni di dollari, il crollo della brand awareness, nonché conseguenze negative alla reputation aziendale.
Un bel regalo per i competitors che si sono acchiappati le quote di mercato del colosso americano. Ma questo incubo non durò molto, nel 2009 Tropicana ripristinò il suo vecchio logo tornando il prodotto di punta tra i succhi di frutta.
Mastercard
Anche i migliori sbagliano, Mastercard* nel 2006 ha avuto la (non tanto) brillante idea di fare Rebranding del suo riconosciuto marchio. Questo remake è costato all’azienda quasi 10 milioni di dollari che era meglio investire in altre attività. Il pubblico, infatti, non apprezzò il cambiamento definendo il marchio confusionario e poco chiaro. Ecco che la multinazionale fece un passo indietro ri-adottando le vecchie caratteristiche del brand.
Royal Mail
Un salto nel vuoto non irrilevante per la Royal Mail* – il servizio postale britannico, inizialmente al solo servizio reale – che nel 2002 cambiò drasticamente il suo nome in Consignia creando scompiglio e difficoltà di riconoscimento, complice anche la quasi assente campagna di comunicazione. La Royal Mail, però, è tornata indietro in solo un anno consapevole dell’errore.
5 consigli per un’ottima strategia di Rebranding
Dai casi di insuccesso appena visti possiamo trarre delle conclusioni su come è bene non fare rebranding:
- Make it easy: semplificazione anziché complicazione, questa è una regola fondamentale, soprattutto quando il logo è internazionale. È importante rendere il logo più comprensibile e chiaro, senza inserire elementi superflui che finirebbero per complicarlo;
- Cambiare logo è un azzardo, e qui non stiamo giocando. Ogni attività che comporta uno sforzo, in questo caso far sì che il consumatore riconosca e associ il nuovo logo all’azienda, non è apprezzata dal nostro cervello che di sforzarsi non ne ha voglia. Quindi si può fare ma solo se strettamente necessario;
- Ma…prima di iniziare con il Rebranding assicurati di aver compreso la percezione del brand e del prodotto nella mente dei consumatori, e chiediti se è davvero necessario agire;
- Assicurati che ogni attività di Rebranding sia sempre seguita da una campagna di comunicazione, soprattutto quando l’attività è radicale;
- Non dimenticare i valori e la mission che accompagnano il tuo brand, questi devono venire trasferiti sul nuovo logo.
Per concludere, l’attività di Rebranding non è cosa semplice e non sempre, nonostante l’esperienza, le cose vanno secondo i piani. Non esistono delle azioni giuste o sbagliate, esistono circostanze diverse che devono venire valutate prima di agire, analizzando l’ambiente competitivo ed eventuali pro e contro che la strategia può portare con sè.
Migliorare il legame emotivo
Ma se non ti è ben chiaro cos’è il Rebranding, ecco la risposta.
Partiamo dalle basi: il Rebranding è una strategia di marketing che ha lo scopo di riposizionare nel mercato e nella mente dei consumatori un brand già esistente. Questo avviene nel concreto con la modifica dell’identità del marchio ovvero dei segni distintivi di un’azienda come, ad esempio, il logo o lo stile comunicativo.
Il Rebranding è una strategia dinamica che può avvenire sia in breve tempo sia in tempi più lunghi e può essere sia radicale sia quasi impercettibile agli occhi dei consumatori.
Non solo, il Rebranding può essere Proattivo quando la scelta di agire parte dall’azienda stessa, per migliorarsi, crescere o conquistare nuove quote di mercato o Reattivo quando sono le circostanze esterne che “obbligano” ad agire per resistere e cavalcare i trend del mercato.
Quindi, per concludere, perché un’azienda dovrebbe fare rebranding? Semplice:
- Il pubblico o l’azienda sono cambiati e la brand identity non rispecchia più il business e i consumatori target non si sentono più rappresentati da quell’immagine aziendale;
- Il Logo è obsoleto quando la grafica non è più attuale;
- Le tendenze si evolvono e per seguire le esigenze dei consumatori è necessario stare al passo con il cambiamento per non risultare obsoleti;
E qualcuno però ci è riuscito:
Oltre ad aver visto come NON fare dobbiamo anche imparare dai migliori. Ecco due casi di successo che molto probabilmente avrai notato:
McDonald’s non serve più cibi di bassa qualità
La catena di fast food più famosa al mondo viene etichettata come distributrice di cibi dove la qualità non è il suo punto di forza. Negli anni però, McDonald’s ha capito che adattare l’offerta alle richieste dei suoi consumatori era fondamentale per non perdere la posizione competitiva. Dagli inizi del 2000, infatti, iniziò a servire cibi più sani, e per far percepire questi cambiamenti ai consumatori decise di intervenire anche sul logo, la celebre “M” gialla affiancata dal colore rosso non comunica in modo ottimale la scelta dell’azienda, ecco che inizialmente viene rimosso il colore rosso, e successivamente inserito il colore verde, il colore della natura.
Dropbox
La Dropbox inc. non ci è andata con i piedi di piombo, l’evoluzione del suo logo iniziò nel 2008 per concludersi nel 2017 modificando lievementi tutti gli aspetti del marchio. Nello specifico:
- La scatola, prima tridimensionale, è ora è piatta e priva di profondità;
- La palette di colori, prima sfumata sia sulla scritta sia sul logo, è stata sostituita da colori piatti;
- Il carattere è più semplice e di facile lettura.
Questo è un esempio di Rebranding difficile da percepire in quanto le modifiche non sono state drastiche, ma nonostante ciò è stato fatto un ottimo lavoro, semplificando la percezione dei consumatori eliminando elementi di confusione.