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Gli spazi colore delle fotocamere: sRGB vs Adobe RGB vs RAW

 


La tua fotocamera è probabilmente in grado di catturare immagini a colori in una varietà di diversi contenitori di colore chiamati “spazi”. Questi spazi di colore della fotocamera raccolgono i colori in uno dei vari contenitori di luce di dimensioni diverse etichettati sRGB, AdobeRGB e RAW.

Ogni contenitore raccoglie varietà di luce leggermente aumentate, in modo simile al modo in cui i pastelli Crayola sono confezionati e venduti in collezioni di colori sempre più complete; piccolo, grande e jumbo.

Gli spazi di colore delle fotocamere offrono ai fotografi una varietà di scatole di dimensioni diverse.

Un dibattito nella comunità fotografica sorge di solito su quali spazi di colore scegliere nelle preferenze della fotocamera. Alcuni spazi di colore catturano più tonalità e colori saturi di altri. Le immagini catturate in uno spazio possono includere più colori di un altro.

Ogni spazio è idealmente adatto a certi scopi, e la questione di quale spazio colore della fotocamera scegliere ha bisogno di qualche approfondimento. Oltre alla questione della cattura, la scelta di uno spazio colore per l’editing in post-produzione dipenderà dall’uso finale dell’immagine.

Gli spazi di colore della tua fotocamera non coinvolgono solo i dati di colore, ma anche la necessità di uno spazio aggiuntivo sul disco. Spazi di colore più grandi forniscono più profondità di bit (lo vediamo tra poco), il che occupa più spazio digitale sulla scheda di memoria. Quindi, la scelta di quale usare ha anche un’importanza pratica.

Quale spazio colore della macchina fotografica usare

Non c’è una scelta di spazio colore singolarmente perfetta, quindi esaminiamo quale sia la migliore per situazioni specifiche.

A meno che l’unico scopo di una foto sia quello di essere visualizzata come un’immagine digitale ad alta risoluzione, potresti voler convertire lo spazio colore originale del file per un risultato meno impegnativo. Comunque, tieni sempre presente che ogni volta che un file muta da uno spazio colore più grande a uno più piccolo (da RAW a AdobeRGB, o da AdobeRGB a sRGB), l’intensità e l’integrità del colore dell’immagine possono diminuire nel processo. Alcune applicazioni di imaging sono meno esigenti di altre.

Mentre le copie dei file digitali rimangono identiche in dimensioni e intensità all’originale indipendentemente da quante volte sono state copiate, quando un file digitale muta in uno spazio colore inferiore, perderà sempre alcune informazioni critiche sul colore. Gli spazi colore delle fotocamere in generale, e gli spazi colore dei dispositivi in particolare, sono tutti unici. Ognuno serve uno scopo particolare.

È una questione di profondità

La differenza tra gli spazi colore delle fotocamere si riduce a una questione chiamata profondità di bit. La profondità di bit è una descrizione matematica di quante distinzioni visibili tra le sfumature di colore possono essere riconosciute e riprodotte da diversi dispositivi (un termine tecnico per scanner, fotocamere, monitor di computer e macchine da stampa). Sfortunatamente, non tutti i dispositivi possono riprodurre tutti i colori allo stesso modo (che è l’ostacolo principale tra tutti i problemi di colore).

Ogni dispositivo legge e riproduce il colore usando un processo diverso. Mentre questo sembra un problema risolvibile, c’è una triste e irrisolvibile realtà dietro il problema. Ci sono almeno tre diverse interpretazioni del colore in gioco in ogni ciclo di cattura-visualizzazione-stampa.

In primo luogo, le telecamere catturano il colore registrando le intensità della luce come segnali elettrici e interpretando questi segnali come colori. Ad ogni colore viene assegnato un numero specifico.

In secondo luogo, questi numeri vengono poi inviati al computer. Qui, vengono tradotti in un altro processo che interpreta quei segnali elettrici in un processo che accende piccole luci (chiamate pixel) su uno schermo retroilluminato.

E in terzo luogo, quei pixel sono poi inviati a una macchina da stampa che istruisce quei valori di pixel per sputare piccoli schizzi di inchiostro colorato sulla carta.

È un processo molto complicato che gli scienziati del colore hanno cercato per anni di rendere semplice. Sfortunatamente, non è così semplice!

Comunque, durante questa transizione digitale, vengono impiegati diversi metodi che utilizzano i vari spazi di colore in modo da trasformare i colori da un dispositivo all’altro nel modo più accurato possibile. A volte le traduzioni di colore non trasmettono i colori con la precisione che vorremmo, ed è per questo che a volte i colori del monitor non corrispondono ai colori della stampante.

La scienza usa grafici come questo per tracciare le caratteristiche degli spazi di colore delle telecamere. Mentre questi grafici sono indicati come “teorici” perché non sono visibili all’occhio umano, ma rappresentano ciò che ogni “secchio” di colore può catturare rispetto a ciò che l’occhio può vedere.

 


L’arbitro definitivo

L’unico spazio di colore completo che traccia l’intera portata di ciò che l’occhio umano può vedere è quello che la comunità scientifica chiama spazio L*a*b* (diagramma a ferro di cavallo invertito).

L’occhio umano è l’arbitro finale nelle guerre dei colori, e tutte le capacità dei dispositivi (fotocamera, display e stampante) sono definite da come corrispondono alla gamma principale dell’occhio. Ecco perché questa strana forma a ferro di cavallo viene chiamata spazio di riferimento. Tutti gli altri dispositivi, che si tratti di fotocamera, display o stampante, possono solo riconoscere e utilizzare porzioni di questo “spazio di riferimento”, e di solito non corrispondono tra loro.

Il colore è come una famiglia molto diversa e disfunzionale. Ogni dispositivo parla un dialetto diverso di un linguaggio simile. Ognuno produce colori che non possono essere riprodotti fedelmente su altri dispositivi. Il colore è quindi un argomento molto disordinato.

Alcuni dispositivi possono esprimere il colore in modo più completo di altri. Sfortunatamente, nessun dispositivo creato dall’uomo può riprodurre tutti i colori che possono essere visti dall’uomo. Inoltre, i colori catturati da un dispositivo che cadono al di fuori della gamma (dimensione della scatola di Crayola) di altri dispositivi, vengono tagliati, persi o compressi durante l’handoff. Quei colori non tornano mai a casa.

Questa è la tragica verità sulla riproduzione digitale del colore. Il trucco della riproduzione dei colori sta nel mantenere il più possibile il colore comune durante il processo. Fortunatamente, lo stesso occhio umano (e il cervello) sono molto indulgenti nell’accettare i limiti dei dispositivi non umani.

La riproduzione del colore è una vera applicazione della legge dei rendimenti decrescenti e della scienza visiva della fisica. I fotografi capiscono abbastanza bene questa legge.

Molto raramente una macchina fotografica può effettivamente catturare tutti i colori e le dinamiche di una scena originale. Inoltre, la gamma di colori della natura si estende anche oltre i colori che l’occhio umano può identificare. Ogni volta che un’immagine digitale viene trasposta da una forma a un’altra forma, questa trasformazione è uno scambio di valore diminuito.

Quando un’immagine viene trasferita da un dispositivo a un altro, quei valori di pixel situati al di fuori della gamma di colori del dispositivo di destinazione si perdono sempre nella traduzione. L’obiettivo della gestione del colore e deli spazi colore è quello di mitigare la perdita di colore e mantenere il più possibile l’aspetto dell’originale, durante tutto il processo di riproduzione.

Spazi RGB (sRGB, AdobeRGB, ProPhoto RGB)

Tutto inizia con le impostazioni di colore della fotocamera che sono in atto quando si cattura la scena. Tutte le fotocamere catturano la luce attraverso filtri rossi, verdi e blu (spazio colore RGB). Anche se ci sono diversi spazi di colore RGB tra cui scegliere, ognuno ha una gamma di colori leggermente diversa.

Ogni spazio di colore (sRGB, AdobeRGB, ProPhoto RGB, ecc.) fornisce una collezione unica di attributi di colore, e ogni spazio soddisfa requisiti specifici di visualizzazione e riproduzione.

I gamut sono descrizioni della gamma di colori che un dispositivo può riconoscere, registrare, visualizzare o stampare.

Riprendere una scena vibrante e satura con la fotocamera richiede uno spazio colore più ampio. L’utilizzo di uno spazio colore della macchina fotografica con un gamut più piccolo potrebbe diminuire significativamente l’emozione cruda e dura della scena. Questo è il motivo per cui la maggior parte degli esperti di fotografia incoraggiano i fotografi a impostare le loro fotocamere per catturare immagini in AdobeRGB.


 

sRGB

Quasi tutte le fotocamere digitali sono impostate in fabbrica per catturare i colori usando sRGB come spazio colore predefinito per una ragione plausibile: la maggior parte delle foto che scattiamo non vengono mai stampate! Nel migliore dei casi, le vediamo sul monitor del computer o sui social media. Onestamente, la maggior parte delle immagini che catturiamo non va mai oltre l’occhiata iniziale allo schermo LCD della fotocamera. Catturare quelle immagini in uno spazio colore a bit più alto è un totale spreco di spazio su disco.

sRGB è stato sviluppato da HP, Microsoft (e altri) agli albori della televisione per soddisfare le esigenze di gamma di colori della maggior parte dei televisori (le prime versioni dei monitor per computer), e lo standard è stato fissato molto tempo fa. L’etere e i browser internet vivono di una dieta sRGB. Come tale, lo spazio di colore sRGB standardizza il modo in cui le immagini sono ancora viste su monitor e televisori.

Adobe RGB

Se la destinazione finale della tua immagine è la presenza su monitor o display (presentazioni, Internet o display televisivi), questa è probabilmente la scelta migliore per catturare le immagini. Tuttavia, se si scatta per la stampa su carta, sia AdobeRGB 1998 che ProPhoto RGB contengono una gamma più ampia di colori e sono quindi più adatti a preparare le immagini per la stampa.

RAW

In realtà, il secchio ideale per catturare le immagini, in realtà supera le gamme di tutti e tre questi spazi di colore della fotocamera. Sto parlando naturalmente della capacità della tua fotocamera di catturare immagini in formato RAW. Questo è un formato che sostituisce qualsiasi spazio colore definito.

I file RAW catturano il colore nella massima profondità di bit possibile; fino a 14 bit per colore. RAW non è un acronimo; è più una descrizione, significa grezzo. È la registrazione di tutta la profondità di colore limitata e la gamma dinamica non compressa della scena originale. Iniziare in RAW e scendere da lì. è la scelta migliore

Gli spazi di colore delle fotocamere: Conclusione

A questo punto, probabilmente sembra che lo spazio colore della fotocamera sia più simile allo spazio esterno, ma non deve rimanere così tecnico. Basta ricordarsi di catturare le immagini in formato RAW (magari oltre a catturarle come JPG) e poi trasformare i colori lungo la catena di riproduzione a seconda delle necessità.

Editiamo le immagini negli spazi colore della macchina fotografica ProPhoto RGB o AdobeRGB per mantenere tutto lo spazio di colore necessario. Le immagini destinate alla stampa fotografica dovrebbero essere trasposte in AdobeRGB, quelle destinata alla stampa in offset vanno trasposte in CMYK, mentre bisogna ridurre quelle destinate a Internet o agli slideshow in sRGB. 

Semplice, basta!

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Inbound Marketing, cos'è e come funziona questa strategia di comunicazione

 


Quando parliamo di marketing si apre un mondo tutto da scoprire e che circonda la nostra vita giorno dopo giorno, anche quando non ce ne accorgiamo.

Per portare avanti le attività nel modo più funzionale possibile esistono molte strategie e studi in grado di portare benefici e miglioramenti all’attività stessa.

Oggi parliamo del cosiddetto inbound marketing.

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Scrivere è soprattutto un esercizio per migliorarsi

Dai propri errori si impara sempre qualcosa. Dagli errori nella scrittura si impara a scrivere meglio e con metodo.

Si impara a scrivere scrivendo. La scrittura stessa è la migliore palestra di scrittura, la più grande insegnante, unita ovviamente a una sana e onesta autocritica.

Ho ripensato a quando scrivevo da ragazzo, a quando partivo a razzo a scrivere poesie e racconti di avventura o di fantascienza, a iniziare e mai finire romanzi e a ciò che ho imparato da quegli errori, da quell’amatorialità che era ingenua ma piena di amore e passione per la scrittura.

E ho scoperto 4 importanti lezioni di scrittura che mi hanno facilitato nello scrivere storie e anche articoli per il web.

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9 campagne email per attirare in modo efficace nuovi clienti


 

L’email è ancora uno degli strumenti più innovativi e stimolanti per raggiungere nuovi clienti. Ecco 9 consigli di Email Marketing per attirare l’attenzione dei tuoi utenti e convincerli alla conversione.

L’email è uno strumento ormai obsoleto. Ne sei davvero convinto? Nell’anno del suo 50° anniversario, l’email, al contrario, non è mai stata così potente: quasi 105 miliardi di email vengono inviate ogni giorno da circa 4 miliardi di utenti (la metà dell’intera popolazione mondiale) e ancora oggi l’email è canale principale scelto dagli utenti per svariati scopi, questo secondo il Consumer Email Tracker.

Tuttavia, per sfruttare appieno la potenza delle email, devi essere in grado di utilizzarle in modo efficace. In quest'articolo troverai 9 esempi di campagne di Email Marketing realmente efficaci per farti un’idea di come dovresti implementare una campagna per la tua attività.

Crea una campagna basata sulla fedeltà

Quando si tratta di ispirare fiducia, non c’è niente di meglio di una campagna fedeltà, come ad esempio quelle che si basano su strategie di referral marketing. Queste email sono progettate per invogliare i clienti a tornare ad acquistare, poiché ogni volta che finalizzano una conversione riceveranno qualcosa in cambio. Il modo in cui imposti un programma fedeltà dipenderà dalla tua attività. Ad esempio, puoi creare un sistema a punti, in cui ogni volta che il cliente acquista qualcosa da te aumenta il suo punteggio, avvicinandosi a un premio, uno sconto finale o a un upgrade allo stadio successivo del programma.

Una volta che hai implementato il programma, promuovilo online. Una campagna email è uno dei modi migliori per farlo. Puoi far sapere a tutti i tuoi clienti le condizioni del programma e inviare email di follow-up per tenerli aggiornati. 

Invia messaggi di benvenuto automatizzati

Quando qualcuno si iscrive alla tua mailing list, fagli capire di aver fatto la scelta giusta e accoglilo nella tua community. Uno dei modi migliori per raggiungere questo obiettivo è inviare un messaggio di benvenuto. Questo messaggio serve a ringraziarlo per essersi iscritto e delineare alcuni dei vantaggi che otterrà dall’essere presente nel tuo elenco di destinatari. 

Esistono molti modi per automatizzare questo tipo di messaggi, per fare in modo che vengano inviati non appena qualcuno si iscrive. La soluzione a questo obiettivo prende il nome di Marketing Automation e ha il grande vantaggio di farti risparmiare molto tempo, inviando le email al posto tuo.

Ma impostare un flusso di email automatiche non basta: anche scrivere un’email di benvenuto efficace è fondamentale. Non tutti i settori vendono prodotti facili da capire e usare, quindi fornisci ai tuoi clienti più dettagli su di te e su come utilizzare al meglio i tuoi prodotti o servizi.

Dai la possibilità di scegliere quali email ricevere

Questo non è un vero e proprio esempio di campagna email, ma è qualcosa che è importante offrire ai tuoi clienti per tutelare la tua reputazione: se i clienti non hanno il controllo di ciò che ricevono da te, potrebbero iniziare a disinteressarsi alle tue comunicazioni, con conseguenti problemi di deliverability.  

Per evitare che ciò accada, ti consigliamo di assicurare al cliente il controllo sulle email che vuole ricevere da te. Disporre di un centro preferenze consente di personalizzare l’esperienza cliente e fargli scegliere di ricevere solo le email che trovano utili. 

Dovrai dare loro la possibilità di scegliere la frequenza con cui ricevere le email, selezionare le categorie di cui desiderano ricevere informazioni e modificare l’indirizzo email a cui invii i tuoi messaggi. In questo modo, non inizieranno a ignorare le tue email poiché non riceveranno email su argomenti a cui non sono interessati. 

Ricorda di aggiungere collegamenti al centro preferenze nel footer dei messaggi. In questo modo, i clienti possono facilmente trovare le impostazioni e modificarle se necessario. 

Invia offerte personalizzate

Le aziende che fanno affidamento su una comunicazione personalizzata hanno riscontrato molto più successo rispetto alle tradizionali email standard. Se hai dati sulla tua base di clienti, sarà molto più facile da realizzare di quanto tu possa pensare. Con un servizio di invio professionale come Sendinblue, iniziare a creare dei segmenti all’interno del tuo database e inviare messaggi con campi e contenuti dinamici sarà immediato e incredibilmente semplice.

Sendinblue ti offre l’editor drag&drop che ti permette di creare email e aggiungere contenuti e campi personalizzabili. 

La personalizzazione è potente ed estremamente efficace: supponiamo che sul tuo sito sia in corso una campagna di vendita di scarpe da donna. Puoi inviare un’email a tutte le donne sulla tua mailing list per avvisarle di questa campagna. Dal momento che stai inviando l’email solamente alle persone potenzialmente interessate, vedrai un tasso di successo e conversione molto più elevato. 

Una buona segmentazione della base clienti è la chiave per costruire ottime offerte personalizzate. Ti consigliamo di suddividere ed organizzare le tue liste di clienti contattabili via email in diversi segmenti, in modo da poter inviare facilmente le comunicazioni alle persone giuste.

Invia email transazionali

Un’email transazionale, inviata subito dopo che un cliente ha completato una determinata attività sul tuo sito web, consente di aumentare il tasso di fidelizzazione dei clienti e confermare che la loro fiducia è stata ben riposta. 

Ad esempio, una delle tipologie di email transazionali più comunemente nota è l’email del carrello abbandonato. Se qualcuno aggiunge qualcosa al carrello e poi abbandona il sito, puoi inviargli un’email a riguardo, in cui offrire uno sconto per invogliarlo a tornare indietro e completare l’acquisto. 

Puoi anche automatizzare le email da inviare ai clienti se è passato un po’ di tempo dall’ultima visita al sito, impostando come condizione trigger dell’invio un filtro di tempo dall’ultima visita. Queste comunicazioni spingeranno il cliente a tornare da te facendo leva sul loro interesse precedente.  

Invia sconti e offerte periodiche

Questo è un altro modo molto popolare di utilizzare le campagne email. Puoi coinvolgere la tua base di clienti inviando periodicamente sconti per determinati prodotti o offerte sull’intero ecommerce, se lo desideri

Funziona bene perché molte aziende rendono questi vantaggi esclusivi per coloro iscritti alla mailing list. Ad esempio, puoi inviare un codice sconto solo alle persone iscritti alla tua newsletter, in modo tale che possano ricevere offerte che i clienti normali non possono ottenere. Renderai molto più allettante l’iscrizione e aumenterai la tua lista contatti, oltre che le probabilità di conversione. 

Tieni aggiornati i clienti sui contenuti

Come ben sai, se gestisci un sito web, devi tenerlo costantemente aggiornato. Mantenere il sito aggiornato contribuisce alla tua ottimizzazione SEO, quindi più persone lo troveranno quando cercano su Google servizi e prodotti come quelli che offri tu. È anche un ottimo modo per mantenere i clienti coinvolti, poiché continueranno a tornare per leggere le novità.

La maggior parte dei proprietari di siti rispetta questa regola pubblicando continuamente contenuti nuovi e interessanti. Un blog è un ottimo modo per pubblicare aggiornamenti continui, informare i clienti su tutto ciò che stai facendo e, naturalmente, migliorare l’ottimizzazione SEO.  

Puoi inviare email con aggiornamenti sul blog e i post che i clienti potrebbero trovare utili. Puoi inviare l’email come “resoconto”, mostrando loro i contenuti che potrebbero essersi persi. Queste campagne sono anche ottime per dare al cliente maggiori informazioni su una nuova linea di prodotti o nuovi lanci che stai effettuando. 

Chiedi un feedback

Di solito, l’email è una comunicazione unidirezionale. Tu invii l’email e il cliente decide se vuole leggerla o meno. Tuttavia, puoi rendere la conversazione bidirezionale chiedendo ai clienti di inviare un feedback sulla tua attività. 

In questo modo i clienti avranno l’opportunità di farti sapere cosa ne pensano e potrai sfruttare queste informazioni a tuo vantaggio, per avere un’idea di ciò che piace e non piace ai tuoi clienti relativamente al tuo servizio. Questi dati daranno quindi forma a eventuali miglioramenti futuri. 

Puoi farlo anche in modo più mirato. Ad esempio, quando un cliente acquista qualcosa, puoi inviare un’email di follow-up chiedendo di lasciare una recensione del prodotto. 

Prova a utilizzare i pulsanti CTA per consentire ai clienti di ottenere maggiori informazioni

In alcuni settori, i tuoi clienti avranno bisogno di maggiori informazioni prima di acquistare da te. Ad esempio, se vendi assicurazioni, di solito non possono ottenere tutto ciò che vogliono dal sito web. Ecco perché è consigliabile inserire un pulsante CTA che conduca i clienti su una landing page specifica con maggiori dettagli e informazioni o che consenta loro inoltre di contattarti direttamente via email. 

Puoi creare una landing page specifica senza conoscenze o competenze specifiche, semplicemente utilizzando editor drag&drop, disponibile gratuitamente nei piani premium di Sendinblue. Oppure puoi anche impostare nella mail un pulsante (CTA bulletproof) che guiderà il tuo cliente direttamente nella casella di posta del tuo team di vendita o assistenza clienti. 


Se desideri ricevere maggiori informazioni su Sendinblue o se vuoi provarlo, usufruendo degli esclusivi vantaggi riservati ai clienti della Insight Agency contattaci su whatsapp


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Illuminiamo la notte con il light painting

 
 Le nostre fotocamere possono catturare molto più di quanto i nostri occhi riescano a percepire. La “pittura luminosa” (o light painting) è un esempio calzante: a occhio nudo, una notte buia è solo buia. Se però blocchiamo la fotocamera su un treppiede, apriamo l’otturatore e agitiamo in giro una torcia, di colpo il sensore comincia a vedere le cose in modo diverso da noi. Per lui, la luce è cumulativa: quando quella ambientale è poca, possiamo offrirgliene altra, sommarla per gradi, e fargli vedere con precisione quello che vogliamo. Con una sola torcia possiamo illuminare interi elementi di un paesaggio e da più angolazioni, dare rilievo ad alcuni dettagli, nasconderne altri o anche cambiare il colore della notte. La pittura luminosa è un’arte, ma non è difficile cominciare a praticarla! Provala, come noi, sul paesaggio per avere risultati sbalorditivi!

 

Sul campo. La preparazione

  1. Fotocamera. La nostra fotocamera è stata impostata sul tempo di posa B, con diaframma f/11 e ISO 800. Come di giorno, un diaframma abbastanza chiuso assicura sufficiente profondità di campo da tenere a fuoco primo piano, alberi e cielo in distanza.
  2. Scatto Remoto. Serve un sistema wireless per lasciare la fotocamera sul treppiede e avviare l’esposizione quando siamo in posizione.
  3. Treppiede. L’esposizione si protrarrà per minuti e la fotocamera deve rimanere immobile, quindi il treppiede è d’obbligo. Non spostiamolo tra uno scatto e l’altro: una posizione fissa ci dà la possibilità di unire più inquadrature in post-produzione.
  4. Cielo. Una leggera luminosità nel cielo aggiunge atmosfera e dà più risalto agli alberi all’orizzonte. Qui l’alone arancione è l’inquinamento luminoso di una cittadina a pochi chilometri. Combinato con le nuvole basse e lente, sembra uno strano tramonto.
  5. Accessori Notturni. Di notte conviene portare con noi solo le cose che ci serviranno per la sessione. Arriviamo sul posto prima del buio e controlliamo bene i dintorni. Oltre alla torcia che useremo come pennello, portiamone una da testa da tenere accesa tra gli scatti.
  6. Torcia. Questa scena è illuminata dalla torcia puntata sugli alberi e sul terreno nel corso di un’esposizione di circa 2 minuti. La nostra torcia è una potente luce LED per bicicletta, acquistata su eBay per poche decine di euro.

 

I trucchi. Brillanti esempi

Schermiamo la lampadina. Il punto di luce alta della lampadina non deve vedersi nello scatto, quindi schermiamola rispetto all’obiettivo, con la mano, il corpo o con un paraluce fai-da-te di cartone, come quello nell’immagine.

 


 Proviamo con le gelatine. Sperimentiamo con pennellate colorate. Nello scatto di esempio, la torcia nuda dava un impatto freddo agli alberi, così è stata modificata con una gelatina arancione. Possiamo anche mescolare più colori (qui, a metà sessione siamo passati al blu).  

 

 
Muoviamo la luce.  Se la scena è illuminata dalla posizione della fotocamera, appare piatta. Cerchiamo invece di dirigere la luce da un lato o dall’altro per enfatizzare forme e profondità. Indossiamo abiti scuri per muoverci senza apparire nello scatto.
 
 

Camminiamo sulla scena. Passeggiamo all’interno della scena, evitando di puntare la torcia verso l’obiettivo, per evidenziare alcuni punti. Ricordiamo che la luce si somma: più a lungo illuminiamo un oggetto e più apparirà chiaro nell’immagine finale.

Passo a passo. Uniamo più scatti.

Combiniamo più scatti. Apriamo le immagini in Adobe Photoshop, copiamole una sull’altra e sperimentiamo con i metodi di fusione. Schiarisci e Scherma sono particolarmente indicati. In alternativa, aggiungiamo una maschera di livello e pennelliamo in nero per nascondere e in bianco per rivelare parti della scena.
 
 

Bilanciamento. Non fidiamoci del bilanciamento automatico perché può essere ingannato dalla scarsa luce. Scattiamo in RAW e impostiamo il bilanciamento in fase di conversione in Camera Raw/ Lightroom. Possiamo introdurre viraggi creativi con i cursori di Tinta e Temperatura.
 
 

 
Scherma e brucia. Schiarire o scurire selettivamente parti dell’immagine può evidenziare o sfumare i dettagli più luminosi – ed è indispensabile, perché è difficile bilanciare bene la luce allo scatto. Usiamo strumenti locali come Pennello correttivo o Filtro radiale di Camera Raw/Lightroom.
 
 

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Summer Marketing: le strategie estive dei brand


Anche durante la bella stagione il marketing non va in vacanza: le persone viaggiano, passano più tempo con gli amici ma non per questo risultano irraggiungibili, è sufficiente cambiare i touchpoint  e, con un po’ di creatività, l’estate diventa un ottimo periodo per aumentare l’awareness del brand. Vediamo insieme come con il summer marketing cambiano le strategie!

Strategia di summer marketing: contest sui social

Le nostre abitudini in estate sono diverse rispetto al resto dell’anno e il fatto che tutti abbiano con sé uno smartphone rende questo periodo adatto ad azioni di marketing differenti dal solito: ed è qui che entra in gioco il summer marketing.

Una soluzione efficace, e ormai testata in diversi settori, sono i contest, concorsi a premi che, oltre a creare awareness, interazioni, sono anche utili per la successiva profilazione degli utenti.

Ci sono diversi tipi di contest online. Soffermiamoci sui più noti, senza dimenticare che in Italia questi rappresentano dei concorsi a premi regolamentati dalla legge.

Instant Win

Il format Instant Win prevede una possibile vincita immediata e per questo è tra le soluzioni più efficaci per chi organizza un contest online. Tra gli esempi più frequenti, i meccanismi “gratta e vinci”, “indovina il personaggio” o “rispondi al quiz” e attività come caricare una foto su una landing page e compilare un form per provare a vincere.

Social Photo Contest

Il format Social Photo Contest permette ai brand di sfruttare gli UGC (User Generated Content), gli utenti condividono foto e video su uno specifico tema di campagna deciso dal brand. Di solito viene richiesto agli utenti una mention del profilo brand in aggiunta all’hashtag del contest, con lo scopo di rendere virali questi contenuti (e il brand!) e di monitorarne la diffusione online.

Form & Win

Il format Form & Win è una variante dell’Instant Win, ma viene identificato come format a sé perché si presta molto bene al contesto del live (spettacolo, concerti, eventi di piazza). Questo perché tramite stand oppure personale addetto, il brand può invogliare i partecipanti a lasciare i propri dati personali per provare a vincere un premio. 

Pop up store nel summer marketing

Si tratta di Shop temporanei che interessano brand in ogni fascia di prezzo, da OVS ai brand di lusso come Prada, Louis Vuitton, Versace e così via.

Curati in ogni minimo dettaglio, i pop up store non sono certo una novità, ma lo è il numero di aperture in tutta Italia proprio durante la bella stagione. Vengono principalmente aperti nelle città turistiche, da Capri a Portofino, diventando delle vere e proprie attrazioni.

In questa estate post Covid, oltre che nel centro città, fioriscono pop up store anche all’interno di alberghi o resort di lusso. Tra cui il pop up store di Louis Vuitton al Forte Village oppure l’iniziativa #PradaOutdoor con i suoi pop-up store e installazioni in-store.

 



Il potere del product placement nel summer marketing

Il Product Placement è una tipologia di pubblicità indiretta che consiste nell’inserire prodotti o servizi all’interno di un contenuto (un film, una canzone, un videogioco) riuscendo perfettamente ad integrarsi con esso.

Per il secondo anno consecutivo il Product Placement avviene in una hit estiva. È il caso di Coca-Cola, brand nominato nel ritornello della nuova canzone “Mille” di Orietta Berti, Fedez e Achille Lauro. 

Il celebre marchio di bevande ha scelto proprio questi artisti per svelare in anteprima il restyling di uno dei loro prodotti di punta, in uscita nella metà di luglio e ben visibile all’interno del video musicale. 

Una strategia che permetterà al marchio di beneficiare della visibilità dei singoli artisti e della popolarità della canzone in uno dei periodi dove le vendite raggiungono il picco.

 


 

Campagne Out Of Home

Con l’arrivo dell’estate va da sé che il tempo passato fuori casa aumenta e uno strumento da sfruttare diventa l’OOH. Dai cartelloni pubblicitari al wrapping dei mezzi pubblici, aumenta radicalmente la possibilità di essere notati.

Guardando al settore OOH nell’estate del 2020, si è verificato un cambiamento interessante, in risposta alla pandemia, si è diffuso sempre più il Programmatic Digital Out of Home (DOOH). 

Grazie all’utilizzo di dati real time, il DOOH, permette di erogare contenuti specifici e interessanti a potenziali clienti basandosi ad esempio sul momento della giornata, sulla stagione, sul meteo, sui risultati di un evento sportivo e altro ancora attraverso formati dinamici e automatizzati. 

Ne è un esempio la campagna di McDonald’s weather reactive, che incorpora nei suoi display creatività dinamiche mostrando la sua gamma di Iced Frappé man mano che la temperatura esterna iniziava a salire. 

 


In estate, quindi, cambiano gli strumenti e anche il modo di comunicare con la propria audience ma è possibile fare marketing anche in questa stagione dove raggiungere il pubblico può essere più difficile.

Il successo sta nel comunicare in modo meno convenzionale, rendendo virale il nome del proprio brand (come in una hit estiva) o semplicemente aumentando i touchpoint con l’audience, facendosi trovare nel luogo giusto al momento giusto con un’experience impeccabile.


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Cos’è il brand naming e perché è importante


Come abbiamo già visto in un precedente articolo, l’attività di naming (letteralmente, “nominare, dare un nome”) è uno dei passi fondamentali che chiunque stia progettando il proprio brand si trova ad affrontare. Il nome non è una semplice parola, ma rappresenta l’identità del brand, ed è – insieme al logo – il suo biglietto da visita.

In altre parole, un nome efficace è un nome rappresentativo del brand, dei suoi valori e del suo messaggio. Contemporaneamente, è un fattore di differenziazione dai concorrenti e un modo per comunicare efficacemente con i consumatori.

È inoltre immutabile nel tempo: possono cambiare il logo, il target o il modo di comunicare, ma il brand name rimane lo stesso. È quindi un vero e proprio asset immateriale per il brand, che ha un proprio valore più o meno consistente a seconda del successo del brand.

Arrivati a questo punto verrebbe da chiedersi se c’è un metodo infallibile per scegliere il nome perfetto, garante di successo per il brand che ne è portatore. Purtroppo – o forse per fortuna – tale metodo non esiste. Nell'articolo precedente abbiamo già introdotto alcuni concetti chiave e spiegato che forma ha un nome aziendale, oggi riprendiamo quei concetti e li approfondiamo ulteriormente, con alcune semplici regole che posso facilitare il processo di naming. Scopriamole insieme.

Le fasi del brand naming


A meno di non avere illuminazioni improvvise e veder apparire a chiare lettere il nome perfetto, chiunque voglia trovare un nome efficace dovrebbe seguire un processo, esemplificato di seguito in queste fasi:

  • Analisi del mercato e della concorrenza: in questa fase è importante identificare i propri punti di forza, le caratteristiche distintive su cui puntare, capire dove si posizionano i competitor e dove vogliamo che si posizioni il nostro brand.
  • Brainstorming: in questa fase si da il va libera alle idee. Una volta individuato il contesto di riferimento sarà più facile imboccare la strada per arrivare al nome giusto.
  • Scrematura: questa è la fase convergente che segue quella divergente di raccolta delle idee ed è caratterizzata dalla scelta dell’idea migliore da portare avanti.

In questo caso è fondamentale tenere in conto anche l’aspetto legale: un nome già esistente non può ovviamente essere registrato. La registrazione è una forma di tutela sia per l’azienda che per il consumatore: per la prima protegge l’identità e la proprietà del nome, per il secondo è garanzia di qualità. Pensiamo ad esempio alle cause intentate contro l’uso improprio del nome Parmigiano Reggiano da parte di aziende straniere.

Ma una volta arrivati a questo punto, come si fa a capire qual è il nome giusto? Come abbiamo detto, non esiste una regola universale, ma alcuni semplici accorgimenti possono aiutare.

SMILE e SCRATCH

Come dovrebbe e non dovrebbe essere il brand name

Una dei maggiori esperti mondiali di brand name, la statunitense Alexandra Watkins, nel suo libro “Hello, My Name Is Awesome: How to Create Brand Names That Stick” elenca cinque caratteristiche che un buon nome dovrebbe possedere, riassumibili nell’acronimo SMILE.

  • Suggestive: essere evocativo del brand. Attenzione però: non si parla di riferimenti descrittivi, ma metaforici e allusivi all’universo semantico del brand e ai suoi valori;
  • Meaningful: essere significativo per il target di riferimento, al fine di comunicare in modo intuitivo cosa fa il brand;
  • Imagery: anche in questo caso, il nome deve essere evocativo, ma stavolta in senso visuale: deve richiamare un’immagine alla mente;
  • Legs: letteralmente, deve avere “le gambe”, ovvero dev’essere capace di oltrepassare le mode e durare nel tempo. Come abbiamo visto, infatti, il nome di un brand non cambia nel corso del tempo. Scegliere quindi un nome “di moda” non è una buona mossa;
  • Emotional: un buon nome deve emozionare, richiamando sensazioni positive.

Ci sono però al contempo alcune caratteristiche da evitare, che Watkins elenca come SCRATCH.
Eccole di seguito:

  • Spelling-challenged: il nome non dev’essere difficile da scrivere, nel caso in cui un potenziale consumatore voglia cercare il brand in rete, evitando confusione tra pronuncia e scrittura. Questo vale soprattutto per i nomi anglosassoni, per cui spesso il modo in cui si pronuncia una parola non equivale a come questa viene scritta, ma anche i brand italiani devono far attenzione nel caso in cui scelgano una parola inventata;
  • Copycat: vietato copiare. Il nome ideale è unico, e non richiama quello di altri brand.
  • Restrictive: un nome troppo specifico è limitante e impedisce al brand di espandersi.
  • Annoying: da evitare nomi forzati e poco comprensibili.
  • Tame: poiché il nome ideale deve suscitare emozioni (vedi la E dell’acronimo Smile, Emotional), non può essere piatto e poco comunicativo.
  • Curse of knowledge: tale espressione significa “la maledizione della conoscenza”; in questo caso indica che non si deve dare per scontato che tutti possano capire un determinato concetto o riferimento, quindi il nome non dev’essere “da addetti ai lavori”.
  • Hard to pronounce: ricollegandoci al primo punto (Spelling-challenged) il nome non dev’essere difficile da pronunciare, per evitare incomprensioni e difficoltà. Ricordate quando fu lanciata in Italia la piattaforma streaming Dazn? Inizialmente c’è stata confusione sulla corretta pronuncia, tanto che il brand ha realizzato un video chiarificatore con protagonisti Diletta Leotta e Bobo Vieri, in cui la prima insegnava al secondo come pronunciare il nome.

Esempi celebri: Amazon e Spotify

Vi siete mai chiesti perché alcuni noti brand si chiamano così? Ripercorriamo la nascita dei nomi di due colossi nel loro campo: Amazon e Spotify.

Forse non tutti sanno che quella che oggi noi chiamiamo Amazon inizialmente era nata con il nome Cadabra, derivante dalla parola “Abracadabra”, perché nell’idea del fondatore Jeff Bezos quella che allora era una semplice libreria online doveva funzionare in maniera veloce e semplice, come una magia.

Pare che il cambiamento fu dovuto ad un misunderstanding: l’avvocato del fondatore capì “Cadaver” – “cadavere” (ecco l’importanza della pronuncia!). Per evitare di incorrere in errori simili, fu necessario un cambio nome.

La scelta del nuovo nome fu ispirata dal Rio delle Amazzoni, il più grande fiume del mondo, come Bezos si augurava che diventasse la sua libreria. Ma tale decisione è dovuta anche ad un motivo più pratico: un nome che inizia per A risulterà tra i primi in un elenco.

Per Spotify la scelta del nome fu invece del tutto casuale: come racconta uno dei fondatori, Daniel Ek, lui e il socio Martin Lorentzon erano ognuno nella propria stanza, intenti a ragionare su un possibile nome per il loro business (ricordate la sopracitata fase di brainstorming?). Ad un certo punto Martin urlò una parola che Daniel interpretò come “Spotify”; una volta verificato che il dominio non fosse già registrato (mai tralasciare l’aspetto legale, come abbiamo visto), questo diventò il nome ufficiale del brand.

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Ritratto creativo con flash e… farina!

 


Volete realizzare un ritratto super creativo? Tutto quello che vi occorre sono tre flash portatili e un po di farina.

La finissima polvere sospesa nell’aria, infatti, segue le mosse del soggetto ritratto – un ballerino – consentendoci di catturarne l’azione ed esaltarne i movimenti.

Allestire il set e scattare ritratti simili a questo non è troppo difficile. Bisogna però imparare a disporre le luci, suggerire le pose al soggetto e servirci della polvere nella maniera più efficace. L’illuminazione ha un ruolo decisivo. Sebbene sembri un allestimento complicato, avremo bisogno soltanto di tre economici flash portatili e di un paio di ombrelli per “guidare” la luce.

Inoltre, non c’è bisogno di uno studio. Va bene qualunque spazio di medie dimensioni o persino un esterno di notte (ovviamente se temperatura e umidità lo consentono). Noi abbiamo scattato in un parcheggio sotterraneo e la location ha offerto l’indubbio vantaggio di semplificare le operazioni di pulizia dopo la sessione.

Ritratto creativo passo passo

1 – Troviamo la location più adatta

Ci serve un ambiente con poca luce e uno sfondo nero (noi abbiamo scattato in un parcheggio sotterraneo). Facciamo il possibile per arginare la diffusione della farina, disponendo opportunamente i fogli di polietilene e la tela cerata a protezione della scena.

2 – Disponiamo le luci

Nel nostro allestimento a tre flash (impostati in modalità Manuale), quello frontale era diretto verso il soggetto attraverso un ombrello bianco, quello dietro a sinistra era riflesso da un ombrello argentato e su quello dietro a destra è stato montato un beauty dish.

3 – Ritratto: usiamo l’esposizione manuale

Usiamo i flash separati dalla fotocamera impostando l’esposizione manuale. Partiamo da un tempo di posa di 1/200 di secondo. Poi regoliamo la potenza dei flash, il diaframma e la sensibilità fino a quando l’esposizione sarà corretta. Nel nostro caso abbiamo scelto f/6.3 e ISO 400.

4 – Setacciamo la farina

Per essere “scientifici”, abbiamo provato due tipi di farina ma non abbiamo notato grandi differenze tra quella normale e quella con il lievito dosato. Passate al setaccio, rimangono entrambe in aria più a lungo. Il nostro modello ne ha tenuta un po’ in mano per lasciarla andare ballando e saltando.

5 – Scegliamo un abile modello

Uno scatto come questo è possibile solo con un soggetto consapevole dei suoi movimenti. Potendosi fidare della capacità del modello di mettersi in pose interessanti, saremo inoltre più liberi di concentrarci sulla scelta del momento e sulla composizione.


6 – Ritratto creativo: divertiamoci con le luci

Luci di taglio e controluce danno questo contorno chiarissimo sui due lati del corpo. Il modello dovrebbe assumere posizioni che sfruttino al massimo questa illuminazione girando la testa da un lato o dall’altro. Una posizione frontale non funzionerebbe.

 

 

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Come creare il feed perfetto su Instagram: 4 passaggi fondamentali


Hai mai pensato all’importanza del feed di Instagram?

Il feed di Instagram è il biglietto da visita del tuo profilo. È un po’ come accogliere un ospite a casa tua: preferisci accoglierli in una casa ordinata, pulita, con uno stile ben definito oppure in una casa disordinata, con un’accozzaglia di stili e colori?

Ogni elemento di un feed deve avere un senso e dev’essere studiato strategicamente, perché trasmette i valori e la visione del tuo brand: creare un feed coeso e “tarato” sugli obiettivi del tuo business è fondamentale.

Ci vuole pazienza e studio strategico, lo so. Ma un feed con una personalità definita, ti assicuro, non è un’opzione: è una necessità.

Siccome sono qui per aiutarti, eccoti 4 suggerimenti su come creare il feed perfetto su Instagram. Cominciamo?

Consiglio #1: Scegli lo stile del tuo feed

Studiata la strategia di comunicazione, gli obiettivi da raggiungere e i KPI, devi scegliere il modo migliore di comunicare il tuo brand. Su Instagram, questo si traduce anche nella scelta dello stile del tuo feed.

Prenditi il tempo per capire per quale stile optare, se prediligere colori caldi o freddi, se usare pattern oppure no, e scegli la soluzione più consona a rappresentare il tuo brand. Valuta la creazione di una moodboard, che può guidarti nel realizzare un feed con una personalità accattivante e chiara e aiutarti a stimolare la creatività.

Puoi anche prendere spunto da altri, ma senza copiare: piuttosto, “ruba” i concetti che ci sono dietro, studia la coerenza visiva e cerca di dare un’interpretazione alla strategia che potrebbe esserci a monte.

Consiglio #2: scegli i contenuti adatti all’estetica del tuo feed

Hai scelto estetica e stile del tuo feed? Bene, il primo, fondamentale passo è fatto. Ora devi creare contenuti adatti al tuo feed e al tuo pubblico, che aumentino l’engagement arrivando alle persone giuste.

Se il tuo feed ha personalità e “risuona” con i gusti dei tuoi follower, hai fatto centro! Ti consiglio di studiare un po’ di graphic design e fotografia, magari specifica per smartphone: su Instagram conta l’autenticità e non la perfezione, ma conoscere le basi ti aiuterà a pubblicare foto e immagini più efficaci.

Nella tua content strategy dovresti includere anche gli UGC (User Generated Content), i contenuti creati dagli utenti, che hanno un valore elevato perché rappresentano il legame tra te e i tuoi follower e aiutano a rafforzare il rapporto con il tuo pubblico.

Piuttosto, evita le foto stock, quanto di più lontano da un feed con una personalità forte.

Consiglio #3: utilizza i filtri per dare coerenza visiva al tuo feed

Uno dei modi più semplici per dare coerenza visiva al tuo feed è utilizzare i filtri. Evita di cambiare filtro a ogni contenuto: ricordi la similitudine della casa disordinata? Scegli il filtro (o un set di filtri) che più si addice alla personalità del tuo brand e non cambiare.

Per trovare (o creare!) il filtro perfetto, puoi usare app come VSCO, InShot o Adobe Lightroom, che ti offrono, gratis e a pagamento, una miniera di possibilità.

Consiglio #4: Pianifica!

Hai scelto lo stile del tuo feed, il filtro ideale per comunicare il tuo messaggio e trasmettere correttamente la brand personality al pubblico. Non ti resta che pianificare la pubblicazione dei contenuti.

Fare una content strategy è un lavoro fatto di varie fasi: intanto, scegliere i contenuti da pubblicare in base al target (chi voglio raggiungere?), a ciò che vuoi esprimere (cosa voglio dire?) e come vuoi farlo (come voglio dirlo?). Fare un piano e un calendario editoriale a media-lunga scadenza è la giusta mossa per non ritrovarti a improvvisare.

Il tuo feed deve comunicare rapidamente ai follower, nuovi e “vecchi”, cosa vuoi dire e farlo con chiarezza, dando un’immagine chiara e forte del tuo brand.

Rendi il feed coerente, ma non ripetitivo, testa nuovi contenuti e composizioni inedite, pubblica solo contenuti di valore e non contenuti per riempire degli spazi. Per esempio, se vendi dei prodotti, puoi fare un mix tra ciò che offri e contenuti di tipo informativo o ludico, UGC compresi.

 

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Tredici regole per scrivere email aziendali chiare ed efficaci

Le email costituiscono la principale fonte di comunicazione sul lavoro. Quotidianamente scambiamo email con colleghi, dirigenti, clienti e consumatori ma a volte i destinatari non riescono a comprendere i messaggi ricevuti o, peggio ancora, gli scambi si protraggono per infiniti giorni rubando una notevole quantità di tempo a te e al tuo team. Ecco quindi 13 regole per aiutarti a inviare email più chiare ed efficaci.

1. Scrivi la riga dell’oggetto

La riga dell’oggetto è simile a un titolo, in quanto consente di veicolare informazioni sullo scopo del messaggio immediatamente dall’inbox. Evita gli oggetti troppo generici e opta per una subject line più informativa possibile. Se l’email ha per oggetto un generico “Collaborazione” “Foto” o “Messaggio” il destinatario non potrà infatti farsi un’idea del contenuto, rendendo inutile questo elemento. Aggiungi al contrario dettagli informativi come: “Offriamo uno spazio nella nostra rivista” o “Foto per la sezione viaggi”. 

Anche se l’argomento cambia durante lo scambio, non cambiarlo all’interno dell’e-mail. Non mescolare più progetti in un’unica e-mail e non cambiare argomento quando ricevi una nuova domanda. Inizia una nuova serie di email per questa conversazione. Gli autori di Essay Map raccomandano sempre di seguire una regola: per ogni domanda importante ci dovrebbe essere una conversazione separata.

2. Personalizza

Se conosci il nome del destinatario, usa il suo nome quando ti rivolgi a lui. Se i destinatari sono più di uno, elenca per nome tutti quelli da cui ti aspetti una risposta o un’azione. Un destinatario potrebbe pensare che l’email non sia rivolta a lui se viene indirizzata a tutti in modo generico. Inoltre, utilizzare il nome della persona a cui ti stai rivolgendo rende una conversazione di lavoro meno fredda e distaccata, favorendo maggiormente la collaborazione tra colleghi.

3. Vieni al punto

Le email di lavoro devono essere corte e andare dritte al punto. Evita lunghe discussioni e vaghe digressioni che rubano solo tempo prezioso ai colleghi e non sono indispensabili per la tua comunicazione. Scrivi solo ciò che è davvero rilevante per lo scambio e utilizza elenchi puntati e frasi brevi per rendere ancora più leggibile il testo.

4. Indica la data esatta della scadenza.

Evita di utilizzare la parola “urgente” nella riga dell’oggetto o nel corpo del messaggio. Questo concetto è indefinito: per una persona urgente può voler dire un’ora, per un’altra una settimana. Sii specifico sull’ora e la data entro cui ti aspetti una risposta o un risultato e chiarisci sin da subito le eventuali deadline.

5. Formatta il testo

Un testo non formattato risulta difficile da leggere, ragion per cui è bene dividerlo in piccoli paragrafi. Dopo ogni paragrafo, lascia una riga di spazio, poi due dopo il saluto iniziale e prima della firma. Aggiungi una descrizione a ogni link inserito per spiegare a quale documento conduce e perché il destinatario dovrebbe cliccarci sopra. Cerca di non abusare di grassetto, corsivo e colori. Fai sì che il testo risulti sobrio e pulito: si tratta sempre di un’email aziendale.

6. Scrivi in modo neutro e gentile

L’interpretazione di un testo passa sempre attraverso la soggettività del destinatario e, in particolare in uno scambio di lavoro, è importante evitare ogni rischio di fraintendimento e mantenere un clima sereno e un ambiente lavorativo accogliente. Mantieni quindi un tono neutro ed educato in modo da evitare confusione. Se non conosci bene il destinatario, evita di fare domande personali che possano risultare invadenti ed essere interpretate in malo modo.

7. Salva la tua cronologia chat

Mantieni sempre l’intera catena di messaggi precedenti. È facile dimenticare l’argomento di cui stavi parlando con il mittente nel mare di informazioni che accompagnano lo scambio; la cronologia della conversazione ti aiuterà a ricordare e ricostruire i processi. Ciò è particolarmente utile per coloro che ricevono un gran numero di email contenenti problemi e richieste.

8. Firma le e-mail

Il tuo indirizzo email di lavoro dovrebbe avere un nome neutro, ad esempio nomecognome@azienda, e una firma che includa nome, cognome, qualifica ed eventuali contatti. A queste informazioni puoi aggiungere ulteriori dettagli: nome utente in piattaforme di messaggistica o social network, link al sito web aziendale, prodotti e servizi di recente lancio da promuovere.

9. Aggiungi tutti i collegamenti e i file in un’unica volta

A volte capita che solo dopo aver inviato una email si scopra di non aver allegato un file importante o di non aver specificato il link giusto. Molte persone si ritrovano quindi ad allegare file e informazioni supplementari in una email separata: “ecco il documento che ho dimenticato di inviare”. Evita di incappare in queste dimenticanze per non creare una scissione nella corrispondenza: da una parte la discussione, dall’altra i documenti necessari. Così facendo il destinatario non sa a quale email è meglio rispondere.

Per la stessa logica è meglio inviare tutti gli allegati insieme. Se l’email risulta pesante, invia un link ad un servizio di file hosting, ad esempio wetransfer o transfernow

10. Rileggi prima di inviare

Chiunque può fare un errore o commettere un’imprecisione, scrivere in modo ambiguo o spiegare qualcosa in modo non comprensibile. Quindi, rileggi tutto e controlla se ci sono errori prima di inviare un’email. Se si tratta di un’email particolarmente delicata o importante, effettua un doppio controllo: una prima rilettura per identificare eventuali errori grammaticali e una seconda lettura per verificare il tono utilizzato e la sintassi.

11. Rispondi velocemente

I mittenti non si aspettano una risposta immediata alle email, ma stando ai dati quasi la metà dei destinatari risponde alle email entro un’ora. Invia una risposta appena possibile. Se ciò fa parte delle tue responsabilità dirette (se, ad esempio, lavori nell’assistenza o come coordinatore di progetto) cerca di rispondere entro 15-30 minuti.

Se il tuo lavoro principale non richiede che tu ti debba occupare di corrispondenza via email, dedica due momenti della tua giornata a smistare la posta e rispondere. In questo modo non perderai messaggi importanti e manterrai in ordine la tua casella di posta.

Se invece sei tu il mittente e la tua email richiede particolare urgenza, ricordati di impostare una conferma di avvenuta lettura per essere sempre aggiornato su chi ha letto il messaggio e quando.

12. Invia le e-mail durante l’orario di lavoro

Ci sono tre motivi per cui è bene seguire questa regola:

  1. Il suono di notifica può svegliare il destinatario.
  2. Alcune persone trovano inaccettabile scrivere al di fuori dell’orario di lavoro, compresi i fine settimana.
  3. La tua e-mail potrebbe perdersi tra le altre.

Programma l’invio per un momento successivo se stai scrivendo in un orario non lavorativo. In questo modo è più probabile che il destinatario non perderà il tuo messaggio nell’inbox.  

13. Non inviare parole come “Grazie” e “Prego” in un’e-mail separata

Inviare solo un “Grazie”, “Prego” o messaggi simili come risposta non fa altro che distrarre la persona con cui si sta parlando. Meglio ringraziare in occasione dell’invio di ulteriori documenti o della risposta a nuovi quesiti. In questo modo, nell’email si potrà sia esprimere la propria gratitudine che fornire ulteriore valore.


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Che forma ha un nome aziendale?

Questo è il primo di una serie di post che pubblicherò sul naming. 

Molti pensano che per trovare un nome super, ultra, iper, bello ci voglia inventiva.
Vero, verissimo, senza creatività non si va da nessuna parte, ma è anche importante darsi e dare delle regole da rispettare, altrimenti la fantasia corre a briglie sciolte rischiando di produrre nomi poco efficaci.
Alcuni criteri è il cliente stesso a deciderli (io li chiedo nel primo incontro con il cliente, durante la fase di audit), per esempio: “voglio un nome corto, in italiano, che trasmetta gioia e positività”.
Altri hanno a che fare con:

  • l’essere memorabili
  • il significato
  • i valori e il tono di voce dell’azienda
  • la pronuncia

Vediamo insieme questi elementi, uno per uno.

Essere memorabili

Un nome che funziona è quello che riusciamo a ricordarci anche a distanza di tempo, sembra semplice quando lo sentiamo la prima volta (avrei potuto pensarci io, mannaggia) ma in realtà ha una costruzione tosta alle spalle.

I nomi più memorabili sono familiari, ci fanno sentire a nostro agio quando li pronunciamo, trasmettono sentimenti e sensazioni precise.

Come si trova un nome memorabile?

  • Creando delle rime, per esempio Fritto e zitto è il nome simpatico e irriverente che darei a un food truck che vende olive all’ascolana, arancini e altre golosità che prevedono l’uso di una friggitrice.
  • Usando l’allitterazione e, più in generale, tutte le figure retoriche, come ha fatto Dunkin’ Donuts.
  • Giocando con le parole; qui mi viene in mente la panetteria biologica e vegana Breaking Bread di Roma.
  • Iniziando con forza; le ricerche dicono che le parole che cominciano con d, g, k, p, t, v si memorizzano meglio delle altre, è il caso di Glovo o Kodak.

Il significato

Qual è il mondo che si cela dietro al nome di un’attività o un prodotto? Perché è stato scelto proprio quel nome e non un altro?

Il significato, più o meno nascosto, caratterizza la marca, ne definisce valori e aspetti.
Un nome può essere:

  • descrittivo, dice quello che il brand vende senza mezzi termini, come poltronesofà.
  • evocativo, racconta in modo delicato scenari e atmosfere collegate al marchio/prodotto.
  • un acronimo, cioè una sigla che di solito riprende le iniziali del fondatore o di parole descrittive; AEG o LG sono esempi calzanti di questa categoria.
  • inventato, un nome che all’apparenza non ha significato ma che in realtà ha un potere immenso. Qui si gioca con le parole, si fondono termini, si aggiungono o eliminano lettere. Uno dei casi più famosi di nomi inventati? Amazon.

I valori e il tono di voce dell’azienda

Quando si parla di naming, i valori e il tono di voce dell’azienda contano. Eccome se contano. Anche se l’attività è agli inizi e il mercato è nuovo.

L’identità di un’azienda deve essere coerente dall’inizio alla fine, il nome non può essere un’eccezione:

  • Lush è un brand name spumeggiante, leggero;
  • Nike è forte e dinamico.

Tornando all’esempio strampalato di prima, Fritto e zitto non potrebbe mai appartenere a una persona riservata e che si prende troppo sul serio.

La pronuncia

Immagina di essere in cucina a lavare i piatti perché la lavastoviglie si è rotta. L’acqua è aperta e scroscia mentre tu sciacqui la pentola della pasta. In TV passa uno spot interessante, non puoi vedere le immagini ma senti il messaggio, che ti incuriosisce. Alla fine, ecco il nome del brand… solo fai fatica a pronunciarlo. È un’accozzaglia di lettere (sarà con l’h o senza? ci vogliono due e? la prima era una c o una k?) che stride, fai fatica a ricordare.

Un buon nome è musicale, orecchiabile, riesci a pronunciarlo bene da subito anche senza vederlo scritto.

Qualche eccezione, come sempre c’è, conosci Uniqlo? Dell’origine del suo nome te ne parlerò più avanti.

 

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Story telling fotografico: come passare da uno scatto ad una storia

 

Story telling, di sicuro queste due parole non hanno mai goduto di tanta celebrazione come in questi ultimi tempi.

Sembra che tutto si sia trasformato in un immenso calderone narrativo, a volte anche a sproposito, ma si sà, è così che funziona quando un particolare concetto riesce a fare breccia in modo trasversale.

Ecco che assistiamo alla grande abbuffata… fino a quando il fenomeno non scemerà e tutto tornerà nella normalità, fino alla santificazione in salsa (multi)mediatica del nuovo fenomeno.

Una storia può essere ovunque, ma non tutto cela una storia

Proprio perché ottimi spunti per una narrazione fotografica si nascondono più o meno ovunque, il rischio è che molti di noi, soprattutto chi alle prime armi o chi arso dal fuoco creativo, possano cadere nell’errore che basti puntare una macchina fotografica, inquadrare una scena e scattare per ottenere una buona storia,

Sì, le storie sono ovunque, ma non per questo qualsiasi scena nasconde una storia che valga la pena raccontare.

Che cos’e’ una storia?

La definizione di storia più sintetica di cui dispongo è questa: una storia è la narrazione di eventi concatenati, veri o inventati che siano, che si sviluppano secondo una trama.

Ogni storia ha sempre: 

  • un autore, 
  • una trama 
  • un pubblico di riferimento 
  • oltre che spesso, uno scopo.


Se mi concedete un approfondimento nell’ambito della linguistica, una storia rappresenta uno strumento per stabilire una connessione tra l’autore e il pubblico e si basa su un paradosso: per connettersi con il proprio pubblico di riferimento, l’autore deve essere in grado di suscitare un’emozione, ma, al tempo stesso, per emozionare il proprio pubblico, è necessario che l’autore riesca a stabilire una connessione.

Esempio vs. storia

Non si tratta della stessa cosa e ce ne accorgiamo ogni volta che assistiamo ad una noiosissima presentazione costruita soltanto su dati e informazioni crude, prive di qualsiasi aggancio alla nostra sfera emotiva.

Elencare dei numeri non è raccontare una storia, è fare un esempio.

Ma se il nostro relatore è stato accorto e ha saputo introdurre una variabile emotiva nella sua esposizione, un dettaglio o un aspetto capace di suscitare in noi empatia, ecco che passa dal fare un esempio a raccontare una storia.

Introdurre una variabile emotiva nell’esposizione, è raccontare una storia
ed è proprio grazie a questa variabile emotiva che le storie non ci annoiano o ci annoiano un po’ meno degli esempi.

Per cui, potremmo sintetizzare così: STORIA = CONTENUTO + EMOZIONE


 


 

 

 

 

 

 

 

 

Impariamo a scattare una storia 

Ogni volta che parlo di story telling fotografico, mi piace fare spesso paralleli tra la scrittura e la fotografia, prendendo in prestito molti concetti che sono alla base della teoria della semantica e della critica letteraria, oltre che della linguistica.

Personalmente ho sempre fotografato per raccontare storie, che a volte posso paragonare a racconti brevi, nel caso di scatti sciolti e a sé stanti, o a racconti, nel caso di sequenze o brevi reportage, fino a romanzi di un certo corpo, nel caso di progetti più articolati e complessi.

COSA SEPARA UN SEMPLICE SCATTO DA UNA STORIA?

Personalmente credo che, al netto di un solido intento, uno scatto, per tramutarsi in una storia debba essere il prodotto finale di una visione.

Se l’intento risponde alla domanda perché voglio scattare questa scena, la visione risponde inveve a tutte quelle domande che si riferiscono a come voglio scattare questa scena.

Un solido intento e una visione curata bastano per garantire il passaggio da scatto a storia? Purtroppo no, ma ne assottigliano la distanza.

Perché i nostri scatti si trasformino in storie dobbiamo misurarci con il messaggio che intendiamo trasmettere, con la sua capacità intrinseca di interessare il nostro pubblico di riferimento e con l’empatia che il messaggio, attraverso la nostra personale visione è in grado di suscitare.



 

 

 

Le nostre storie sono spesso racconti brevi

Non dimentichiamoci che spesso siamo chiamati a raccontare storie attraverso un solo scatto e che uno scatto, a differenza di un racconto o ancora meglio di un romanzo, può essere paragonato giusto ad un racconto breve.

Come gli autori di racconti brevi, che non possono contare su descrizioni approfondite di luoghi o di personaggi, né tanto meno su introduzioni o digressioni, anche noi scrittori per immagini, story teller fotografici, dobbiamo imparare a gestire al meglio gli elementi che abbiamo a disposizione per raccontare la nostra storia, eliminare quelli superflui, comporre con attenzione, scegliere la tecnica corretta – che deve sempre essere da supporto e mai protagonista.

La capacità di produrre storie fotografiche di qualità dipende sicuramente da un solido intento, da un messaggio in grado di emozionare e di stabilire una connessione empatica per sé e da una visione – che mi piacerebbe non riduceste ad un sinonimo di “esecuzione” – capace di trasmettere il nostro messaggio.

Vediamo alcuni elementi base per fare storytelling con le fotografie:

Il mood
Il mood è l’umore che tira le fila della narrazione.
Creare il giusto mood non è cosa facile in quanto è qualcosa che si percepisce, ma non si vede.

L’idea
Esporre un’idea attraverso la fotografia può essere abbastanza difficile. Una volta che avete una idea, sarà più facile realizzare le vostre foto.

L’emozione

Usate le espressioni facciali se volete che le vostre foto trasmettano le emozioni giuste. Potete anche farlo catturando un’azione eseguita dal vostro soggetto. Ad esempio, dopo aver mostrato un primo piano delle lacrime di una persona, potete mostrare il viso striato di lacrime, oppure gli occhi rossi e gonfi, le sue mani strette a pugno.

Narrazione
Per far funzionare la narrazione delle foto, dovreste avere bene a mente che cose è successo prima che questa persona piangesse. Ad esempio, nel caso di un bambino potreste mostrarlo mentre tiene la mano di sua madre o mentre guarda i giocattoli attraverso la vetrina di un negozio. Dovreste sapere cosa includere o escludere nella scena, però. Non è necessario mostrare la faccia della madre o del padre. Solo uno scatto della mano del bambino e della mano del genitore. Il gioco della narrazione è fatto di dettagli che stimolano la curiosità.

Il messaggio
Trovate un tema per la vostra storia, usando questo tema per stabilire il messaggio che volete trasmettere. Può essere un oggetto, la posizione, i colori, lo stile o una combinazione di tutto questo, degli indizi in modo che chi guarda sia in grado di formulare idee su ciò che può ancora accadere.


Insomma raccontare con le immagini non è una cosa per pigri

Se vi aspettavate un bel decalogo a punti con i dieci trucchetti per raccontare storie fotografiche, temo di avervi deluso.

Purtroppo narrare è un’arte e, anche se qualche trucco del mestiere, in effetti, esiste, molto ha a che fare con il nostro approccio alla fotografia, che non dovrà mai prescindere dalle conoscenze tecniche, ma le cui conoscenze tecniche non bastano.

Un grandissimo fotografo ripeteva sempre “che la tecnica la imparano anche i muli”. Aveva tragicamente ragione, come sempre, ma dietro quella sua ricorrente butade si nascondeva una secondaria che non pronunciava mai e che lasciava soltanto supporre: “ma i muli non sanno fotografare”.

Perché questo è il segreto e la singolarità della fotografia, quella vera, quella che prova a raccontare e ad emozionare.

È un po’ come avere a che fare con un cocktail, 1/3 di tecnica, 1/3 razionalità, 1/3 di emozione e una spruzzata di culo (nel senso di “fortuna”).

Ecco, questo cocktail, credo rappresenti piuttosto bene la fotografia, per come la intendo, ma l’aspetto ancora più delizioso, empirico, intimo e singolare, che rende la fotografia ancora di più una questione personalissima, è che nessuno di quei terzi è mai davvero 1/3.