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Come utilizzare le email per recuperare i tuoi clienti: 5 esempi di winback email irresistibili

 


Spesso le aziende si concentrano sull’acquisizione di nuovi contatti, dimenticandosi di quei clienti che sono stati raggiunti e corteggiati con tanta fatica. E dal trascurare questi clienti al perderli il passo è breve. Ecco quindi qualche consiglio per recuperare i tuoi clienti con la giusta campagna e riguadagnare la loro fiducia.

Ricevere un sì da un contatto dopo un lungo corteggiamento e stupirlo con i tuoi assi nella manica è sempre motivo di grande soddisfazione. Ma se pensi che acquisire un nuovo contatto può costare fino a 5 volte di più di conservarne uno già esistente e che in media circa il 40% dei ricavi proviene da quei clienti che hanno già acquistato in passato, ti accorgeresti di quanto sia importante mettere in pratica una strategia di recupero clienti che li convinca a ridarti fiducia. 

Le email di recupero clienti sono un’ottimo strumento per mettere in pratica una strategia di convincimento a tornare e un’arma efficace per far crescere le vendite e mantenere pulita e attiva la tua lista contatti. Scopriamo quindi cosa sono, quali sono i loro vantaggi e, soprattutto, quali best practice ed esempi puoi seguire per creare la tua campagna di recupero.  

Cosa sono le email di recupero?

Anche chiamate winback email, queste campagne di recupero sono ciò che serve per riallacciare il legame e risvegliare l’interesse di tutti quei contatti del database che hanno smesso di aprire e cliccare i tuoi messaggi. 

Il loro scopo è quello di stimolare l’engagement del destinatario attraverso sconti, promozioni o contenuti mirati ai suoi interessi. 

Queste campagne di recupero sono spesso inviate in modo automatico dopo che è trascorso un determinato lasso di tempo dall’ultima interazione del destinatario, facendo ricorso alla Marketing Automation per impostare le condizioni di invio giuste (che avrai determinato dopo una giusta attività di testing).  

4 vantaggi delle email di recupero clienti

Le campagne di recupero clienti, oltre che essere il segnale pratico dell’importanza che ogni cliente riveste per l’azienda, possono garantire una serie di vantaggi da non sottovalutare:

  • aumentano il ritorno sull’investimento medio e favoriscono le vendite, in quanto indirizzate a un cliente che ha già mostrato interesse nei confronti del tuo brand
  • mantengono pulito e sano il database, riducendo il numero di clienti inattivi da un lato e favorendo la disiscrizione di quelli irrecuperabili dall’altro
  • tutelano la deliverability, permettendo alle tue email di non essere più ignorate dai contatti ed evitando così i rischi di finire nella cartella spam
  • migliorano le performance delle tue campagne future (circa il 45% dei contatti riattivati inizia ad aprire nuovamente i messaggi successivi).

Come creare una campagna di recupero clienti

1. Individua i clienti inattivi 

Ancor prima di creare una campagna di recupero clienti, assicurati di individuare il segmento di contatti inattivi che rischi di perdere da un momento all’altro. Il ciclo vita dell’utente all’interno di un database, infatti, può attraversare una serie di fasi diverse e ogni lista di contatti presenta segmenti più o meno attivi in termini di engagement. 

Il nostro consiglio è quindi quello di monitorare sempre i vari livelli di engagement del tuo database e di analizzare il comportamento dei tuoi destinatari per determinare il grado di interazione con le tue campagne. Sul lato pratico, puoi consultare le statistiche dei tuoi invii e sfruttare strumenti come i filtri di engagement per definire il cluster di utenti da stimolare e inviare le tue campagne di recupero clienti solo ai segmenti individuati. 

2. Scrivi un oggetto efficace

Senza la giusta subject line, ci sono ottime probabilità che l’utente ignori anche la tua campagna di recupero. Scrivere quindi un oggetto che incuriosisca e faccia capire al destinatario sin da subito l’intento della campagna è fondamentale. Puoi anche considerare di inserire già dall’oggetto la leva che intendi utilizzare per stimolare l’utente, come un codice sconto ad hoc. 

Oggetti che iniziano con “Ci manchi” hanno un open rate medio del 24%, mentre quelli che contengono la parola “Sconto” ottengono in media un tasso di apertura del 20% (Fonte: Klaviyo).  

3. Crea un contenuto che convinca l’utente a tornare

Senza un motivo che convinca il cliente a tornare ad acquistare da te, ottenere indietro la sua fiducia sarà molto difficile. Che sia un codice sconto ad hoc, il suggerimento di un prodotto o servizio che, sulla base dei suoi dati, potrebbe interessargli, o la creazione di una vetrina di prodotti best seller per sfruttare il meccanismo psicologico della riprova sociale, trova qualcosa a cui il cliente non possa resistere. 

4. Invia il messaggio al momento giusto

Recuperare clienti è più efficace quando l’invio viene effettuato con tempismo, senza far passare troppo tempo dall’ultima attività del contatto. Il tasso di riattivazione del cliente raggiunge il 28,5% infatti quando l’invio avviene entro i 3 mesi dall’ultima azione compiuta. 

 


 

5 esempi di messaggi di recupero clienti 

Far sentire importante il cliente: l’esempio di Tula

Con l’oggetto “We never do this but we miss you” (“Solitamente non facciamo così, ma ci manchi”) il brand Tula fa sentire unico e importante il destinatario offrendo un codice sconto ad hoc che faciliti l’acquisto.

 


 

Perché è efficace

Il codice sconto, l’oggetto che incuriosisce e fa leva sull’unicità della promozione, l’inserimento delle recensioni degli altri clienti: tre elementi che rendono vincente questa campagna (+ il codice sconto in bold che non passa di certo inosservato). 

Dai una motivazione per tornare: l’esempio di Glotrition

In questa campagna di Glotrition il vero punto di forza è il copy, che fornisce una motivazione concreta al cliente per tornare, spiegando che l’utilizzo costante e continuativo (quindi anche l’acquisto periodico) dei prodotti del brand è necessario per non invecchiare come il cane del visual (utilizzato in chiave metaforica e ironica, altro plus di questa campagna).

 


 

Perché ci piace

L’associazione metaforica tra le “rughe” del cane in immagine e le rughe che il prodotto di punta del brand farebbe scomparire dalla pelle del cliente è affrontata in chiave ironica e risulta molto persuasiva. 

Ricorda al cliente il rinnovo del servizio: l’email di remind di Netflix

La fine di un’era. Il copy scelto da Netflix, in completo stile cinematografico che si sposa benissimo con il brand, cattura subito l’attenzione del cliente. Il brand nasconde sotto l’apparenza di una semplice email di avviso scadenza l’intento di prevenire un’ipotetica disdetta del servizio da parte dell’utente. 


Perché ci piace

Il copy è coerente con il brand e lascia il segno. L’email non ha un tono insistente e fastidioso e l’invito a continuare il servizio in abbonamento è sottile, impercettibile e non invasivo.  

Comunica una novità per rinnovare l’interesse: l’esempio di Grammarly

Con questa email di recupero, Grammarly informa il cliente di una novità di prodotto/servizio e invita l’utente a scoprirla recuperando il tempo di inattività sull’applicazione. 

Il copy ricorda all’utente che in passato l’utilizzo del tool gli è stato utile per stimolarlo a riprenderne l’utilizzo.


Perché ci piace

L’email ha uno stile semplice, pulito e conciso. Il bottone di CTA in fondo è originale e molto d’impatto. 

Dai un senso di urgenza: l’esempio di Skillshare

In questa campagna di recupero, Skillshare offre uno sconto limitato a una sola giornata per dare un senso di urgenza alla promozione e spingere il cliente a tornare attivo. La promozione assume quindi i tratti di un’offerta irrinunciabile e irripetibile, da cogliere all’istante.


Perché ci piace

Oltre all’offerta il brand avvisa l’utente delle ultime novità che non ha ancora scoperto, creando curiosità e interesse. Dare uno sconto su una mensilità aggiuntiva a un abbonamento che si è recentemente arricchito di nuove funzionalità è un ottimo modo per far scoprire all’utente delle novità per un tempo limitato e convincerlo a proseguire con il suo abbonamento oltre il mese di promozione.

 

Ora tocca a te

Questi erano alcuni consigli teorici e pratici per iniziare a recuperare i clienti persi sfruttando tutto il potenziale del canale email. Ora tocca a te! Inizia a creare le tue campagne di recupero con la tua piattaforma di mail marketing e scopri tutti i vantaggi di questa strategia per aumentare le tue vendite e riattivare l’interesse dei tuoi contatti.

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La segmentazione delle email per l’e-commerce: strumenti e metodi per aumentare i tuoi clienti


Se desideri che la tua piattaforma e-commerce attiri visitatori realmente interessati (facilitando le conversioni) una strategia di segmentazione efficace è ciò che ti serve. Scopri come raggiungere i destinatari giusti con le tue email e farli atterrare sul tuo negozio online per aumentare le vendite.

Con la percentuale di utenti Internet sempre più in crescita e possibilità di accesso al mondo del web sempre più veloci e facili, il numero di consumatori digitali continua a registrare un aumento costante e piuttosto fulmineo. Chi trae direttamente vantaggio da questa tendenza? Il settore dell’e-commerce. Solo nel 2020, più di 2 miliardi di persone hanno acquistato beni e servizi online, per un totale di 4.200 miliardi di dollari in tutto il mondo. 

Con la crescita del numero di utenti delle piattaforme di e-commerce, aumenta anche il numero di attività da svolgere per accaparrarsi l’attenzione del consumatore. E questa potrebbe non essere una notizia entusiasmante per chi opera nel settore. In questo scenario infatti non si può più fare affidamento solamente sui propri servizi e prodotti per coinvolgere i clienti. Occorre sicuramente anche migliorare la conoscenza e reputazione del brand e le proprie campagne di Email Marketing per vincere la competizione.

Quando si tratta di catturare l’attenzione degli iscritti alle tue email, niente è più efficace dell’invio di messaggi personalizzati. Il modo migliore per farlo? La segmentazione, chiaramente!

Dall’aumento della rilevanza delle tue email all’incremento del ROI, i vantaggi della segmentazione sono praticamente infiniti. 

Se non hai ancora implementato la segmentazione per attirare visitatori sul tuo e-commerce, questo è il momento migliore per iniziare. In questo articolo, ti introduciamo al mondo della segmentazione mirata per il settore e-commerce, approfondendo best practice e strumenti che da utilizzare per ottenere il massimo da questa valida tecnica.

Come aumentare le vendite utilizzando la segmentazione

Di seguito alcuni metodi per segmentare i tuoi contatti e i dati che devi tenere in considerazione per creare gruppi e liste con cui formare i cluster del tuo database.

Dati demografici

Se sei un principiante assoluto della segmentazione, non c’è modo migliore per iniziare che utilizzare i dati demografici. Se utilizzi i dati demografici per segmentare gli iscritti alle tue email, sarai in grado di soddisfare i vari interessi dei tuoi clienti classificandoli attraverso diversi parametri: sesso, posizione, età, etc. La segmentazione basata sui dati demografici fornisce già dei profili di buyer persona altamente accurati. Consente infatti di avere le informazioni e i dati necessari per formare diversi cluster e di inviare loro messaggi mirati.

Segmentazione per area geografica:

Se hai due negozi situati in due città diverse, non vuoi sicuramente inviare aggiornamenti relativi a entrambi i negozi a tutti i tuoi iscritti. Al contrario, dovresti segmentare i tuoi clienti in base alla loro posizione e inviare loro solamente gli aggiornamenti dei negozi della rispettiva città. 

Segmentazione per sesso:

Se disponi di sezioni di abbigliamento separate per uomo e donna, l’invio di un’email relativa a un nuovo lancio nella sezione uomo alle tue clienti non servirà a nulla. In questo caso, la segmentazione basata sul genere ti permetterà di arrivare dritto al punto. In poche parole, i casi d’uso della segmentazione basata sulla demografia sono numerosi. Tuttavia, il principale vantaggio è dato dal fatto che ti consente di suddividere il tuo pubblico su parametri molto specifici e servire gli interessi unici di ciascun segmento risultante senza perdere un colpo.

Interessi e preferenze

Se il tuo negozio offre una varietà di prodotti e categorie, il modo più efficace per aumentare le vendite è segmentare gli iscritti in base ai loro interessi e alle loro preferenze di acquisto. Puoi ad esempio utilizzare l’analisi dei loro comportamenti di navigazione, inviare sondaggi oppure sfruttare un centro preferenze, come nell’immagine qui sotto.

Un centro preferenze essenzialmente consente ai tuoi iscritti di scegliere il tipo di comunicazione che desiderano ricevere dal tuo marchio. In termini pratici, supponi di spuntare nell’esempio precedente le caselle relative ai libri di viaggi e ai romanzi storici. I libri che ti verranno consigliati nelle email successive apparterranno esclusivamente a questi generi.

L’aspetto più vantaggioso della segmentazione basata sulle preferenze è che presenta enormi opportunità di cross-selling o upselling. Se sei già a conoscenza del tipo di acquisti che stanno effettuando i clienti di un particolare segmento, l’invio di email altamente mirate che mostrano altri prodotti correlati ai loro interessi attirerà la loro attenzione aumentando le probabilità di conversione.

 Ecco un esempio che ti darà un’idea migliore di cosa stiamo parlando: 


Livello di interazione

Segmentare i tuoi iscritti in base al livello di interazione con il tuo sito web e le email è una tattica altrettanto efficace. Le metriche di interazione con il sito Web, come il tempo trascorso sulla pagina di un determinato prodotto, il numero di visite a una determinata pagina, i drop-off e simili possono fornirti una serie di dati pertinenti sui tuoi clienti. Puoi utilizzare questi risultati per inviare comunicazioni mirate e aumentare le conversioni.

Se osservi un particolare segmento del tuo pubblico che interagisce positivamente con la pagina dei tuoi prodotti di elettronica, allora l’invio di email che offrono sconti su determinati prodotti di questa categoria può incentivare gli appartenenti a questo segmento ad effettuare un acquisto.

Allo stesso modo, anche l’analisi delle metriche di interazione con le tue campagne email può essere incredibilmente utile. Puoi ad esempio creare segmenti diversi e distinguere tra coloro che cliccano e interagiscono regolarmente con le tue email e coloro che sono piuttosto inattivi e passivi. Convertire il primo segmento non dovrebbe essere difficile, mentre per quanto riguarda il secondo potresti concentrarti sulla creazione di campagne di riattivazione ben studiate per risvegliarli. È un argomento interessante di cui torneremo a parlarvi.

Cronologia degli acquisti

Ci sono pochissime cose che ti forniscono tante informazioni su un utente quanto la cronologia dei suoi acquisti. Ogni volta che un cliente acquista qualcosa dal tuo negozio ti permette di dare una sbirciatina ai suoi interessi, alle sue preferenze e alle sue scelte. Tra le altre cose, queste metriche costituiscono eccellenti parametri di segmentazione. 

La segmentazione dei clienti in base alla cronologia degli acquisti ti dà la possibilità di promuovere accessori e consigliare prodotti simili ai loro prodotti di interesse.  

Abbandono del carrello

In termini di gravità, l’abbandono del carrello per i negozi di e-commerce è secondo solo al mancato tracciamento dei clienti che hanno abbandonato i loro carrelli. Il tasso medio di abbandono del carrello in tutti i settori si attesta su uno sbalorditivo 69,57%, un dato che non fa fare salti di gioia. Tuttavia, l’unico modo per ridurre questo valore per la tua azienda è adottare una routine di segmentazione efficace. 

 

 

Crea un segmento separato per tutti i clienti che hanno abbandonato i loro carrelli e cerca di recuperarli con email estremamente pertinenti e ben congegnate. Oltre a ricordare loro di tornare ai loro carrelli abbandonati, dai loro un incentivo (come un’offerta speciale o uno sconto) che li motiverà effettivamente ad andare avanti con il loro acquisto. Naturalmente non sarai mai in grado di recuperare tutti questi clienti, ma se le tue campagne sono ben studiate, allora potresti finire per superare le tue stesse aspettative.

Cosa puoi usare per amplificare le tue strategie di segmentazione

La segmentazione può sembrare complicata se gestita con le tue sole forse, ma con gli strumenti giusti vedrai che può essere una strategia alla portata di tutti ed estremamente immediata.

Una soluzione di Email Marketing professionale può essere una prima mossa per iniziare ad applicare una strategia di segmentazione. Affidarsi a questo strumento ti permette di raccogliere le informazioni necessarie per profilare i tuoi clienti e creare moduli di iscrizione completamente integrati nella tua piattaforma. Successivamente, puoi utilizzare queste informazioni per suddividerle in diversi segmenti e lanciare campagne personalizzate. Anche in questo caso, il ricorso a una piattaforma professionale è estremamente utile per creare gruppi e cluster all’interno del tuo database in modo semplice e immediato.

Ricapitolando

Come azienda di e-commerce, stare al passo con le esigenze e le aspettative dei clienti in continua evoluzione può essere davvero estenuante. Con la segmentazione, tuttavia, non solo puoi stare al passo con le esigenze dei tuoi clienti, ma puoi andare oltre e pianificare anche i passi successivi.

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Cos'è e come funziona la Shrinkflation

 


Che cosa è la Shrinkflation? Perchè è importante saperlo da consumatori? La shrinkflation è la pratica di ridurre le dimensioni di un prodotto mantenendo lo stesso prezzo o addirittura aumentarlo. Un uso meno comune di questo termine può riferirsi a una situazione macroeconomica in cui l'economia si sta contraendo mentre si verifica anche un aumento del livello dei prezzi. Vediamo insieme tutti i dettagli.

Shrinkflation: cos’è e come funziona

Shrinkflation è un termine composto da due parole separate: “shrink”, ovvero restringimento e “inflation”, cioè inflazione. Il termine “shrink” si riferisce quindi alla variazione delle dimensioni del prodotto, mentre “inflation” si riferisce all’aumento dei prezzi.

La shrinkflation è fondamentalmente una forma di inflazione nascosta. Le aziende sono consapevoli che i clienti probabilmente noteranno aumenti di prezzo dei prodotti e quindi opteranno per ridurne le dimensioni, consapevoli che un restringimento minimo passerà probabilmente inosservato.

In sostanza l’azienda aumenterà i profitti non grazie all’aumento dei prezzi, ma facendo pagare la stessa cifra per un pacco che contiene un po' meno prodotto. La ricerca accademica ha dimostrato che i consumatori sono più sensibili agli aumenti di prezzo espliciti che al ridimensionamento delle confezioni. L'efficacia della riduzione dell'inflazione come strategia di prezzo sembra variare tra i diversi tipi di beni e mercati.

La maggior parte dei consumatori generalmente non controlla le dimensioni di un prodotto. Chi ama le patatine, ad esempio, potrebbe non rendersi conto se la sua marca preferita riduce le dimensioni della busta del 5%, ma quasi sicuramente sarà in grado di dire se il prezzo sale dello stesso importo.

Shrinkflation: vantaggi e svantaggi per le aziende

Dal punto di vista aziendale, la riduzione della inflazione è un modo utile per aumentare o mantenere i margini di profitto senza attirare troppa attenzione. Questa tattica viene eseguita più comunemente nelle seguenti situazioni: quando aumentano i costi di produzione o la concorrenza del mercato di riferimento.

I rivenditori spesso si dedicano alla riduzione delle perdite per combattere i costi di produzione più elevati. Quando gli input chiave, come le materie prime o la manodopera, aumentano di valore, il costo per la produzione dei beni finali aumenta.

Ciò successivamente pesa sui margini di profitto, la percentuale di  entrate rimanente dopo tutti i costi. Per le aziende prive di un forte potere di determinazione dei prezzi, ridurre la quantità del prodotto a volte rappresenta l'opzione migliore per mantenere un sano profitto senza compromettere i volumi di vendita.

Le aziende potrebbero anche ricorrere alla shrinkflation per mantenere la quota di mercato. In un settore competitivo, l'aumento dei prezzi potrebbe portare i clienti a passare a un altro marchio. L'introduzione di piccole riduzioni delle dimensioni delle loro merci, invece, dovrebbe consentire loro di aumentare la redditività mantenendo i prezzi competitivi.

Tuttavia, anche le tattiche di shrinkflation possono ritorcersi contro. La maggior parte delle persone non noterà piccole modifiche alle dimensioni di un prodotto ma se lo noteranno si potrebbe avere un effetto dannoso sul sentiment dei consumatori nei confronti del brand, portando a una perdita di fiducia e sicurezza. Ciò significa che le aziende devono anche essere sottili e attenti a non ridurre troppo le dimensioni.

Un altro aspetto negativo della shrinkflation è che rende più difficile misurare con precisione le variazioni di prezzo o l'inflazione. Il prezzo diventa fuorviante, poiché la dimensione del prodotto non può sempre essere considerata in termini di misurazione del paniere di merci.

Shrinkflation: un esempio pratico

Un aumento del costo del cacao avrà un impatto diretto sulle aziende che producono barrette di cioccolato. Piuttosto che aumentare il prezzo del cioccolato (e potenzialmente perdere clienti), l'azienda può scegliere di ridurre le dimensioni del suo prodotto (e quindi la quantità di cacao per barretta) e mantenere il prezzo allo stesso livello.

Altri grandi marchi che si sono impegnati nella riduzione della inflazione includono Coca-Cola, che nel 2014 ha ridotto la dimensione della sua bottiglia da due litri a 1,75 litri nel Regno Unito per trasferire il costo di una nuova tassa sul loro prodotto.

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Knowledge Management: l’alleato per prevenire la perdita di conoscenze in azienda

 


Il ricambio generazionale tra Baby boomers e Millennials è alle porte e il trasferimento di conoscenza, in termini di capitale intellettuale, è strategico per la business continuity

È sempre più vicino il momento in cui un’intera generazione, quella dei cosiddetti Baby boomers, si ritirerà dal mercato del lavoro, facendo sì che i Millennials diventino gli attori principali della forza lavoro. Lo scoccare dell’età pensionabile della generazione che fin ora ha mosso le fila del business impone una riflessione più approfondita del solito su quello che un usuale “passaggio di consegne” potrebbe comportare, avendo a che fare, di fatto, con un passaggio intergenerazionale, tra cui vi è solo la breve parentesi della generazione X (1965-1980), molto assimilabile per caratteristiche, a seconda degli anni di nascita, a Boomers o Millennials.

Tradizionalmente, la metrica principale in azienda è sempre stata il ROI (Return Of Investment), in riferimento al capitale, ma accanto a questo la variabile tempo è qualcosa che ha pari (se non superiore) valore, e al tempo è in indissolubilmente legata la conoscenza (knowledge). 

Come riportato da una recente ricerca di Field Service News richiamata dall’azienda italiana OverIT operande nel settore Field Service Management, le aziende hanno evidenziato come l’invecchiamento della forza lavoro, che raggiunge il 73%, rappresenti una grande preoccupazione per le loro attività. Queste criticità derivano da una carenza di lavoratori qualificati, un divario nelle competenze pratiche e dalla necessità di formare molti neoassunti. 

A quest’ultima si affianca una precedente ricerca condotta già alcuni anni fa a cura della Sloan School of Management del MIT che mette in luce come ai neoassunti necessitino in media più di 20 settimane per iniziare a lavorare al meglio (26 settimane circa per manager e dirigenti) con un costo fino al 2,8% dei ricavi totali. 

Se si pensa a tutti i cambiamenti che il lavoro ha fatto propri negli ultimi anni, ci si rende conto di come la “perdita di conoscenza” per il business rappresenti un costo reale. Seppure il cambio della guardia tra Baby boomers e Millennials è evidente ed imminente, non sarebbe del tutto esaustivo parlare di perdita di know-how solo in termini di pensionamenti. 

Il mondo del lavoro, come del resto tutta l’attuale società, è sempre più – con una parola largamente abusata – “liquido” e per cui la mobilità di personale è all’ordine del giorno, per le più svariate motivazioni, portando ovviamente con sé le proprie abilità e conoscenze.

Correre ai ripari

Ecco, allora, che diventa essenziale parlare di Knowledge Management (KM). In senso lato, il concetto può fare riferimento alla preservazione e alla condivisione della conoscenza ed ha radici nell’antichità con lo sviluppo di biblioteche e strumenti di comunicazione. 

La moderna storia del Knowledge Management, invece, ha inizio nel 1986 quando lo studioso statunitense Karl Wiig, coniando il termine, ne introduce i fondamenti durante una conferenza allestita dall'Organizzazione Internazionale dei Lavoratori delle Nazioni Unite. 

A partire da questo momento, il concetto così formalizzato inizia ad interessare molte importanti aziende soprattutto a carattere multinazionale e godrà di un'attenzione sempre maggiore, tanto da venire considerato indispensabile da molte società che nella realizzazione delle infrastrutture necessarie alla loro implementazione hanno investito capitali ingenti. 

Il Knowledge Management, quindi, è oggi una pratica gestionale a supporto della strategia aziendale ed ha come scopo la costruzione di un sapere diffuso all’interno dell’organizzazione. A tal proposito, richiede un approccio integrato, che tenga conto di tre categorie di variabili: le persone, i processi e le tecnologie.

Ciò permette di esplicitare come, di fatto, il Knowledge Management si concentri sul concetto di conoscenza, declinandola in quello che gli studiosi chiamano “Capitale intellettuale”

Una definizione di quest’ultimo è attribuibile a Thomas A. Stewart, direttore esecutivo del National Center for the Middle Market (NCMM), che afferma: “L’intelligenza e la conoscenza diventano capitale intellettuale quando da un brainpower libero si ricava un certo ordine utile, vale a dire quando ad esso viene data una forma coerente (una mailing list, un database, la scaletta di una riunione, la descrizione di un processo); quando esso viene incapsulato in modo tale da consentire di descriverlo, comunicarlo ad altri e sfruttarlo; e quando può essere applicato per fare qualche cosa che non si potrebbe fare se rimanesse sparpagliato come tante monetine in un rigagnolo. Il capitale intellettuale è sapere utile confezionato”.

Da ciò risulta chiaro come il sapere sia distribuito trasversalmente alle diverse funzioni all’interno dell’azienda. Inoltre, secondo un contributo di Stefano Epifani,  Daniele Biagiotti e Francesco Depaolantoni, il capitale intellettuale “è costituito dalla somma dei suoi asset, composti da capitale umano, capitale strutturale, capitale relazionale”.

 

A ciò si aggiunge il fatto che la conoscenza, nelle sue varie articolazioni come quelle ad esempio sopra riportate, si presenta nelle due dimensioni della disponibilità-assenza di contenuti conoscitivi e della loro consapevolezza-non consapevolezza

Si generano così quattro incroci possibili a cui corrispondono: conoscenza esplicita (disponibile e consapevole) da diffondere previa classificazione (mappatura e archiviazione), conoscenza tacita (disponibile ma non consapevole) da esplicitare mediante scambio di informazioni tra le comunità interessate (communites of practice), gap conoscitivi noti (ossia “ciò che non so, ma so di non sapere”) da ricoprire mediante esplorazione (motori di ricerca, agenti intelligenti, filtri) e gap conoscitivi sconosciuti (“ciò che non so, e non so di non sapere”) da scoprire, per esempio, mediante sistemi esperti ad apprendimento automatico.

 

Il Knowledge Management, allora, deve saper gestire le conoscenze di maggior valore, ovvero quelle che un’organizzazione è in grado di conoscere collettivamente, di condividere e di usare efficacemente per generare valore e per la crescita del business. La triade precedentemente citata (persone, processi e tecnologie) ha al suo interno anche il riferimento alle tecnologie, l’elemento che in maniera sostanziale ha oggi forse più margini di crescita in termini di trasferimento di conoscenze. 

Ad esempio, la conoscenza esplicita può essere espressa in documenti testuali, email, database, pagine web, ecc. e può risultare più o meno gestibile in funzione del livello di formalizzazione e strutturazione con la quale risulta essere espressa: più alto è il grado di strutturazione, più potenti ed espressivi sono gli strumenti informatici in grado di trattarla (ad esempio, le tecnologie delle basi di dati e dei data warehouse usati in applicazioni di supporto alle decisioni).

La via tecnologica

Per di più, adottare tecnologie di ultima generazione è fondamentale per colmare il divario tra il personale prossimo alla pensione, lavoratori provenienti da altre realtà e giovani talenti in arrivo. 

Queste tecnologie includono il concetto di Knowledge Management, sfruttato attraverso la Realtà Aumentata e Intelligenza Artificiale. Sempre in linea con quanto riportato dalla già citata OverIT, la Realtà Aumentata (RA) può essere utilizzata attraverso dispositivi mobili come smartphone, tablet, dispositivi indossabili (smart glass) per presentare informazioni in tempo reale, come istruzioni di lavoro digitali, checklist virtuali e videochiamate interattive. 

L’Intelligenza Artificiale (IA), invece, opera con la Realtà Aumentata per ottimizzare le informazioni presentate all’utente fornendo dati, immagini, video o istruzioni “al bisogno”. In questo modo, facendo collaborare insieme le due tecnologie, sarà possibile offrire un trasferimento della conoscenza intuitivo, automatizzato e interattivo. 

Appare chiaro come i vantaggi dell’integrazione di funzionalità di Knowledge Management all’interno di un’impresa impattino sulla formazione rapida ai nuovi membri del team (fornire orientamento e informazioni in tempo reale ai nuovi arrivati con conoscenza “on demand” che assicuri ai lavoratori di essere formati ovunque, in qualsiasi momento, in loco e senza sprecare risorse); sull'autonomia dei lavoratori sul campo (assistenza e guida da remoto, anche in ambienti con scarsa connettività, annotazioni in AR e condivisione dei contenuti in tempo reale, istruzioni di lavoro digitali, anche offline, conoscenze “on demand”, supportate dall’Artificial Intelligence) e offrano, in generale, un supporto continuo, che si può concretizzare in acquisizione, condivisione e archiviazione di dati essenziali per poterli consultare all’occorrenza, oltre che, ad esempio, alla gestione automatizzata dei dati.

La tecnologia, quindi, gioca un ruolo centrale nella costruzione di soluzioni per la gestione del capitale intellettuale aziendale, ma bisogna sempre ricordarsi che non può ergersi ad unica garanzia del successo: una cultura adeguatamente orientata alla condivisione del sapere, una corretta organizzazione e un’appropriata leadership, la disponibilitàsistemi di incentivazione del personale, sono fattori essenziali per il successo di qualsiasi iniziativa di Knowledge Management, specie se di carattere generazionale.

Alcuni testi che potrebber aiutarti ad approfondire l'argomento:

Knowledge management per la competitività d'impresa. Modelli, strumenti, casi di studio 
di Paola Paniccia 

La guida del Sole 24 ORE al Knowledge management
di Alberto F. De Toni e Andrea Fornasier

La gestione dei contenuti aziendali ed il knowledge management. Nuovi strumenti per il vantaggio competitivo
di Alessandro Zardini
disponibile anche in formato Kindle


 

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Negoziazione strategica: le 5 competenze necessarie

 


La negoziazione è un processo decisionale che consente di raggiungere un compromesso o un accordo evitando discussioni e controversie. Accade spesso, in una discussione, che una persona cerchi di imporre il proprio punto di vista, dimenticando che il successo non è dato dalla vittoria sugli altri ma nel riuscire a ottenere i propri obiettivi prefissati. Ognuno di noi ha degli obiettivi di grande importanza, a cui non vuole fare a meno. Il buon mediatore sa identificarli, trattare e proporre la giusta intesa. Ascolta, media, mette in accordo tutte le parti. Chiunque di noi può diventare un buon negoziatore.

Esistono varie forme di negoziazione che vengono utilizzate in base a diversi contesti e situazioni: vendita, acquisti, contesti giuridici, controversie, accordi con dipendenti, con colleghi, con partner, ecc. Sono poche nel mondo le persone che hanno capacità negoziali innate, tutti gli altri riescono ad apprenderle leggendo e studiando dei libri oppure grazie a corsi di negoziazione.

Le 5 competenze necessarie

Vuoi essere un ottimo negoziatore ed utilizzare al meglio le diverse metodologie di contrattazione? Il primo passo, come detto, è acquistare dei libri, come questo «Negoziazione. Strategie, strumenti, best practice» di Roy Lewicki e Bruce Barry, oppure partecipare a dei negotiation workshop, corsi di specializzazione grazie ai quali acquisisci know-how professionale e metodologie di applicazione. Ti viene insegnato come affrontare i diversi tipi di trattativa, a sviluppare le tue capacità comunicative ed inizi a mettere in pratica il corretto schema mentale volto alla conciliazione.

Ogni processo di negoziazione prevede cinque fasi, che allo stesso tempo rappresentano anche cinque competenze che ogni buon negoziatore dovrebbe possedere:

  1. Preparazione – Capacità organizzativa
  2. Discussione – Capacità comunicativa e assertività
  3. Negoziare verso un risultato win-win – Capacità nella conduzione e nelle trattative
  4. Accordo – Capacità di conciliazione
  5. Linea d'azione – Capacità di pianificazione


 1. Preparazione

Prima di qualsiasi negoziato, è importante decidere quando e dove si terrà l’incontro, chi vi parteciperà, il tempo a disposizione, gli obiettivi prefissati. Come in una battaglia, il generale parte avvantaggiato se conosce già luogo, uomini, disposizioni, tempi e strategie d’azione. In questa fase devi assicurarti che tutti i fatti pertinenti siano condivisi e ricordare ai partecipanti le "regole di gioco". Ne risulta che, devi essere una persona ben organizzata.

2. Discussione

In questa fase, ogni persona deve avere tempo a disposizione per esporre il proprio punto di vista. L’obiettivo è comprendere ogni punto di vista. Le abilità chiave di questa fase sono: saper fare domande, saper ascoltare, essere chiari e concisi. È utile prendere appunti nel caso nascano incomprensioni o siano necessari chiarimenti nel proseguo. È estremamente importante ascoltare, evitando di interrompere.

Dalla discussione devono uscire ben chiari gli obiettivi di tutte le parti in causa. È utile elencare questi fattori in ordine di priorità identificando anche i dettagli, in modo che non si verifichino malintesi per accordi successivi.

3. Negoziare verso un risultato win-win

Questa fase è molto delicata, si concentra su ciò che viene definito “risultato win-win" (in cui vincono entrambe le parti). L’obiettivo è ricercare una soluzione d’intesa comune, un punto d’incontro che concede alcuni obiettivi principali all’una e all’altra parte. Possono essere utilizzate anche strategie alternative e compromessi. In questa fase devi essere un buon comunicatore, chiaro, abile nel condurre le trattative, devi saper individuare e proporre i giusti punti di incontro. Inoltre, devi avere abilità di problem solving (risoluzione di problemi).

4. Accordo

È più facile arrivare ad un accordo se le parti hanno un atteggiamento propositivo e sanno ascoltare l’altro. Ogni tipo di accordo deve essere chiaro, ben spiegato e condiviso tra le parti. In questa fase devi saper mediare, non devi rimanere imparziale fino in fondo. Devi far avvicinare e armonizzare due pensieri che nascono opposti. Devi essere un vero conciliatore.

5. Linea d'azione

Dall'accordo ne deriva una linea d'azione, un programma che le parti dovranno seguire, magari a step o secondo una linea temporale precisa. In questa fase devi essere pragmatico, avere l’abilità di pianificazione e coordinamento. Devi essere un buon project manager. 

In caso di mancato accordo

Se il processo di negoziazione si interrompe e non si arriva ad un accordo, è necessario rinegoziare subito un'ulteriore incontro. In questo modo si evitano inutili discussioni e perdite di tempo. Nella riunione successiva, le fasi di negoziazione possono essere ripetute una ad una. Le singole situazioni dovrebbero essere riesaminate prendendo in considerazione nuove idee e ovviamente nuovi punti di incontro.
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15 Strategie di Lead Generation efficaci

 


Quando si parla di Lead Generation si intende l’insieme di azioni marketing che hanno come obiettivo l’acquisizione e la generazione di contatti interessati.

Il Lead, infatti, è un potenziale cliente interessato al prodotto/servizio che offri, che è entrato in contatto con te lasciandoti alcuni dati grazie ai quali potrai ricontattarlo. Si parla sia di Lead Generation Online che Offline ovviamente, perché fino all'avvento di internet si faceva Lead Generation raccogliendo dati di: interviste telefoniche, visitatori stand Fiera, raccolta biglietti da visita, acquisto di spazi pubblicitari in Radio e TV, ecc.

La comunicazione online, invece, è oggi uno dei più potenti mezzi di Lead Generation e di conversione alla vendita perché ha a disposizione un'infinita lista di strumenti da sfruttare. Vediamo i 15 più interessanti insieme.

Perché la Lead Generation è così importante?

L’acquisizione di un Lead rappresenta il primo passo del funnel di vendita in cui è fondamentale accompagnare il potenziale cliente, attraverso strumenti e messaggi specifici lungo il percorso che si completa nell’acquisto.

Il vantaggio che offre la Lead Generation è ottenere una lista profilata di contatti interessati su cui svolgere attività di vendita proficue.

1) Video Marketing / Video Tutorials

Sappiamo benissimo come i video siano oggi uno degli strumenti più forti ed efficaci per comunicare con utenti e clienti. In questo caso non sto parlando di Video pubblicitari ma di veri e propri Video Tutorials, utili a spiegare e/o risolvere un problema reale che i potenziali clienti è probabile che possano cercare sul web. Potrebbero atterrare sul tuo video anche per puro caso e trovando il tuo video interessante potrebbero iniziare a seguire la tua pagina YouTube oppure decidere di andare a scoprire l'azienda che sta dietro a quei video molto utili.

Video che spiegano l'utilizzo di un prodotto o di un servizio, ma anche video-tutorials di operazioni non direttamente dedicate al tuo prodotto ma ad attività simili o che possono portare successivamente all'utilizzo del tuo prodotto.

Se pensi che questo tipo di video siano possibili solo per prodotti del mondo del fai-da-te ti sbagli. Si possono inventare migliaia di video anche divertenti in cui si fa vedere come indossare un cappello, come giocare con un nuovo giocattolo, come degustare una tisana, ecc. La fantasia deve fare da padrona.

2) SEO delle recensioni dei clienti

Le piattaforme di recensioni hanno generalmente una forte presenza nella ricerca organica, il che le rende una grande opportunità per espandere la presenza del proprio marchio e farsi notare dalle persone giuste.

Quando incoraggi gli utenti a lasciare le recensioni su una piattaforma di terze parti con un forte SEO/molto conosciuta (basta pensare a TripAdvisor, Booking, TheFork, ecc. che sono a pagamento oppure a portali di settore o lo stesso Google Maps che sono invece gratuiti) aumenti le possibilità di essere trovato da potenziali clienti qualificati nella ricerca.

Queste piattaforme ti aiutano ad ottimizzare la tua presenza online e spingere le persone interessate a trovare il tuo prodotto/servizio. Ciò che devi fare è: trovare i portali e le piattaforme di recensione migliori del tuo settore che ti possono veramente aiutare a far convogliare contatti verso il tuo sito o a far acquistare i tuoi servizi.

Inoltre, in questo modo potresti eguagliare la concorrenza nelle ricerche di parole chiave di alto valore.

3) Landing Page

La Landing Page o pagina-di-atterraggio sta alla base delle strategie di Lead Generation online. E' tra gli strumenti più utilizzati. E' una pagina web creata ad hoc con uno o pochi contenuti molto interessanti che spingono il navigatore all'interazione. La pagina deve essere semplice, corta, veloce da leggere, magari con un video. Ciò che non può assolutamente mancare è la Call-to-Action, cioè un pulsante/link o un form che porti immediatamente l'utente a trasformarsi in Lead.

La pagina web non deve avere un navigatore con pagine da navigare, perché l'utente deve avere a sua disposizione solo un'azione, ovvero la la Call-to-Action.

Per massimizzare l'efficacia di una Landing Page è buona consuetudine utilizzare Google AdWords per incrementare l'atterraggio delle persone sulla pagina e in base ai feedback, migliorare la pagina di mese in mese. Altro metodo è quello di usare l'A/B Test, ossia creare due Landing Page leggermente diverse e dopo un periodo controllare quale delle due performa meglio.

4) Quiz o Tool interattivi

E' possibile offrire un quiz ai visitatori del tuo sito web, il quiz non deve essere intimidatorio, anzi per lo più deve essere accattivante, semplice, divertente e veramente utile. Un metodo creativo per conoscere meglio i tuoi visitatori, ottenendo informazioni. Alla pari del Quiz è possibile sviluppare un Tool di utilità per gli utenti. Gli esempi sono infiniti: meteo, telecamere in diretta che puntano su luoghi di interesse (spiagge, piste da sci, città, ecc.), strumento che consente di creare un percorso trekking personalizzato, tool di ricerca e confronto dei servizi delle scuole, tool che permette all'utente di creare il proprio prodotto personalizzato a step, tool-gioco che offre all'utente di vincere dei coupon, ecc. 

Strumenti interattivi che per funzionare veramente devono essere utili all'utente e non solo a te!

5) e-Book, e-Magazine, e-Catalogue

Do ut Des. Cosa c'è di meglio che donare per primi per poi ottenere qualcosa in cambio? Questa è una delle strategie più utilizzate sul web, soprattutto dai siti che offrono servizi: dare la possibilità di scaricare un e-Book gratuitamente, ma solo dopo aver compilato un form con i propri dati (in modo da rendere facile un ricontatto via email o telefonico).

Ma l'offerta non si ferma ad un semplice e-Book o White Paper, in altri settori si parla di e-Magazine ovvero il download di una vera e propria rivista (moda, design, cucina, ecc.), una rivista che inizialmente è uno strumento di Lead Generation ma che con il passare del tempo e l'aumento di notorietà può diventare strumento pubblicitario a pagamento, ovvero farsi pagare 

L'e-Catalogue è un mix tra l'e-book e l'e-Magazine, un catalogo di prodotti o servizi ma che può essere ideato come fosse un giornale con approfondimenti di settore, un catalogo con suggerimenti su come si indossano i capi, con ricette, con best practice per arredare la casa, ecc. Offrire un servizio a valore aggiunto ai lettori che vogliono tenersi aggiornati - in cambio della loro email o informazioni ricevono suggerimenti da fonti esperte.

6) Un Blog interessante

Quante volte hai sentito parlare dell'importanza strategica del Blog? E' vero, il Blog può diventare uno degli strumenti più importanti per la Lead Generation, ma deve essere: ben strutturato, nutrito costantemente con contenuti interessanti e gli articoli/post dovranno avere una strategia. Non tutti, ma i più importanti dovranno avere al loro interno una Call-to-Action (chiamata all'azione), in modo tale da trasformare il semplice navigatore in Lead.

Aprire un Blog è la cosa più semplice, lo puoi fare gratuitamente. Ma proprio per questo è lo strumento più abusato e con il tasso di insuccesso più alto. Attento alle tue scelte.

Se vuoi ottenere successo dovrai creare un team di lavoro, interno o esterno, che si occupa della comunicazione della tua azienda.

7) Influenzare il mercato con gli Influencer

Vuoi provare a spingere i tuoi prodotti velocemente su un nuovo mercato? Utilizza uno o più Influencer! Vengono pagati per pubblicizzare i tuoi prodotti (c'è chi lo fa in modo più occulto facendo pensare di aver scelto il tuo prodotto perché più bello o più utile e chi invece mette ben in chiaro che è pura pubblicità, una marchetta). Sta di fatto che i numeri parlano molto chiaro, gli Influencer sono un canale molto efficace, sia per rendere famoso un brand (brand building) che per fare vendite. L'Influencer riesce a mettere in contatto diretto, in poco tempo, la tua azienda con un preciso target di pubblico.

L'Influencer è efficace perchè: parla "la stessa lingua" dei suoi coetanei, è uno di loro, i suoi follower si fidano di lui/lei o lo/la prendono come punto di riferimento. 

8) Attirare con Testimonials ed Esperti di settore

Molto simili agli Influencer sono gli esperti di settore. Sono anch'essi Influencer, ma è l'uso che se ne fa che è diverso. Nel tuo progetto saranno dei veri e propri testimonials del tuo brand, ovvero persone che hanno sposato il tuo progetto in senso lato. Agli occhi dei tuoi clienti amano il tuo brand e tutti i tuoi prodotti, mettono la loro faccia testimoniando la qualità dei tuoi prodotti.

Sono testimonials le persone famose ingaggiate per fare pubblicità, ma per un progetto meno costoso potrebbero essere professionisti (giornalisti, blogger, architetti, designer, ecc.) che parlano della vostra azienda, scrivono articoli su di voi, rispondono in una rubrica online in cui danno suggerimenti agli utenti, indossano un cappellino o un t-shirt con sopra il vostro marchio, ecc. Anche qui gli esempi possono essere infiniti.

9) Corsi online

Le persone sono sempre alla ricerca di conoscenza, soprattutto se viene elargita gratuitamente o a basso costo. La creazione di corsi online o webinar con esperti che offrono il loro prezioso tempo per impartire lezioni, dare risposte o nozioni importanti su un preciso argomento è uno strumento enormemente fruttuoso per creare Lead. 

La cosa difficile? Organizzare l'intera struttura. Le lezioni, i webinar, creare contenuti e una pianificazione, trovare i giusti esperti che siano anche bravi a parlare in video-conferenza. Non è semplice, ma sicuramente... molto prestigioso.

10) Social Media

E' importante imparare a sfruttare i Social Media nella loro globalità. Utilizza Facebook, Instagram, Pinterest, Twitter e LinkedIn non solo per fare brand building/farti conoscere o per promuovere i tuoi prodotti con la pubblicità, sfruttali al meglio con azioni di ascolto e di analisi.

Impara ad ascoltare i tuoi utenti, raccogli i loro sentimenti, raccogli le loro idee, raccogli i loro dati e trasformali in Lead. Rispondi alle loro richieste, portali ad interessarsi ai tuoi servizi, devono lasciarti almeno la loro email, compilare un form o iscriversi alla tua Newsletter.

Fai interessare i tuoi utenti ad un tuo e-Book da scaricare, promuovi loro un webinar. Devi mantenere il loro interesse attivo fino ad avere fiducia in voi. Solo a quel momento si trasformeranno in Lead e poi in clienti.

Un altro metodo di ricerca e ascolto è seguire i Gruppi su Facebook e LinkedIn, all'interno dei quali avrai a disposizione migliaia di utenti e probabili futuri Lead. L'importante è sapere come interagire con loro.

11) Live Chat

Se possiedi un sito web che registra molte visite giornaliere e mensili, ti suggerisco di aggiungere un tool di Live Chat. Darai la possibilità agli utenti di chattare in tempo reale con un assistente della tua azienda. Questo tipo di supporto alla vendita ti offrirà due tipi di azione, faciliterà: le vendite online e la conoscenza dei tuoi utenti (che potrai trasformarli in Lead con successivi ricontatti).

Conosciamo bene chi fa ordini sul nostro sito (sono clienti di cui abbiamo tutti i dati), mentre non sappiamo niente o quasi niente degli utenti che navigano il nostro sito, soprattutto se lo fanno in modalità "incognito", quindi... ingloba subito una Live Chat e scopri chi visita il tuo sito.  

12) Facilita il passaparola

Lo strumento del passaparola è sicuramente la strategia più antica di pubblicità. Chi si trova bene con i nostri prodotti ne parlerà bene con i suoi conoscenti e via via così. Accade così anche sul web, quindi è importante trovare la strategia giusta per sfruttarlo al meglio.

Uno su tutti, il metodo web più utilizzato è: offrire un premio aggiuntivo al cliente che fa conoscere il prodotto ad un suo amico. Spesso l'azione è win-win, ovvero il premio viene offerto ad entrambi nel caso in cui il secondo amico decida di acquistare da suggerimento del primo.

13) Usa il Remarketing

Sei a conoscenza del Remarketing? Se non ne hai mai sentito parlare, ti suggerisco di cercare subito approfondimenti. In sintesi, sono quei banner pubblicitari che ti appaiono ovunque tu navighi online proponendoti prodotti che hai cercato pochi minuti prima. 

Il remarketing consente di connettersi con le persone che hanno precedentemente interagito con il tuo sito web o la tua app per dispositivi mobili. I tuoi annunci/banner vengono proposti a precisi segmenti di pubblico mentre navigano su Google o sui siti web dei suoi partner. Questo tipo di advertising si basa sui cookies.

Si tratta della tecnica del "ricordati di me". Più volte visualizzi i miei prodotti e più si rafforza il mio brand, diventando più familiare ed importante ai tuoi occhi. Così facendo è più probabile che tu scelga il mio prodotto rispetto a quello della concorrenza. 

Per sviluppare campagne di Remarketing è sufficiente avere un po' di esperienza ed utilizzare Google Ads Display.

14) Organizza Virtual Sales

Se la tua azienda utilizza già Assistenti alla vendita, pianificare un tool di "Vendite Virtuali" sarà molto più facile, ti sarà sufficiente organizzare la strategia e farti sviluppare un tool da inserire all'interno del tuo sito web.

Di cosa si tratta: avendo sul tuo sito una o più pagine web in cui gli utenti possono liberamente chiedere o prenotare una video-call con un Assistente alla Vendita, avrai la possibilità di ottenere decine di Lead ogni giorno. Queste persone saranno molto interessate a vedere con i loro occhi il prodotto da acquistare ed avere a loro personale disposizione un Assistente che risponde alle loro domande.

Le "Virtual Sales" sono l'evoluzione delle vendite all'interno di uno Showroom. Pensaci bene, la stessa cosa accade quando vai in un concessionario per scegliere una nuova auto. Un Assistente dedica il suo tempo a mostrarti auto, optional e rispondere a tutti i tuoi dubbi. Se è bravo, riuscirà a venderti l'auto dopo appena 20-30 minuti. Stessa cosa per le Virtual Sales: servono Assistenti, uno Showroom (o prodotti disponibili), un tool di prenotazione video-call e molta organizzazione.  

15) Marketing Automation

Una volta che la strategia ha portato traffico al sito e fornito visibilità al prodotto e/o servizio dell’azienda, non resta che iniziare a convertire i visitatori che vengono in contatto con l’attività in potenziali clienti. Lasciando i propri dati personali sono pronti per poter usufruire di attività di Lead Nurturing. In questa fase, possono sopraggiungere in aiuto dell’esperto di Lead Generation tutta una serie di tool per la Marketing Automation.

Innescando un sistema automatizzato di mail, con piattaforme come Sendinblue, Mailchimp (scrivici per usufruire dei vantaggi riservati ai nostri clienti), Magnews o Hubspot, sarà possibile curare il rapporto con i contatti creando dei veri e propri "processi di comunicazione personalizzata per ogni tipologia di cliente". Altri software molt interessanti sono Unbounce, Landingi o Instapage per la realizzazione di Landing Pages o Hotjar per le mappe di calore e l’analisi qualitativa del comportamento degli utenti online.

Senza una strategia pianificata di Lead Generation, magari multicanale non sarà possibile massimizzare gli investimenti fatti e convertire molti lead in clienti. Un suggerimento? Scegliete una persona che ha seriamente esperienza, sia esso un interno o un esterno all'azienda, ma serve un professionista che sa prendere le giuste scelte e utilizzare al meglio gli strumenti. 

Se pensate di avere bisogno di un piccolo aiuto in questo, noi della Insight Agency  ci occupiamo proprio di questo, e ideiamo soluzioni ad hoc per aziende di ogni dimensione e professionisti. Contattateci per una consulenza gratuita

 

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Brainstorming, cos'è e come trovare nuove idee.

 


Il Brainstorming è una tecnica creativa che consiste in un dibattito di gruppo per trovare delle idee e/o delle proposte. Questo metodo decisionale si è sviluppato nell'ambito delle agenzie pubblicitarie, è largamente utilizzato per il problem solving e si basa soprattutto sull'associazione di idee e sul confronto.

Che cos’è il brainstorming?

Il brainstorming è una pratica comune quando si cercano nuove idee e/o nuove soluzioni a dei problemi e consiste in un incontro di gruppo durante il quale i partecipanti si confrontano, procedendo per associazione di concetti.

La definizione di questa tecnica creativa si deve al pubblicitario statunitense Alex Faickney Osborn, «fondatore di un movimento importante per la creatività, e “guru” riconosciuto, nei primi anni del secondo dopoguerra, del pensiero creativo», come lo definiscono Claudio Bezzi e Ilaria Baldini nel libro “Il brainstorming: pratica e teoria“. Per Osborn – precisano i due autori – «il brainstorming è semplicemente uno dei modi possibili per produrre idee; l’accento è sull’ideazione, sul processo creativo, sull’importanza dell’immaginazione come forza generatrice anche per i problemi tecnici e aziendali, oltre che per l’arte e la scienza».

A cosa serve il brainstorming?

Il termine brainstorming è entrato nell’uso comune per indicare uno dei diversi modi per trovare idee creative, ma anche alternative possibili per risolvere un determinato problema, a partire, seguendo la traduzione solitamente adottata per la parola, da una “tempesta di cervelli“.

In merito a una possibile traduzione della parola, però, bisognerebbe anche considerare che è Osborn stesso a suggerirne una: «‘brainstorm’ significa» – come riportato ancora da Bezzi e Baldini – usare la testa [brain] per assaltare [to storm] un problema creativo».

La tecnica, inizialmente applicata solo al mondo pubblicitario, ormai è diffusa in ambiti molto diversi tra loro. I campi di applicazione, infatti, comprendono quello pubblicitario (per sviluppare, per esempio, il concept di campagne pubblicitarie o uno slogan ), quello artistico (per realizzare un’opera d’arte), quello scolastico (per lo sviluppo di un progetto di gruppo), quello del crisis management (per risolvere una crisi o un problema), quello giudiziario (per preparare un processo), ecc.

Nel marketing, comunque, si ricorre al brainstorming per svariate ragioni, tra le quali, solo per citarne alcune: attività di naming , realizzazione di un logotipo e ideazione della brand image , ricerca di un payoff , gestione di progetti e processi.

Come si fa brainstorming o come funziona?

Prima di avviare una sessione di brainstorming si definisce sempre un obiettivo, che solitamente è definito, insieme ad altre indicazioni relative al progetto da sviluppare, nel brief , e non di rado vengono preparate delle mappe concettuali per offrire degli spunti di riflessione di partenza.

All’attività partecipa sempre chi deve occuparsi direttamente del lavoro, ma può risultare utile coinvolgere anche altri colleghi o persone del tutto esterne all’ambiente lavorativo, che potrebbero fornire spunti inaspettati.

In ogni caso, è sicuramente più efficace quando fatto in gruppo, anche se spesso, specie nelle piccole realtà, questo metodo può essere sperimentato anche tra poche persone o addirittura tra sole due persone e secondo taluni da una singola persona. Quando il gruppo è troppo numeroso, però, sarebbe opportuno dividerlo in dei sottogruppi.

Per fare brainstorming, comunque, occorre sempre seguire alcune regole di base, rimaste sostanzialmente invariate nel tempo e che si possono riassumere come segue: 

  • escludere la critica (e l’autocritica), perché in fase di raccolta delle idee non è produttiva;
  • mantenere uno stile informale, cosa che potrebbe essere agevolata dedicando i primi minuti dell’incontro a una brevissima presentazione dei partecipanti;
  • puntare alla quantità: se le proposte sono numerose ci sono più probabilità di trovare l’idea o la soluzione giusta;
  • combinare le proposte già avanzate in delle nuove idee, puntando cioè sull’associazione di idee.

Inoltre, una sessione di brainstorming non dovrebbe essere troppo breve, per evitare di fermarsi solo sulle prime idee raccolte; allo stesso tempo, però, non dovrebbe essere eccessivamente lunga: se risulta particolarmente complicato trovare idee o soluzioni convincenti sarebbe preferibile preparare più incontri, della durata massima di un’ora, così da non affievolire o smorzare l’energia creativa e produttiva necessaria.

Importante è anche il luogo in cui si fa brainstorming, poiché dovrebbe favorire l’informalità e dare ai partecipanti al gruppo la possibilità di alzarsi e muovere qualche passo.

Sarebbe utile anche predisporre nell’ambiente scelto per fare brainstorming una lavagna sulla quale ogni partecipante possa appuntare le varie idee oppure dei cartoncini colorati da poter attaccare alle pareti.

La “tempesta di idee” per trovare un nome, ovvero cos’è il namestorming e come si fa

Il namestorming, come suggerisce il termine stesso, traducibile come “tempesta di nomi”, prende spunto dal brainstorming per adattare la tecnica creativa all’ideazione di un nome (per un brand, un sito, una pagina social, ecc.). 

Per una sessione di namestorming si seguono le stesse regole e gli stessi principi del brainstorming, che Linda Liguori, autrice del libro “Nome & Naming. Scegliere il nome giusto per ogni cosa” sintetizza in CSQM, ossia critica abolitaquantità prima di tuttostravaganza benvenutamoltiplicazione infinita.

Come per una sessione di brainstorming, la prima parte di quella di namestorming potrebbe essere dedicata allo spiegare velocemente in cosa consiste questa pratica creativa e fare qualche esercizio semplice, giocando magari con rime e associazioni di idee a partire da parole già date, soprattutto quando nel gruppo di partecipanti ci sono persone non avvezze a questa pratica creativa o estranee al gruppo di lavoro.

In una sessione di namestorming, inoltre, potrebbe risultare opportuna la presenza di un “facilitatore di naming“, ossia un mediatore/leader del gruppo esperto di naming – e che, come precisa Linda Liguori, dovrebbe conoscere bene brief e mappe mentali del progetto, oltre che essere sensibile alle dinamiche di gruppo – e può quindi guidare e mediare l’incontro. 

Cosa si fa dopo il brainstorming?

Finita la fase di raccolta delle proposte e delle idee creative, quando cioè la sessione o le diverse sessioni di brainstorming sono terminate, occorre però organizzare il tutto in maniera strutturata, correlando tra loro i concetti simili e creando delle mappe concettuali (a volte si possono modificare o integrare quelle preparate in precedenza). Di queste può essere inviata una copia a tutti i partecipanti per poi discuterne in un nuovo incontro con l’obiettivo di un confronto critico che porti all’idea o alla soluzione finale.

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Marketing: percezione o realtà?

 


La realtà è la condizione di ciò che esiste effettivamente e concretamente, mentre la percezione è l'atto del percepire e prendere coscienza di una realtà esterna attraverso stimoli e sensazioni.

L'essere umano si interroga sin dall'antichità su cosa sia reale e cosa invece sia illusione, frutto di fantasia, percezione e sogno. E proprio per rispondere a questa ed altre domande, si è sviluppata la filosofia, come ricerca del sapere, della verità e della realtà.

Filosofi, sia antichi che moderni, hanno trattato la realtà come focus del proprio pensiero: una tematica che nonostante i secoli rimane quanto mai attuale.

Nella filosofia greca si pensava che la realtà fosse tale in rapporto al soggetto che riesce a percepire le cose, non mettendo in discussione l'esistenza o meno dell'oggetto in quanto visibile e quindi evidente.

Con Epicuro ed in seguito con Platone ed Aristotele si inizia a notare un cambiamento che sarà ripreso dalla filosofia moderna.

Per Platone la realtà è finzione, ossia una copia che si trova in un universo parallelo, di cui noi viviamo il riflesso, per Aristotele, invece, la realtà è unione di materia e forma: ciò che percepiamo equivale veramente a ciò che è.

Nell'era moderna, complici il Rinascimento e l'Illuminismo, che poneva la ragione al centro del pensiero, si andarono sempre più definendo teorie empiriche, come quelle di Spinoza, Leibniz, Cartesio e Kant.

Nella filosofia contemporanea, tra i cui maggiori esponenti annoveriamo Hegel, Freud e Nietzsche, la realtà è sinonimo di razionalità: sarà che il Novecento è stato un secolo complesso e senza fronzoli, ma la realtà è essenzialmente ciò che è tangibile e concreto.

Ma oggi cosa è reale e cosa è percezione?

Viviamo in un'epoca storica segnata da innovazione, cambiamento e contraddizioni.

Basti pensare al web oppure ai social media, per esempio.

Per molti internet è un potente mezzo di comunicazione, che accorcia tempi e distanze, un'invenzione che ha permesso di globalizzare il mondo, avviare nuovi business, creare nuove professioni e avere un nuovo stile di vita, per altri invece rappresenta un qualcosa di negativo.

I social media, se ben usati, rappresentano una cassa di risonanza sia per il personal branding che per aumentare la brand awareness aziendale, eppure per alcune persone sono soltanto mera apparenza.

Essere o non essere? Realtà od apparenza? Essenza o percezione?

Partiamo dal presupposto che un prodotto, un servizio o un brand che si reggono solamente sull'apparenza, hanno vita breve, perché l'utente, presto o tardi, se ne renderà conto.

Bisogna sempre ricordare che il target è costituito da persone, non solamente numeri a cui vendere.

Una persona, definita Buyer Personas, deve risolvere un problema, trovare una soluzione ai proprio bisogni ed avere fiducia nel brand.

È importante che la promessa del brand, detta Unique Value Proposition, sia reale e veritiera, altrimenti non ci sarà una seconda chance, della serie:"l'ho comprato questa volta, non lo compro più".

Ti sarà capitato di aver creduto in un prodotto, servizio o brand perché sembrava ciò che stavi cercando: in questo caso la percezione che avevi è stata una leva fondamentale per poi avviare la relazione col brand ed effettuare l'acquisto.

Se sei stato soddisfatto/a hai confermato come reale la tua percezione, e quindi ciò che sentivi corrispondeva a realtà, se invece non hai avuto un'esperienza positiva, la percezione era illusoria.

Come vedi anche nel marketing valgono questi diktat che da secoli accompagnano la filosofia: ma sai quali tipologie di marketing si basano proprio su questa dicotomia "realtà - percezione"?

Il marketing è una branca dell'economia che soddisfa la richiesta di prodotti e/o servizi per un determinato mercato di riferimento.

Marketing emozionale

Il marketing emozionale, detto anche emotional marketing è una branca del marketing che si basa sulle emozioni.

Le emozioni sono energia pura e rappresentano una leva fondamentale per instaurare una relazione tra brand ed utente.

L'essere umano è emozione e ragione, ma nel marketing emozionale prevale completamente la parte dell'inconscio e dell'istinto.

Sapevi che il 95% degli acquisti è ottenuto attraverso le emozioni, mentre solo il 5% è frutto di una decisione ponderata e razionale?

Siamo pur sempre animali ed agiamo per stimoli ed impulsi: basta un profumo che ci rievochi un ricordo, un colore che trasmetta serenità, un'immagine che ci comunichi fiducia o uno storytelling coinvolgente e le nostre barriere psicologiche sono annientate.

Ci riconosciamo istintivamente con quel brand e guidati dall'inconscio, vogliamo instaurare una relazione salda e duratura con esso.

Marketing percettivo

Il marketing percettivo si basa sui sensi e sulle sensazioni che evocano nella nostra mente: a seconda del senso interessato, avremo delle sensazioni diverse oppure un mix che ne esalti la percezione stessa.

Vuoi acquistare un profumo?

L'olfatto sarà senza alcun dubbio il senso principale nell'esperienza d'acquisto, ma saranno coinvolti anche vista, tatto e udito.

Vuoi gustare un piatto gourmet?

Il senso principale sarà il gusto, ma saranno coinvolti anche vista, olfatto e tatto.

Vuoi  provare un vestito?

Sicuramente il tatto giocherà un ruolo fondamentale durante l'esperienza, ma saranno importanti anche la vista e l'olfatto.

Creare un ricordo è importante, sia online che offline: ogni brand deve evocare un'emozione soddisfacente per l'utente, che lo renda felice di ripetere l'esperienza.

Neuromarketing

Il neuromarketing è una disciplina che applica le neuroscienze al marketing, interessando aree comportamentali dell'essere umano.

Infatti, secondo gli studi ogni volta che un utente compie un'azione verso un prodotto, servizio o brand ha determinate reazioni a livello cerebrale.

Il neuromarketing studia le risposte cognitive ed emozionali che si attivano nel momento in cui un potenziale cliente è esposto a determinati stimoli di marketing, come advertising, comunicazione, promozione e brand.

Ciò permette alle aziende di creare dei customer journey e delle esperienze di acquisto sempre più orientate alla soddisfazione dell'utente.

Sai quali sono i metodi più utilizzati per vendere di più un prodotto, servizio o brand facendo leva sulla percezione? 

Scopriamoli subito insieme!

All Inclusive

Ti è mai capitato di pagare un abbonamento, anche se poi non lo hai usato per intero, solo perché più conveniente rispetto il prezzo di una singola attività?

Si tratta di un bias cognitivo: il nostro cervello opta sempre per ciò che è meglio per noi, in termini di beneficio, infatti quando valutiamo un acquisto, si attiva l'area cerebrale della gestione del dolore, che opta per la soluzione migliore in termini di quantità e prezzo.

Effetto ancoraggio

Anche l'effetto ancoraggio è un bias cognitivo, in questo caso il nostro cervello ricorda un prezzo iniziale, detto in gergo ancora, che ha una cifra nettamente superiore rispetto al prezzo proposto per un determinato prodotto e/o servizio.

Emblematica è la strategia di Apple per il lancio del primo Ipad, in cui Steve Jobs propone prima il prezzo ancora di 999 dollari per poi rivelare il prezzo reale di 499 dollari: il risparmio percepito è stato di ben 500 dollari ed il resto, beh è storia!

Migliore qualità

Spesso si pensa che un prodotto più costoso abbia una qualità migliore, viceversa, un prodotto economico sia più scarso o pessimo rispetto prodotti di fascia più alta.

Lo stesso ragionamento, totalmente erroneo, vale per il peso di alcuni prodotti, come per esempio telefonia, tecnologia o strumenti, non necessariamente un prodotto più pesante è realizzato con materiali migliori.

Principio di scarsità

Quante volte stavi prenotando un volo oppure un hotel e si è materializzato l'avviso che altri utenti stavano effettuando l'acquisto proprio in quel momento e che se non avessi concluso subito l'ordine non avresti trovato più nulla?

Si tratta del principio di scarsità che fa leva proprio sulla potenziale perdita del nostro oggetto desiderato.

Prodotti esca

Un prodotto esca serve per promuovere altri prodotti della stessa gamma.

Se per esempio, si sta proponendo una borsa di dimensioni piccole a 25 euro e una borsa di grandi dimensioni a 40 euro, l'utente acquisterà maggiormente la borsa piccola, ma proponendo una terza borsa di medie dimensioni a 35 euro, il prodotto che venderà di più sarà la borsa grande.

Infatti, la nostra mente ragiona per fornirci il maggior beneficio e tra due prodotti della stessa gamma, con dimensione diversa ma prezzi simili, siamo portati a scegliere l'opzione più economica.

Mentre ponendo un terzo prodotto a metà tra i precedenti, sia per dimensione che costo, l'utente opterà maggiormente per l'opzione percepita con il miglior rapporto quantità, qualità, prezzo.

Realtà o percezione? Ciò che viene percepito è in continuo divenire, l'importante è tenere bene a mente gli obiettivi prefissati, pianificare la strategia necessaria per ottenere i risultati ed essere sempre leali verso gli utenti.

E tu cosa ne pensi? Eri a conoscenza di queste tecniche di marketing?

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Cos'è e a cosa serve il Business model


Un Business model è uno strumento concettuale utilizzato per descrivere il modo in cui un'impresa crea, distribuisce e cattura valore. In altre parole, può essere definito come l'insieme delle pratiche organizzative e delle soluzioni strategiche attraverso cui l'impresa acquisisce il proprio vantaggio competitivo sul mercato.

Quello di business model è un concetto relativamente giovane. Sebbene il termine apparve per la prima volta nel 1957 all’interno dell’articolo “On the construction of a multi-person, multi-stage business game“, è solo verso la fine degli anni ’90 che ha assunto la sua vera importanza registrando un interesse crescente da parte della comunità scientifica e non solo. Utilizzando le parole dello studioso svizzero Alexander Osterwalder, un modello di business può essere definito come lo strumento concettuale che descrive il modo in cui un’azienda crea, distribuisce e cattura valore.

Nonostante questa sia la definizione più famosa, ad oggi non ne esiste una universalmente accettata e condivisa. Ciò su cui la gran parte degli autori concorda è che, in generale, un business model dovrebbe essere composto dai seguenti elementi:

  1. la proposta di valore dell’impresa;
  2. i segmenti di mercato a cui si rivolge;
  3. la struttura della sua catena del valore;
  4. i meccanismi di acquisizione del valore che l’impresa implementa;
  5. i modi in cui questi elementi sono collegati in un’architettura specifica della singola azienda.

In estrema sintesi, quindi, il business model di un’impresa dovrebbe illustrare la sua proposta di valore identificando in modo chiaro il target a cui si vuole rivolgere, i principali fornitori da cui ottiene le materie necessarie per il ciclo produttivo, le caratteristiche del processo di produzione che vuole realizzare e così via. Tutto ciò in un’ottica flessibile ed estremamente dinamica. Sarebbe impensabile, infatti, credere che un modello di business per quanto di successo possa essere tale in eterno: affinché possa continuare a creare valore è necessario che esso cambi e si adatti al mutare dell’ambiente esterno ed interno.

Come rappresentare un modello di business: Il business model canvas

Nel corso del tempo sono nati diversi strumenti per aiutare imprenditori e startupper a rappresentare la propria value proposition. Tra i diversi strumenti e metodi di visualizzazione il più famoso è sicuramente il business model canvas di Osterwalder e Pigneur.Un Business model è uno strumento concettuale utilizzato per descrivere il modo in cui un'impresa crea, distribuisce e cattura valore. In altre parole, può essere definito come l'insieme delle pratiche organizzative e delle soluzioni strategiche attraverso cui la stessa acquisisce il proprio vantaggio competitivo sul mercato.


Si tratta di una rappresentazione grafica semplificata delle principali attività alla base del business model di un’impresa che consente di far emergere la logica attraverso cui la stessa riesce a creare, distribuire e catturare valore.

Particolarmente utile nell’ambito delle startup, il canvas si compone di nove blocchi, ciascuno dei quali rappresenta uno degli elementi costitutivi del business model. Grazie ad esso è possibile ottenere una rappresentazione complessiva della realtà aziendale intesa come un grande ecosistema di attività interdipendenti. Nella parte superiore del modello, intuitivo e di facile lettura, sono rappresentate informazioni non finanziarie come le risorse chiave, i partner, i canali distributivi e i segmenti di consumatori; la parte inferiore, invece, fa da cornice alle informazioni finanziarie come la struttura dei costi e dei ricavi.

Al centro del modello c’è la value proposition, intesa come la proposta di valore che un’azienda fa al mercato, espressa in termini di vantaggi, tangibili o intangibili, che i consumatori possono ottenere dall’acquisto di un determinato prodotto o servizio.

Come si classificano i modelli di business?

La classificazione è una delle principali sfide che manager ed esperti si trovano ad affrontare quando si parla di modelli di business. Gli studiosi Foss e Saebi, per esempio, riconducono i business model a tre dinamiche: evoluzione, adattamento e innovazione.

Nello specifico, quando si parla di evoluzione si intende far riferimento a replica, implementazione e manutenzione di un modello di business esistente.

L’adattamento è invece il processo attraverso cui un modello di business esistente viene appunto adattato alle opportunità e alle minacce dell’ambiente esterno (cambiamenti nelle preferenze dei clienti, potere contrattuale dei fornitori, cambiamenti tecnologici, nuove dinamiche concorrenziali e così via). Adattare un modello di business esistente spesso non è però un compito facile. La propensione delle imprese ad adattare i propri modelli di business, infatti, dipende da innumerevoli fattori: per esempio dal fatto che un evento nell’ambiente esterno sia percepito come una minaccia o come un’opportunità e dal tipo di orientamento strategico che l’impresa persegue.

Si parla invece di business model innovation in tutti quei casi in cui un’azienda crea un modello di business nuovo all’interno di un settore preesistente. Ciò significa ridefinire i prodotti e i servizi esistenti e le modalità con cui sono forniti ai consumatori a partire da risorse esistenti, ma non replicabili. In un ambiente dinamico e in costante cambiamento, la business model innovation deve essere una priorità per tutte quelle imprese che vogliono restare sul mercato. A fare scuola è il fallimento di Blockbuster e l’ingresso di Netflix nel mercato della distribuzione e del noleggio di film in DVD. Netflix ha innovato il modello di business su cui lo stesso Blockbuster aveva fondato il proprio successo determinando nel 2010 il fallimento del colosso del videonoleggio.

Sulla stessa linea, Massa e Tucci (2014) evidenziano la differenza tra la creazione di un nuovo modello di business (business model design), come nel caso di startup innovative o ad alta vocazione tecnologica, e la trasformazione di un modello di business già esistente (business model reconfiguration), come è accaduto alla stessa Netflix che è passata dal noleggio per corrispondenza alla sottoscrizione di un abbonamento per lo streaming di contenuti online, rientrando tra i servizi ott.

Esempi di business model

Nonostante in teoria sia difficile ricondurre un modello di business a categorizzazioni predefinite, nella pratica è possibile individuare degli schemi ricorrenti sulla base di alcune caratteristiche comuni, in particolare il modello di guadagno sottostante.

Può essere utile, così, ricorrere ad alcuni degli esempi più famosi.

  • Transazionale: è il modello di business più comune in quanto consiste nella classica vendita di beni e servizi in un negozio fisico o virtuale. I ricavi derivano dalla vendita diretta e quindi dalla transazione tra acquirente e venditore.
  • Marketplace: si basa sull’intermediazione tra due parti, generalmente un cliente e un fornitore. I ricavi in questo caso derivano dalla presenza di una fee su ogni transazione effettuata. Tra i modelli marketplace più celebri è possibile ricordare quello di Amazon, ma anche quelli di eBay, Booking o Airbnb.
  • Freemium: particolarmente utilizzato in caso di software e app, il modello si basa sull’offrire un servizio di base gratuito che diventa a pagamento quando si vuole usufruire di opzioni e funzionalità aggiuntive.
  • Software as a service (SaaS): è un modello distributivo, che sfrutta la tecnologia cloud, che prevede che un provider di servizi fornisca software e applicazioni di terze parti che gli utenti possono noleggiare senza dover acquistare una licenza. Tra gli esempi più famosi è possibile ricordare iCloud e Microsoft Office 365, ma anche tutte le app del mondo Google.
  • Pay as you go: è un modello di pagamento spesso utilizzato per i servizi SaaS, che consente ai clienti di pagare un servizio in base all’utilizzo che ne fa. 
  • franchising : è una formula di collaborazione tra due parti, franchisor e franchisee, in cui la prima concede l’utilizzo del proprio marchio e del modello di business al secondo dietro pagamento di una fee.
  • Leasing: si basa sul noleggio di un bene o di un immobile, solitamente per uso aziendale, dietro pagamento di un canone periodico.

A questi se ne aggiungono molti altri come l’affiliazione commerciale, la donazione, il modello community, il modello bricks and clicks o, ancora, il modello basato sulle inserzioni.

Modelli di business e opportunità imprenditoriali: una relazione complessa?

Spesso il concetto di business model è legato a quello di opportunità imprenditoriali. Questo perché il modello di business rappresenta lo strumento preferenziale attraverso cui le nuove opportunità vengono trasformate in proposte di valore per l’impresa e per tutti i suoi stakeholder .

Tuttavia, cogliere l’opportunità giusta al momento giusto non significa automaticamente avere successo. Affinché possa garantire all’impresa performance positive nel lungo periodo un buon business model deve innanzitutto essere coerente con la strategia e gli obiettivi aziendali, ma soprattutto deve essere in grado di adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente esterno. In quest’ottica, fondamentali sono le conoscenze e le competenze dei singoli soggetti coinvolti. Gli imprenditori e i manager devono essere inclini all’apprendimento, alla formazione continua, alla flessibilità e al cambiamento per favorire lo sviluppo di capacità dinamiche in grado di cogliere nuove opportunità a partire dai business model esistenti.

Questo spiega perché molti modelli di business di successo sono falliti: si pensi ad esempio al caso del fallimento dell’azienda canadese Blackberry. La stessa idea o tecnologia adottata sul mercato attraverso due diversi modelli di business, infatti, potrebbe produrre performance economiche completamente diverse, riconducibili in parte a fattori esogeni e in parte alla mancanza di risorse e capacità interne all’organizzazione.

Come sottolineano gli studiosi Chesbrough e Rosenbloom in un articolo del 2002, la soluzione è nella sperimentazione: un nuovo modello di business è sperimentato con successo solo dopo notevoli tentativi ed errori.