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Come si scrive una lettera commerciale che vende? Scopriamolo insieme!


Come scrivere una lettera commerciale efficace? Forse, è meglio iniziare da un’altra domanda: perché al giorno d’oggi si dovrebbe scrivere una lettera commerciale?

In effetti, oramai da anni, viviamo nell’era delle e-mail, che sono uno strumento pratico ed economico. Eppure la posta elettronica non ha ucciso il direct mailing. Anzi: cercare clienti via corrispondenza cartacea è un’attività che gode tuttora di buona salute.

Insomma: per molti versi, una lettera commerciale rappresenta ancora un modo professionale e, tutto sommato, poco invasivo di presentare la propria azienda o attività. Ecco dunque che le lettere commerciali rimangono una delle armi più efficaci a disposizione delle divisioni marketing e vendite. E dei titolari di qualunque business.

Anche perché, se ci pensi, la lettera ha il vantaggio di essere un oggetto fisico. Chi spedisce lettere oggi? Praticamente nessuno, perché tutti usano l’e-mail. Ma la posta elettronica è impersonale. E poi basta un clic per buttarla nel cestino. Le lettere di vendita hanno invece una fisicità che è impossibile ignorare. E che colpisce il destinatario: chi spedisce un documento cartaceo si fa notare, si distingue dalla massa. In altre parole: un messaggio postale attira sempre l’attenzione dei potenziali clienti.

Detto ciò, possiamo tornare alla nostra domanda iniziale: come bisogna scrivere una lettera commerciale che vende?

Una premessa: fa un’analisi di marketing preliminare

Prima di spiegarti come redigere una lettera commerciale che ti fa trovare clienti, devo parlarti di una cosa. Si tratta di un elemento importante. Ed è questo: prima della comunicazione, viene sempre il marketing. E cioè? Vado al sodo: mai tuffarsi nella scrittura di una lettera di vendita se prima non si è riflettuto sull’identità della propria azienda e su quella delle aziende concorrenti.

Che cosa significa questo, in pratica? Che la lettera la scriva tu oppure la scriva un copywriter professionista, è fondamentale stabilire chi è la tua azienda, quali sono le sue differenze rispetto alla concorrenza e, di riflesso, come deve presentarsi per valorizzare la sua offerta commerciale.

Se non fai questa analisi di marketing iniziale, ti ritrovi a scrivere le stesse cose che scrivono tutti gli altri. Rischi cioè di comunicare in modo banale, scontato. Va così perché non dici cose efficaci, ma ciò che dice anche la tua concorrenza.

Questo è un errore davvero grave, che fa fallire il tuo mailing cartaceo. Devi evitarlo. Come? Rifletti sull’identità della tua azienda, prendi nota di ciò che differenzia la tua offerta da quella dei concorrenti. Solo così la tua comunicazione partirà dalle giuste premesse. Altrimenti, ti ritrovi a scrivere una lettera commerciale in buon italiano, ma nulla più. Peccato però che il tuo obiettivo sia quello di vendere...

La strategia di comunicazione

Prima d’iniziare a scrivere una lettera commerciale, occorre che tu ti ponga queste tre domande:

  1. Chi è il destinatario della mia comunicazione?
  2. Qual è l’obiettivo della mia comunicazione?
  3. Che reazione voglio ottenere dal destinatario?

Analizziamo il primo punto. Chiedersi chi è il destinatario di una lettera significa decidere a chi scrivere. Qui devi fare una scelta precisa, perché rivolgerti a tutti non paga: sparare nel mucchio non è mai una buona idea nel direct marketing. C’è infatti sempre qualcuno che ha specificamente bisogno di te: quello è il tuo potenziale cliente. Cerca quindi di capire bene da chi è rappresentata quella categoria di persone (o di aziende). Ãˆ loro che deve colpire la lettera di presentazione del tuo business.

Una volta che hai individuato il tuo target, devi studiarlo nei dettagli. Che tu comunichi a una sola persona o a migliaia di individui, devi sempre fare questo: scovare più informazioni possibili sul tuo destinatario. Devi cioè trovare più informazioni che puoi sia sulle aziende a cui scrivi che sulle persone che riceveranno la tua comunicazione cartacea.

Informarti su un’azienda significa, per esempio, studiare come essa comunica. Informarti su una persona significa invece cercare sia informazioni personali – età, sesso, abitudini, titolo di studio ecc. – sia lavorative – posizione in azienda, anzianità di servizio, livello di autonomia decisionale ecc.

Tutto ciò è faticoso, lo so, ma è indispensabile per scrivere una lettera commerciale mirata. Come ho già detto: le lettere buone per tutti non funzionano. Infatti, la comunicazione efficace – che è la sola capace di influenzare le scelte altrui – è sempre ritagliata su un destinatario specifico.

Il secondo punto è meno scontato di quanto si creda. In effetti, non è detto che l’obiettivo di una lettera commerciale sia sempre la vendita. Per esempio, si può scrivere una lettera commerciale per fare brand awareness, per proporre una partnership, per raccogliere dati sul proprio mercato. In linea di massima, una sales letter è addirittura più efficace se propone un appuntamento che non una vendita diretta. È perciò fondamentale che tu individui in modo preciso qual è l’obiettivo della tua comunicazione.

Terzo punto. Scelto il target e l’obiettivo della tua lettera commerciale, Ã¨ necessario che tu definisca con esattezza quale azione vuoi che il destinatario compia. La sua reazione dovrà essere un ordine del tuo prodotto? Oppure visitare il tuo sito web? Oppure vuoi che richieda maggiori informazioni su una tua promozione?

Avere le idee chiare su che azione vuoi far compiere al destinatario Ã¨ davvero fondamentale: ti aiuterà a scrivere una lettera commerciale con un messaggio e una call to action efficaci sul serio.

 

Consigli per una comunicazione che fa vendere

Siamo così arrivati al momento in cui parlare di scrittura di lettere commerciali in maniera prettamente operativa. Da qui in avanti ti parlerò di che cosa devi fare se vuoi scrivere sales letter che sfruttano il potere della scrittura che fa vendere. A tal riguardo, vorrei indicarti alcuni aspetti da tener sempre presenti nella redazione di una missiva:

  1. Concentrati sui benefici per il tuo lettore

    Molti pensano che scrivere una lettera commerciale significhi parlare di quanto la propria azienda sia importante. In tal modo, la loro comunicazione è autoreferenziale e pomposa. Peccato però che al lettore non importi alcunché di quanto un’azienda sia “leader di mercato” o della sua “tecnologia innovativa”. Sono cose che dicono già in troppi: chi parla così oramai non è più credibile. Per esempio, nel momento in cui scrivo, Google.it dà ben 45.200.000 risultati per la query “leader di mercato”! L’unico che non è leader di mercato sono io! 

    Scrivere una lettera commerciale autoreferenziale significa perdere tempo (e soldi). Concentrati invece sui benefici per il lettore. Per esempio, spiegagli quanto denaro risparmierà se sceglierà te, quanto più produttiva diventerà la sua azienda, quanto tempo potrà guadagnare grazie ai tuoi servizi o prodotti.

    Insomma: scrivere una lettera commerciale significa calarsi nei panni del lettore per soddisfare le sue esigenze. Ripeto: le sue.

  2. Dì’ subito la cosa più importante

    Per scrivere una lettera commerciale efficace, usa il metodo della piramide rovesciata (ne parleremo in un prossimo articolo, promesso!). Cioè: vai subito al sodo, dici subito quali sono i vantaggi che offri. Usa il resto della lettera per giustificare la bontà della tua proposta.

  3. Sii breve

    Tutte le aziende cercano di ottenere visibilità. Perciò, è verosimile che tu non sia l’unico al mondo a scrivere lettere commerciali. Inoltre, il tuo lettore ha in genere poco tempo da dedicarti. Spesso, si tratta solo di qualche secondo. Quindi, è importante che tu vada subito al nocciolo nella tua comunicazione. Dici al potenziale cliente che cosa gli offri, che cosa ci guadagna e come deve fare per sfruttare l’occasione.

  4. Usa un tono formale

    Scrivere una lettera commerciale con un tono amichevole è sbagliato. O meglio: funziona solo in determinate e particolari circostanze. Per capirci: nelle tue sales letter cartacee non puoi usare i toni dei venditori americani, quelli del tipo: “Diventa ricco in 3 giorni! Sfrutta ora questo imperdibile regalo che ti darà la felicità!”.

    In Italia non funziona così. Perciò, usa un tono più formale nei confronti del lettore. Formale non significa baroccamente pomposo. Significa rispettoso, professionale, credibile. Ricorda che se scrivi una lettera commerciale a una persona devi usare il lei, se la scrivi a un’azienda devi usare il voi.

  5. Cura la struttura testuale

    È curioso come molte delle regole del web writing si possano usare anche per scrivere una lettera commerciale. In sostanza: nessun muro di testo ma brevi paragrafi separati da spazi vuoti, uso di grassetto a sottolineare i concetti importanti, uso di elenchi. Insomma: crea una struttura testuale dalla grafica pulita, ben leggibile. Nelle lettere commerciali, la struttura è parte integrante del messaggio che vuoi comunicare ai potenziali clienti.

  6. Scrivi in italiano perfetto

    Qui c’è veramente poco da dire: niente errori di ortografia, grammatica, sintassi. Ti accorgi che c’è un refuso nella lettera? Nessuna correzione a mano: ristampa il foglio.

  7. Inserisci foto di gente sorridente

    Se nella tua lettera commerciale pensi d’inserire una foto, ecco quella ideale: persone sorridenti. Se guardano o usano il tuo prodotto, meglio ancora.

  8. Usa le call to action

    L’obiettivo finale di una lettera commerciale è spingere il lettore all’azione, che molto spesso è la richiesta di un tuo contatto (o di quello di un tuo venditore). Perciò, la tua lettera deve terminare con una call to action efficace. Molto meglio se la call to action della sales letter è valida per un ristretto periodo temporale, per esempio: “Scade entro 30 giorni!”. Questo per mettere fretta al potenziale cliente, evitando che accantoni la sales letter e che se ne dimentichi

La struttura della lettera

Dunque, qual è la struttura di una lettera commerciale che vende? Come vanno disposti in essa i contenuti e la grafica?

Una premessa anche qui. Non esiste una struttura base per scrivere una lettera commerciale: tutti propongono le proprie varianti. Se fai un giro sul web, te ne accorgerai: ognuno ha la sua idea di struttura per una lettera commerciale. E anch’io ce l’ho. La mia proposta si basa su quelle che sono le mie esperienze professionali e su un po’ di buonsenso.

1. Intestazione: il mittente

L’intestazione delle tue lettere commerciali deve contenere i dati del mittente, in alto a sinistra. Cioè: il logo della tua azienda e il suo nome, l’indirizzo, il numero di telefono e fax, un indirizzo e-mail e l’indirizzo del sito web aziendale. Per esempio:

NOME AZIENDA
NOME VIA, NUMERO CIVICO
TELEFONO – FAX
E-MAIL
SITO WEB

2. Intestazione: il destinatario

Nello scrivere una lettera commerciale, i dati del destinatario vanno in alto a destra. Ecco un esempio:

Spett.le NOME AZIENDA
Alla c.a. del Dott. NOME PERSONA
NOME VIA, NUMERO CIVICO
CAP CITTÀ (PROVINCIA)

3. Intestazione: luogo e data

Nelle lettere commerciali, la data si mette in alto a destra, sotto i dati del destinatario. Il giorno si scrive in numero, il mese in lettere – è più elegante – e con la lettera iniziale minuscolo, l’anno in numero. Prima della data bisogna inserire il luogo. Luogo e data devono essere separati dalla virgola.

4. L’oggetto

Nell’oggetto, in poche parole, spieghiamo al lettore perché gli abbiamo scritto una lettera commerciale. Di solito, l’oggetto va in grassetto.

L’oggetto è uno degli elementi da curare maggiormente nello scrivere una lettera commerciale. Dev’essere breve e deve invogliare alla lettura della lettera. Personalmente, amo scrivere un oggetto che contenga una domanda. Perché è molto efficace. Ecco un esempio: “Oggetto: vuole imparare a scrivere una lettera commerciale che vende?”.

5. Corpo della lettera

Occorre iniziare con l’aggettivo gentile, seguito dal titolo e dal nome della persona. Oramai la formula egr. non si usa più. Dopodiché si mette una virgola e si va a capo, lasciando una riga bianca, per iniziare a scrivere la lettera commerciale vera e propria. Alla fine del corpo, inserisci la call to action.

6. Formula di congedo

Anche qui: educazione ma nessuna pomposità barocca. La formula che preferisco io è: “Grazie dell’attenzione e cordiali saluti”.

7. L’antefirma

L’antefirma precede la firma vera e propria ed è costituita dal nome della tua azienda, dal tuo nome e dalla tua carica. Va inserita alla fine del corpo della lettera commerciale. Un esempio:

NOME AZIENDA MITTENTE
TITOLO E NOME MITTENTE
CARICA MITTENTE

8. La firma

Nelle lettere commerciali, la firma va inserita in fondo a destra. È elegante che, sotto la firma, tra parentesi, siano stampati il nome e cognome del mittente.

9. Post scriptum

Il post scriptum è classicamente un’aggiunta alla lettera (il famoso PS), dopo averla già terminata e firmata. Va perciò inserito in fondo alla comunicazione. La sua funzione è quella di enfatizzare un’idea già espressa nel testo, rilanciandola. Nello scrivere una lettera commerciale, il post scriptum è un ottimo posto per ribadire la propria offerta, portando enfasi sul beneficio principale per il potenziale cliente. Tra l’altro, il PS attira con forza l’attenzione delle persone: spesso, ciò che non è riuscito a fare la sales letter può farlo il suo PS!

10. Gli allegati

Gli allegati sono documenti aggiuntivi, correlati agli argomenti della lettera commerciale. Per indicare la presenza di un allegato, si aggiunge l’abbreviazione All., in fondo a sinistra, seguita dal numero di pagina dell’allegato.

Ecco, queste sono le indicazioni per redigere lettere commerciali che ti aiutano realmente a vendere i tuoi prodotti o servizi. Ma prima di chiudere questo lungo articolo su come scrivere una lettera commerciale efficace, c'è spazio per qualche altro spunto o consiglio... quindi...

POST SCRIPTUM 

Molti imprenditori mandano solo qualche decina di sales letter e poi tirano subito le conclusioni. Del tipo: “Ho scritto 32 lettere commerciali e nessuno mi ha risposto: le sales letter non funzionano!”. Ecco, ragionare così è sbagliato. Prima di tutto perché una lettera di vendita è un contatto a freddo: chi la riceve non sa alcunché di te o della tua azienda. Questo significa che, con ogni probabilità, dovrai mandargli più di una lettera commerciale. In secondo luogo, le somme si tirano sui grandi numeri (cioè su almeno qualche centinaio di lettere, se non su qualche migliaio), altrimenti rischi di aver contattato un campione troppo piccolo per fare delle valutazioni.

Ed eccoci a un secondo spunto. In linea di massima, scrivere una lettera commerciale (o meglio: una sequenza di lettere commerciali) significa che devi aspettarti una risposta intorno al 2-3%. Sì, lo so: le sales letter non fanno miracoli, ma quel numero cresce sicuramente se ti affidi a qualcuno che conosce il copywriting persuasivo. Noi della Insight Agency, ci occupiamo di marketing e direct marketing da oltre 15 anni, comunicare in modo efficace, non solo è il nostro lavoro, ma è la nostra passione. Non esitare a contattarci, se hai bisogno di una consulenza gratuita.

Un altro suggerimento, che spesso non è chiaro a chi ci contatta chiedendoci di redigere una lettera di presentazione per la sua azienda o business. Scrivere un testo che sia persuasivo è ovviamente fondamentale. Così come è importantissimo individuare il nome del decisore aziendale a cui spedire la lettera (volete evitare il filtro delle segretarie, vero?). C’è però di più. Una gran parte delle trattative commerciali nascono da una telefonata che segue la sequenza di lettere spedite.

Mi spiego meglio. Una parte delle trattative nasceranno dal fatto che chi riceve la lettera vi contatterà (nel modo che gli avete indicato). Questo è del resto ciò che vogliamo che succeda. Molti però non lo faranno. D’altronde, non esiste una campagna di direct marketing postale che abbia il 100% di successo.

E dunque? Che fare con chi non ci ha contattato? Lo lasciamo perdere? Diamo cioè per scontato che sia un cliente perso? No di certo. Perché noi dobbiamo fare il cosiddetto recall telefonico (altri lo chiamano diversamente). Di che si tratta? Tutti quelli che non ci hanno risposto devono essere da noi chiamati telefonicamente. “Buongiorno, volevo sapere se ha ricevuto la nostra lettera e che cosa ne pensa”. Questo il senso della telefonata.

Ci sono varie tecniche per le chiamate successive a un invio di una lettera di offerta o di una lettera di presentazione di un’azienda. Alcune funzionano di più e altre di meno. Ad ogni modo, saltare questa fase è impensabile, perché non di rado è qui che la campagna di direct mailing produce i risultati maggiori.
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Street Photography: 10 consigli per realizzare degli scatti perfetti

 


Obiettivo della street photography è svelare piccoli eventi quotidiani nella vita dei singoli e della società. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, le immagini non devono contenere per forza una strada… Possono invece essere “rubate” ovunque le persone si raccolgano e abbiano comportamenti interessanti.

La fotografia di strada può regalare grandi soddisfazioni, ma presenta anche qualche difficoltà. Soprattutto se si è alle prime armi. Ecco 10 consigli per migliorare tecnica e stile, per immagini che lascino il segno.

1 – L’attrezzatura

Riduciamo il kit all’osso per essere veloci e invisibili, partendo dal corpo macchina. Qualsiasi fotocamera può dare buoni risultati se la conosciamo e la troviamo comoda. I modelli più piccoli sono più discreti e pratici da usare a mano libera per lunghi periodi. Impariamo a memoria posizioni e funzioni di pulsanti, ghiere e menu per poter scattare al volo.

Per quanto riguarda le ottiche, gli obiettivi a focale fissa sui 35 o 50 mm sono piccoli e per nulla appariscenti e hanno un angolo di campo simile a quello dell’occhio umano (intorno a 40 mm). Inoltre, è più facile arrivare a conoscere bene la resa di un’ottica fissa e questo aspetto rende più intuitive messa a fuoco e composizione.

Comuni marsupi o zainetti monospalla sono ideali perché non danno nell’occhio e offrono accesso immediato al contenuto. Calcoliamo lo spazio per il corpo e uno o due obiettivi. Non portiamo accessori che non useremo. Al limite, lasciamo proprio perdere la borsa e infiliamo in tasca le memory card.

2 – I grandi maestri

Prima di metterci alla prova, aiuta prendere confidenza con i paradigmi classici e contemporanei della fotografia di strada.

Anche se conosciamo già la storia del genere, approfondiamo un po’ per capire dove si colloca la nostra opera. Studiamo i maestri e cerchiamo anche di ampliare le nostre competenze nei campi dell’arte contemporanea e dei media. Riferimenti e citazioni colte daranno i loro frutti quando saremo in cerca di idee e soggetti interessanti.

3 – Scegliamo il posto giusto

Le scene più dinamiche non sono prerogativa esclusiva delle aree metropolitane. Qualsiasi luogo pubblico può essere perfetto, se vibra di attività umanaConsideriamo attrazioni turistiche, musei, mercati, spiagge… C’è spesso un momento ideale per visitare ogni luogo. Una stazione è pazzesca all’ora di punta, un chiosco è pieno a pranzo e così via.

Nelle strade affollate, ricordiamo di muoverci contro il flusso delle persone, in modo che i possibili soggetti si presentino frontali. Osserviamoli da una certa distanza e scattiamo quando ci passano vicini.

 



4 – Street photography: non diamo nellocchio

Per fortuna l’invisibilità non richiede super-poteri, solo un po’ di attenzione e buon senso. In termini di scatto, una buona tecnica è guardare oltre i soggetti quando in realtà li fotografiamo. Se fingiamo di essere concentrati su altro, è molto probabile che non si sentiranno allarmati dalla nostra presenza. Quando scattiamo immagini di sconosciuti, è naturale per noi sentirci molto evidenti, ma anche i timidi e gli introversi possono ottenere ottimi risultati. Cerchiamo di emanare sicurezza. Quando abbiamo l’aria di essere proprio dove dovremmo essere, è più facile essere farci ignorare.

Se all’inizio ci sentiamo davvero troppo a disagio, manteniamo le distanze e lavoriamo su composizioni in cui abbia senso che i soggetti appaiano piccoli. Non ci sono trucchi magici per superare la paura: continuiamo a provare!


 

5 – Impostiamo lo scatto

I sistemi esposimetrici se la cavano in genere molto bene, ma non affidiamoci completamente agli automatismi. Usiamo piuttosto una modalità semi-automatica. Avremo il controllo e dimezzeremo il tempo di impostazione. Se sappiamo che la nostra fotocamera ha difficoltà a gestire il contrasto elevato, impostiamo una compensazione dell’esposizione: +1 se il soggetto è più luminoso della media della scena, -1 se è più scuro.

Oltre che all’esposizione, dobbiamo prestare attenzione alla messa a fuoco. Impostiamo la fotocamera sulla modalità continua (AI Servo su Canon o Continuous su Nikon). In questo modo la messa a fuoco seguirà i soggetti in movimento finché li terremo nel mirino.

Priorità di diaframma

La priorità di diaframma è indicata per le scene più generiche. Impostiamo diaframma e ISO in accordo con le condizioni di luce. In una giornata luminosa, partiamo da f/8 e ISO 400. Controlliamo che il tempo sia più veloce di 1/200.

 


Priorità di tempo

La priorità di tempo è utile per aggiungere sfocatura di movimento oppure quando la luce comincia a calare. Per persone o veicoli in movimento, partiamo da 1/15 di secondo. Un tempo più lungo, abbinato al panning, è ideale per soggetti più lenti.

 


6 – Catturiamo momenti spontanei

Le fotografie posate offrono splendidi ritratti, ma non catturano la vera essenza di una persona quanto uno scatto spontaneo. Se i soggetti sono diffidenti, possiamo provare a porre domande generiche sulla giornata o a fare complimenti per come sono vestiti – qualsiasi cosa faccia loro abbassare la guardia.

Alcuni ci staranno, altri no, non forziamo mai la situazione. La fotografia di strada è umanità e le emozioni sono la chiave dell’interesse. Le persone cambiano espressione di continuo. Un attimo sorridono, quello dopo corrugano la fronte. Il momento in cui scattiamo fa una profonda differenza.

 


7 – Fotografiamo con rapidità

La velocità di esecuzione è l’essenza della fotografia di strada, ma mettere a fuoco richiede tempo. Se esitiamo troppo, però, il momento decisivo rischia di andare perso.

La teoria della messa a fuoco zonale prevede di impostare l’obiettivo in manuale, mettere a fuoco su una data distanza e scattare quando il soggetto passa nella zona nitida. È una tecnica utile quando scattiamo tenendo la fotocamera al fianco e non possiamo guardare nel mirino. Inoltre, ha il pregio di risultare invisibile e veloce.

Ci sono app gratuite che possono aiutarci a calcolare le distanze. Cerchiamo nel nostro app store un calcolatore di profondità di campo.

La messa a fuoco zonale

Mettere a fuoco in anticipo permette di scattare con velocità e precisione. Le ottiche più vecchie hanno indicatori specifici per l’estensione della profondità di campo, che comunque è molto facile da calcolare. Per determinarla e modificarla, dobbiamo conoscere la lunghezza focale e il diaframma in uso e la distanza dal soggetto.

Impostiamo la fotocamera

Partiamo da diaframma f/8 o f/11. Potremo cambiare il valore se ci accorgessimo che i risultati sono troppo scuri. Un’ottica fissa 50 mm (meglio se con gli indicatori della distanza di fuoco) è la scelta migliore. Impostiamo messa a fuoco manuale.

Calcoliamo le distanze

Se l’ottica offre indicatori di distanza, usiamo quelli. Se no, usiamo un’app come DoFViewer. Inseriamo modello di fotocamera, lunghezza focale, diaframma e distanza dal soggetto e l’app calcolerà i punti più vicino e più lontano coperti dalla profondità di campo.

Posizioniamoci bene

Mettiamoci in un punto dal quale il soggetto cade entro la profondità di campo calcolata. Se desideriamo ampliarla, chiudiamo il diaframma, ma ricordiamo di riaggiustare l’ottica e la nostra posizione di scatto. Con i soggetti in movimento, scattiamo non appena entrano nella zona nitida.

 


8 – Diamo rilievo ai dettagli

In nostri ritratti sembrano poco ispirati? Se ci capita, avviciniamoci e stringiamo le scene per potare all’attenzione dettagli ed elementi interessanti. Le immagini di strada non devono per forza contenere esplicitamente persone. Artefatti e oggetti che alludono a storie e comportamenti sono documenti sociali altrettanto potenti.

Il taglio stretto forza lo sguardo su una specifica parte del soggetto. Perché non concentrarci sulle mani o sui piedi di qualcuno, se hanno qualcosa da dire? Nel caso, un teleobiettivo nell’ordine del 70-200 mm funziona molto bene.

9 РI clich̩ della street photography

Bianco e nero contrastato
L’assenza di colore può semplificare una scena complessa, dare carattere e rendere protagonista una luce interessante. Il colore però ha forti connotazioni emotive. Non usiamo un bianco e nero ruvido solo per ricreare l’atmosfera di una foto classica. Piuttosto scattiamo in RAW e decidiamo in fase di conversione.

Artisti di strada
Sono bersagli facili, perché restano in un punto e in genere non hanno problemi a essere fotografati. Se uno in particolare ci attira, mostriamo ciò che lo rende unico: lo stile, le mosse o magari gli abiti o gli strumenti.

 


 

Silhouette e ombre
Le silhouette rendono teatrali le scene di strada, soprattutto quando la composizione è molto semplice. Esponiamo per le luci alte e lavoriamo in monocromia per vedere l’effetto. Inquadrare il soggetto contro uno sfondo chiaro o luminoso enfatizza l’uso della tecnica.

Riflessi
Le superfici riflettenti sono diffuse negli ambienti urbani. Vetrine, strutture di metallo e anche pozzanghere offrono lo strumento perfetto per composizioni creative. I sistemi autofocus spesso non riescono ad agganciare i riflessi, nel caso procediamo in manuale.

Vetrine
Le vetrine sono barriere fisiche che facilitano la cattura di soggetti davvero del tutto inconsapevoli e, in più, aggiungono una prospettiva nuova alle immagini. Scattiamo dall’interno o dall’esterno: cambiamo posizione e vediamo cosa otteniamo. Includiamo anche insegne, grafiche e riflessi.

 


10 – Cogliamo l’attimo

Alba e tramonto sono di norma associati ai paesaggi, ma inserire una luce naturale dinamica ha un bell’impatto anche sugli scatti di strada. Una lama di sole o un’ombra ben definita possono trasformare un’immagine altrimenti scialba. Le diverse ore del giorno portano allo scoperto anche personaggi particolari, come nottambuli che tornano da una notte brava, pendolari o lavoratori del turno di notte.

 


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Dal Marketing Mix delle 4P alle 4e del Marketing Omnichannel


Scordiamoci le 4P del marketing classico e diamo il benvenuto alle 4E.


Per chi ha studiato Marketing all'Università o ha letto libri di approfondimento, conosce bene il concetto delle 4P del marketing mix, ma considerando che il mondo e le modalità di fare business sono cambiate in modo considerevole negli ultimi 20 anni, gli esperti di marketing hanno identificato un vero e proprio cambio nella strategia da adottare in chiave business, passando dalle 4P alle nuove 4E.

Scopriamo insieme qual è il cambiamento, tornando brevemente a descrivere le 4P per poi descrivere le nuove 4E in dettaglio.

Le classiche 4P del Marketing Mix

Era il 1960 quando Edmund Jerome McCarty, professore americano di marketing, pubblicò il libro Basic Marketing: A Managerial Approach in cui esponeva per la prima volta la teoria delle 4P del marketing mix.

Le 4P erano le seguenti: Product, Price, Place, Promotion.
Questi erano i 4 elementi più importanti su cui riflettere e da tenere conto per fare business.

Un concetto da interiorizzare

Il mondo è cambiato. Dagli anni '60 sono passate diverse generazioni, GenX, GenY, GenZ, i Millenials e tra poco sarà la Generazione Alpha a condizionare gli acquisti. Ad ogni generazione sono stati registrati cambiamenti epocali, pian piano ogni paradigma del marketing si è trasformato. Sono cambiati i bisogni, i criteri di fedeltà, l'idea di prodotto, le modalità di acquisto e tanto altro.

Le persone non comprano più il prodotto, acquistano la sua anima, il suo perché.

I clienti del futuro acquisteranno sempre più esperienze ed emozioni. Dovremo cambiare il nostro approccio ed iniziare a domandarci qual è l'emozione che offro al mio cliente quando sceglie il mio prodotto. Il branding emozionale sarà elemento imprescindibile del prodotto stesso, e contraddistinguerà più di ogni altra cosa l'immagine di un'azienda.

Ti sei già accorto che:

Non serve più avere il prodotto migliore. L'importante è venga percepito come migliore, anche grazie a servizi di supporto, magari gratuiti.

I marchi di maggior successo non offrono solo prodotti o servizi materiali, ma grandi esperienze. Emozioni, una storia interessante che spiega il perché è nato quel prodotto (l'anima). Le aziende devono offrire qualcosa di cui parlare e da raccontare agli amici. 

Anche un semplice prodotto, oggi, può diventare un vero status symbol.

Se non credi all'affermazione fatta, pensa ad alcuni brand di caffè in particolare e rifletti sul fatto di come una banalissima cialda con pochi grammi di caffè possa essere diventata così "importante" e determinante per un certo tipo di persone nell'elevare la propria classe sociale. Non è grazie ad una cialda che si diventa importanti, ovvio : ) ma anche grazie ad una cialda si può affermare o dare conferma di far parte di una specifica fascia economica.

In questo senso, ti suggerisco di leggere il libro di Simon Sinek intitolato Parti dal perché (Start with why). Puoi acquistarlo su Amazon.

Le nuove 4E del Marketing Mix

Brian Fetherstonhaugh, Global CEO di OgilvyOne, è stato l'ideatore del concetto delle nuove 4E del Marketing mix, presentandolo come un aggiornamento delle vecchie 4P.

EXPERIENCE

Se nelle 4P era il Prodotto l’elemento principale, nel Marketing mix del nuovo millennio è l’Esperienza a prendere il suo posto. In passato, si otteneva attenzione del cliente mettendo in mostra le caratteristiche del prodotto, esaltando le potenzialità, le compatibilità, la qualità, ecc. Questo approccio sta perdendo il suo appeal perché utilizzato in eccesso negli anni (spesso nascondendo difetti del prodotto e portando avanti delle "mezze verità/bugie"). Ciò ha generato delusione negli acquirenti, le aspettative erano sempre molto alte. Se un'azienda promette, poi deve mantenere la parola.

Per tutte queste ragioni e forse anche per altre, il Prodotto ha perso il suo ruolo cruciale, messo da parte dall’Esperienza, che in fin dei conti riesce davvero a coinvolgere i potenziali clienti ed attrarli ad un brand anche non conosciuto. Il primo passo strategico è: creare emozioni, sensazioni positive. Il cliente deve avere un feeling con il prodotto, creando un legame emotivo con il brand.


EXCHANGEE

La seconda P era il Prezzo, e non si può certo dire che il prezzo non abbia importanza strategica nel mondo globalizzato, pieno di offerte e sconti personalizzati. Tuttavia è importante comprendere come il consumatore si sia evoluto e abbia cambiato il proprio modo di vedere lo scambio di soldi per l'acquisto di un bene.

Il consumatore non acquista più esclusivamente per necessità ma spesso solo per desiderio. Ciò comporta una diversa importanza data al denaro e al prezzo. Non si tratta più di spendere meno possibile per un prodotto di cui ho necessità ma di spendere meno possibile per un prodotto che ammiro, desidero o di cui ho bisogno in quanto mi offre un'emozione o uno status symbol.

Acquisto un prodotto che mi offre un “valore”. Più valore aggiunto possiede il prodotto che voglio acquistare e meno importante diventa il prezzo a cui lo posso acquistare.

Il valore è un qualcosa che il cliente ottiene, oltre al prodotto, dopo avere effettuato l’acquisto. Se un'azienda vuole intercettare i clienti di oggi, deve creare dei valori aggiunti ai propri prodotti. Per questo motivo, nella nuova strategia di marketing il Prezzo diventa Scambio (Exchange) di valore tra azienda e cliente.


EVERYPLACE

Il mondo digitale ha trasformato fortemente l'universo degli acquisti. Una volta era indispensabile fare arrivare i prodotti a tanti punti vendita fisici, adesso grazie all’e-commerce non è più strettamente necessario, ed infatti molti lavori di intermediazione sono scomparsi.

Il cliente può acquistare da ovunque, in qualsiasi momento e orario (l'ecommerce è aperto 24 ore al giorno, anche nei giorni festivi). Ecco perché la terza P di Place (distribuzione) diventa Everyplace (ovunque). Oltre qualsiasi confine fisico, oltre qualsiasi muro dato da lingua, distanza o disponibilità fisica.

Importante: la strategia di Everyplace, deve anche tradursi in onnipresenza sui Social media, così come nella corretta comunicazione online con un portale web responsive (facile da essere utilizzato su mobile). Così facendo i potenziali clienti possono essere ingaggiati (engaged) più facilmente, sfruttando più canali di vendita.
 

EVANGELISM

La quarta e ultima P era la Promozione, tutt’ora fondamentale in una strategia di marketing vincente. Ma anche in questo caso, è importante riflettere su come la pubblicità si sia evoluta e cosa sia diventata oggi.

Nel mondo globalizzato e digitale la promozione non è più unidirezionale ma multi-canale, un coinvolgimento del consumatore a 360°. Ciò significa ad esempio, che un utente dovrà trovare lo stesso tipo di promozione (immagine aziendale) sul sito web, sui canali Social, nei punti vendita fisici, sul motore di ricerca Google (sfruttando Google AdWords), su Bing, ecc.

Fare marketing oggi significa comunicare con gli utenti utilizzando qualsiasi tipo di canale ed in modo globale, 24 ore su 24, anche multi-lingua.

Per fare in modo che ciò avvenga, sta all’azienda trovare anche degli argomenti interessanti di cui parlare, magari utilizzando anche degli Influencer.

L'azienda quindi, piuttosto che decantare le proprie doti, deve sforzarsi a soddisfare i clienti al punto da portarli a consigliare i prodotti spontaneamente (passaparola). In questo modo i consumatori si trasformano in testimonial della marca alimentando la reputazione del brand.

Cura i tuoi clienti a tal punto da trasformarli in ambasciatore del tuo brand (un Evangelist).

Se il tuo cliente crede veramente in te, ha piena fiducia nei tuoi prodotti ed abbraccia l'anima dei tuoi prodotti, comprese le scelte produttive che fai ovvero la mission aziendale, avrai trovato un alleato che difenderà a spada tratta il tuo brand! Quel cliente sarà un Evangelista del tuo brand, egli potrebbe non acquistare più alcun tuo prodotto negli anni a venire, ma riuscirà sicuramente a spingere nuovi clienti a scegliere il tuo brand.

L'azienda deve far in modo di diventare uno dei punti di riferimento del cliente. La motivazione può essere di vario genere: ecologico, tecnologico, passionale, innovativo, ecc. Sta a te trovare la via-del-successo, la mission aziendale ideale che permetterà di creare un legame emotivo con i tuoi futuri clienti.

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Lo storytelling è un'arte, scopriamola tra le pagine di 5 grandi scrittori

 


Parlare di storytelling applicato alla comunicazione di un business non è mai facile.
Il genere umano si divide in due categorie: da una parte quelli che mettono una spruzzatina di storytelling ovunque (e, spesso, a sproposito, in un modo che stona); dall’altra, quelli che considerano lo storytelling troppo difficile o, peggio, inutile, perché tanto l’obiettivo di un business è fatturare.

L’obiettivo di un business è sì, fatturare – altrimenti come può continuare a vivere? – ma oltre a questo aspetto materiale esistono una missione, il desiderio di creare valore, di ispirare, di guidare, di nutrire un pubblico desideroso di cambiare qualcosa della propria vita in meglio.

Durante la mia vita, ho avuto la possibilità di incontrare, tra le pagine di un libro, le immagini di un film, le note e le parole delle canzoni, moltissimi uomini dal talento straordinario, ho ascoltato i loro racconti, letto le loro storie, vissuto le loro avventure. Ho scoperto così che il nostro cervello, grazie ai neuroni specchio, registra come vissute tutte le esperienze lette o viste in un film. In poche parole, per il cervello umano non c’è differenza tra realtà e immaginazione. Il potere straordinario delle storie è proprio questo: ci permettono di crescere ed evolvere stando comodamente in poltrona.

Perché non aiutare i tuoi potenziali clienti con buone storie che diano loro un’opportunità di trasformazione?
Oggi, per approfondire l'argomento con voi, ho pensato di scomodare dei Grandi della scrittura per scoprire i loro consigli per scrivere storie con un’anima.

Il mestiere di scrivere secondo Stephen King

Stephen King è la pietra miliare delle mie letture horror. Ogni volta che voglio sentirmi a casa con un romanzo, afferro uno dei suoi e inizio a leggere. Ogni volta che non trovo romanzi che mi appassionino, quando tutte le storie mi sembrano noiose e tutte un po’ uguali tra loro, scelgo un romanzo di King. Confido di riuscire a leggerli tutti prima di morire, per cui lui – il Re del Brivido – resta la mia biblioteca di salvataggio quando l’editoria mi lascia a bocca asciutta. O quando io divento insofferente e ho bisogno di foglie rosse sui vialetti dei quartieri residenziali di qualche sperduta cittadina del Maine, di qualche personaggio bizzarro che vende chincaglieria, di animali che spero si salvino e di bambini per cui tifo sin dalla prima pagina.

On Writing, il suo saggio sulla scrittura creativa, è un vademecum essenziale.
Non è (solo) tecnica, ma una lettera d’amore alla scrittura.

  1. Se non hai tempo per leggere non hai nemmeno tempo per scrivere.
  2. Una storia breve è semplicemente una storia breve. Ãˆ come il bacio di uno sconosciuto nel cuore della notte.
  3. Le buone descrizioni hanno bisogno di skills, e la prima di queste è che devi leggere tanto per scrivere tanto. E bene.
  4. Fermarti durante la scrittura di una scena solo perché è difficile è una pessima idea. Vai avanti e scrivi, perché quel pezzo potrebbe essere il migliore che tu abbia mai scritto. Scava a fondo, quando entri in queste situazioni complesse: stai smuovendo qualcosa di grosso dentro di te, non fermarti.
  5. Le storie si dividono in tre parti. La narrazione, che porta la storia da un punto all’altro sino all’epilogo. Le descrizioni, che rendono realistiche le scene agli occhi del lettore. I dialoghi, che portano realismo ai personaggi.
  6. Le situazioni più interessanti sono sempre quelle che rispondono alla domanda E se…?
  7. Le migliori storie sono quelle che finiscono per essere incentrate sul personaggio e non sulla situazione.
  8. Con i verbi passivi, qualcosa è già accaduto al soggetto della frase. Elimina le forme passive!
  9. Le descrizioni iniziano nell’immaginazione dello scrittore e finiscono con quella del lettore.
  10. Meno è meglio. 
  11. La via per l’Inferno è costellata di avverbi.
  12. Utilizza sempre la parola più semplice e immediata del tuo vocabolario. Non ricercare parole complesse, desuete o artificiose. Sii diretto.
  13. Sii unico: non cercare di imitare lo stile di qualcun altro.
  14. Se lo fai per divertimento, lo farai per sempre.

Consigli di scrittura per la tua comunicazione, firmato: Virginia Woolf

Il potere di suggestione è una delle proprietà più misteriose che hanno le parole. Chiunque abbia mai scritto una frase deve essere cosciente, o almeno in parte cosciente, di questo. Le parole sono per loro stessa natura piene di echi, di ricordi, di associazioni.

  1. Tieni un diario e guarda i benefici che ha sulla tua scrittura. Virginia Woolf ne tenne uno che durò ventisei anni.
  2. Qualsiasi metodo di scrittura è corretto, poiché è il modo in cui lo scrittore esprime sé stesso.
  3. Esci di casa: Ã¨ importante quanto restarci. Virginia Woolf faceva lunghe passeggiate attraverso cui coglieva storie e personaggi che avrebbero affollato i suoi romanzi.
  4. Gli esseri umani sono abitudinari. Una routine di scrittura Ã¨ essenziale per esprimere al massimo le proprie capacità.
  5. Combattere i tuoi demoni con la penna, fa parte della tua crescita.
  6. Trova un posto tranquillo in cui meditare.
  7. C’è un tempo per raccontare e vivere. Non scrivere di cose troppo grandi.
  8. Non basta il talento. Impiega energie alla ricerca di idee brillanti.

I consigli di scrittura di Marion Zimmer Bradley

  1. Scrivi. Metti nero su bianco tutte le tue idee.
  2. La scrittura è composta per il 10% da ispirazione, il 90% di duro lavoro.
  3. Persisti. Scrivi ogni giorno. 1.000 pagine sembrano tante, ma tre pagine al giorno si trasformano in un libro in un anno..
  4. Non ti serve imparare a scrivere, ma a vendere.
  5. Leggi un paio di buoni libri di narrativa.

I consigli di scrittura (onirica) di Neil Gaiman

Tutti hanno un mondo segreto dentro di sé.
Intendo tutti.
Tutte le persone del mondo intero, intendo davvero ogni persona – non importa quanto siano sordi e ottusi in apparenza.
All’interno poi hanno tutti inimmaginabili magnifici, meravigliosi, stupidi, fantastici mondi …
Non solo un mondo.
Centinaia di mondi.
Forse migliaia.

– Neil Gaiman

  1. Scrivi.
  2. Metti una parola dietro l’altra. Cerca la parola più adatta e scrivila.
  3. Finisci ciò che stai scrivendo. Poi passa alla storia successiva.
  4. Butta fuori ciò che hai scritto. Rileggi con la pretesa di non aver mai letto niente di simile prima. Mostralo agli amici la cui opinione vale e chiedi un feedback su ciò che hai creato.
  5. Aggiusta. Ricorda che, prima o poi, prima di raggiungere la perfezione dovrai lasciare andare ciò che hai scritto per dedicarti alla tua prossima storia. La perfezione è come raggiungere l’orizzonte: muoviti.
  6. Ridi dei tuoi errori.
  7. La regola principale della scrittura è che, se lo fai con abbastanza garanzia e fiducia, puoi fare tutto ciò che ti piace. Questa può essere una regola per la vita e per la scrittura, ma è sicuramente vero per la scrittura. Quindi scrivi la tua storia come deve essere scritta. Scrivi onestamente e racconta al meglio delle tue possibilità. 
  8. La vita reale non deve essere convincente, ma la narrativa sì.
  9. Scrivi le cose che ti interessano. Scrivi le cose che la gente vuole leggere.
  10. Ama i libri, ama le parole e ama le storie con passione.
  11. Scrivi a lungo e per molto tempo.

I consigli di scrittura emozionale di Charles Dickens

Make them laugh, make them cry, make them wait.

  1. Scrivi le cose che hai vissuto. Viaggia tanto, incontra gente con cui non avresti a che fare normalmente nella tua vita e costruisci le tue storie basandoti su ciò che hai conosciuto nella tua vita. Non esiste solo la scrittura.
  2. Dickens disse: Scrivo con grande cura e dolore (appassionatamente appassionato della mia arte, e penso che valga la pena di mettermi nei guai per questo), perseverare e lavorare sodo”. Imitalo: ama la scrittura e le parole con la stessa passione.
  3. Dickens era uno sportivo e sosteneva che doveva mantenersi in allenamento per potersi dedicare alla scrittura con creatività e dedizione.
  4. Non trattare i tuoi lettori come degli idioti e parti dal presupposto che siano più intelligenti di te.
  5. Scrivere è difficile. Anche per Dickens, che in una sua citazione afferma “Prowling about the rooms, sitting down, getting up, stirring the fire, looking out the window, teasing my hair, sitting down to write, writing nothing, writing something and tearing it up…”. Mi piace immaginarlo aggirarsi tra le stanze della sua abitazione in preda ai dubbi. Scrivi, e se non ti piace ciò che hai scritto, strappalo.
  6. Non essere prolisso. Tira fuori le scene, le frasi, le parole superflue, che non aggiungono nulla alla storia, ed eliminale senza pietà. Mantieni solo i dettagli pertinenti alla storia.
  7. Fai ridere i tuoi lettori, le tue lettrici.
  8. Fai piangere i tuoi lettori e le tue lettrici. Non esitare ad attingere alla tua memoria emotiva per farlo.
  9. Calamita l’attenzione del tuo pubblico con la frase di apertura. “It was the best of times, it was the worst of times,” Ã¨ l’incipit di Tale of two cities (in italiano ha diverse traduzioni, per cui ti riporto il titolo inglese) e metti al lettore la curiosità di capire il motivo di questo ossimoro.
  10. Utilizza i cliff hangers per creare finali forti. Dickens utilizzava questa tecnica alla fine di ogni capitolo, anche in funzione del fatto che questi venivano pubblicati a cadenza settimanale sui magazine inglesi.
  11. Scrivi descrizioni vivide. Nelle descrizioni dei romanzi di Dickens il lettore sente i profumi, vede le scene, cattura i suoni e le voci. Questo ha reso indimenticabili le sue storie.
  12. Personaggi forti. Dickens è riuscito a creare personaggi memorabili grazie a caratterizzazioni incredibili. Chi non conosce Ebenezer Scrooge?
  13. Drammaturgia. Dickens ha scritto molto anche per il teatro e ha utilizzato l’azione e il dialogo scenico in modo da coinvolgere il lettore nella storia. Impara l’arte della drammaturgia e della sceneggiatura: potrebbero esserti di grandissimo aiuto.

Questi sono consigli per scrittori e copywriter che puoi adottare per migliorare la qualità della tua comunicazione online, molte dei quali applicabili anche a un post che vuoi pubblicare su Facebook, su Linkedin o Instagram.

 

InsightAgency

Personal Brand: la guida a 4 step per chi parte da 0

 


Se consideri il Personal Brand un elemento fondamentale per migliorare la tua carriera, in questo articolo scopriamo 4 step per crearlo partendo da 0.

 Perché è importante il Personal Branding?

Oggi più che mai, l’incertezza regna sovrana nel mercato del lavoro. Quante volte ti sei trovato a candidarti per una posizione junior dove venivano richiesti almeno 2 anni di esperienza nel settore?

Specialmente per i giovani inserirsi nel mondo del lavoro è un passaggio difficile, a causa dei continui mutamenti tecnologici. Il mercato richiede continuamente nuove competenze e si deve rimanere al passo.

Come dice Nicoló Andreula in Flow Generation: Manuale di Sopravvivenza per Vite Imprevedibili:

“Milioni di persone nel mondo occidentale sono già diventate “giocolieri di mestieri”, esperte nel destreggiarsi tra più di un lavoro: conducono un’esistenza a incastri, in cui il proprio reddito è un mosaico composto. Impieghi, progetti, impieghi, entrate passive. La tecnologia sta promuovendo questo tipo di vita lavorativa a frammenti, e in parallelo sta cambiando anche il modo in cui guardiamo a noi stessi.”

Questa frammentazione delle nostre vite professionali si allontana dal modello che abbiamo appreso durate la scuola dell’obbligo, il liceo e l’università. Queste istituzioni ci hanno guidato, a torto o a ragione, verso un futuro fatto dalla certezza di avere un lavoro stabile. Studia, impegnati e vedrai che troverai il tuo posto nel mondo.

Tuttavia, le innovazioni tecnologiche hanno scardinato le vecchie regole del mondo del lavoro, generando percorsi di carriera irregolari e discontinui. Per questo motivo molti professionisti si sono adattati gestendo diverse attività con cui mantenersi, diventando così dei “giocolieri di mestieri”.

Anche tu sei un giocoliere di mestieri?


Facci caso… nel mondo digitale probabilmente anche tu sei un giocoliere di mestieri, solo che non ci hai mai pensato. Io, per esempio, ho inziato a lavorare come giornalista e reporter freelance, ma ho avuto modo di studiare le basi di altre materie mentre lavoravo. Montaggio e post-produzione video, Design, User Experience Design, copywriting, SEO, sviluppo front end, analisi dei dati, social media marketing, tutte competenze che ho sviluppato durante il mio percorso professionale.

Senza accorgermene sto diventando un giocoliere di mestieri, e probabilmente lo stesso sta accadendo anche a te.

Non a caso oggi, nell’ambito della formazione digitale, si parla spesso della formazione di competenze T-shaped. Una vasta serie di materie conosciute in maniera orizzontale, e una stretta cerchia di materie approfondite in maniera verticale. In questo modo le nostre competenze sono elastiche e si adattano ai mutamenti del mercato del lavoro causati dall’avanzamento della tecnologia.

Come avrai notato l’unica cosa che non cambierà in questo percorso è il tuo Personal Brand.

Cos’è il Personal Brand?

Secondo Jeff Bezos, Fondatore di Amazon, il personal brand è quello che le persone dicono di te quando non ci sei. Volente o nolente, la tua attività professionale andrà a definire il tuo personal brand.

In un mondo del lavoro così discontinuo cambieranno le tue competenze ed il tuo percorso di carriera. Ma non il tuo Personal Brand, che ti seguirà e si evolverà con te.

Come prendersi cura del Personal brand?

Il Personal Brand può essere sviluppato sia online che offline.

La differenza è nel fatto che il passaparola offline è molto più lento e spesso limitato ad una cerchia di persone ristretta ad un limitato ambito geografico. In questo modo rischi di rimanere intrappolato in una cerchia di clienti, attuali e potenziali, che valutano di scarso valore quello che fai o che ti danno poche occasioni per crescere professionalmente.

Il passaparola online è invece nettamente più veloce, e infinitamente più potente. Basti pensare ai professionisti che grazie alla produzione di contenuto online sono riusciti a far crescere esponenzialmente la loro rete di contatti e, di conseguenze, le proprie opportunità lavorative.

Ovviamente non bisogna pensare all’online e all’offline come due mondi separati, entrambi creano sinergie e contribuiscono a plasmare il Personal Brand.

A tal proposito possiamo citare alcuni professionisti italiani come Federica Mutti, Luca Mastella, Francesco Agostinis o Alessandro Vercelloti (l’avvocato del digitale). Le competenze di questi professionisti sono conosciute proprio grazie alla forza dei Personal Brand che sono stati in grado di costruire.

 


I 4 Step per sviluppare il tuo Personal Brand

Ora che abbiamo capito cos’è un Personal Brand passiamo a 4 step fondamentali per iniziare a costruirne uno.

Premetto che questi 4 step sono il frutto della mia esperienza personale e delle mie ricerche. Sono molto utili per chi ancora non ha iniziato questo percorso, perché molto probabilmente affronterà gli stessi problemi che ho affrontato io.

Capisci chi sei

Sembrerà banale, ma non lo è. Capire chi sei è molto importante. Il Personal Brand online non è altro che la tua estensione nel mondo digitale, non vorrai che dica e faccia cose che non condividi?

Mi spiego meglio, tutti noi siamo frutto di un percorso che ci ha portato ad essere quello che siamo oggi. Quindi fingere sulla personalità, sui valori, sui titoli accademici e sulle competenze è un boomerang pericoloso.

Ricordati che la fiducia si guadagna goccia dopo goccia, ma si perde a litri. Quindi ti consiglio vivamente di non spacciarti per quello che non sei, perché ne pagherai le conseguenze nel lungo periodo.


 

Come capire chi sono?

Bella domanda, non è un percorso semplice e lineare, la scoperta del sé è un processo che continua durante tutta la vita. Però puoi individuare quali sono le motivazioni che ti spingono a fare quello che fai, ci sono diversi esercizi con cui puoi allenarti.

3 esercizi per capire chi sono

  • Il modello a 5 step per creare un mission statement può aiutarti ad individuare in che direzione vuoi andare nella tua vita. In questo modo inizierai a capire cosa ti rende felice e cosa puoi fare per raggiungere i tuoi obiettivi.
  • L’esercizio dei 5 Perché. Chiediti perché vuoi fare qualcosa 5 volte, andando a ritroso troverai i veri valori che ti spingono nelle tue azioni.
  • Un terzo metodo è semplicemente analizzare quello che fai durante il tuo tempo libero o quando ti annoi. In queste occasioni spesso diamo ampio sfogo alle nostre passioni e alla nostra personalità, prova a farci caso.

Io, ad esempio, ero e sono ancora molto innamorato dei giochi di strategia online. Quando ho iniziato ad occuparmi di marketing e personal branding, sono un po’ ritornato indietro nel tempo, quando studiavo strategie per vincere le mie partite.

Capisci a chi vuoi parlare

Una volta che hai capito chi sei, devi capire a chi vuoi rivolgere il tuo messaggio. Individua una nicchia specifica, che ha determinati interessi, e comunica per risolvere problemi specifici.

Attenzione! Non perderti in dettagliatissime analisi e definizione dell’audience persona all’inizio. Parti con un quadro generale del tuo interlocutore ideale.

Ricordati che la comunicazione online non è 1 to many, ma 1 to 1. Di conseguenze ti consiglio di costruire una relazione con le persone interessate a quello che fai, parlarci e confrontati. In questo modo capirai quali problemi stanno affrontando nella propria vita ed in che modo puoi aiutarli.

Facciamo finta che tu sia un insegnate di Yoga, per costruire un Personal Brand online ti basterà riprenderti con il tuo Smartphone mentre fai i tuoi esercizi o parli del tuo lavoro. Magari all’inizio non andare nello specifico, ma parla e mostra tutto quello che può essere utile per un neofita. In questo modo tutte le persone interessate allo yoga troveranno i tuoi contenuti online ed inizieranno a seguirti.


 

Andando avanti, affina l’audience persona

Ovviamente dovrai correggere il tiro andando avanti, è giusto partire in maniera un po’ più generale all’inizio, ma in futuro dovrai definire un audience persona maggiormente dettagliata (o anche più audience persona).

Tornando all’esempio dell’insegnante di Yoga. Una volta che hai iniziato a costruire un pubblico in maniera generale sulle tematiche dello Yoga dovrai scendere più nello specifico per individuare quali sono i problemi che le persone vogliono risolvere con il tuo servizio. Magari alcune persone vogliono fare Yoga per rilassarsi ed esplorare il proprio io, altre perché sono sempre stressate e vogliono uscirne, altre ancora perché sono affascinate dal mondo orientale. Il segreto del successo sarà proprio nella tua abilità di definire nello specifico le persone a cui vuoi parlare e costruire una comunicazione su misura per loro.

Inizia da subito a produrre contenuti

Bene, adesso arriva la parte davvero difficile, produrre contenuti. Dico difficile perché questo è il momento in cui dobbiamo metterci in gioco ed esporci al giudizio degli altri.

Durante questo percorso incontrerai due ostacoli particolarmente insidiosi.

Il principale ostacolo per chi parte da zero

La paura di farci vedere partire dal basso è la grande barriera all’entrata del Personal Branding. Se stai leggendo questo articolo hai già tutti gli strumenti tecnologici che ti permettono di iniziare oggi stesso a produrre contenuti. Quindi perché non lo stai già facendo?

Secondo la mia opinione i limiti non sono di natura tecnologica, ma culturale. In Italia siamo stati educati al rifiuto del fallimento. Questo perché a scuola e all’università fallire significa macchiarsi indelebilmente e perdere la possibilità di riscattarsi. Ecco perché, inevitabilmente, non tutti avranno il coraggio di sviluppare un personal brand online.

La paura quando produci contenuti sarà una cattiva consigliera, cerca di non ascoltarla. Tenderà a farti credere che ti stai semplicemente mettendo in ridicolo. Inizierai chiederti in che modo gli altri ti giudicheranno.

Cosa penseranno i miei amici di me? Ed i miei genitori? E l* mi* compagn*? Ed i miei colleghi?

Il consiglio che ti posso dare è… FREGATENE.

Probabilmente queste persone di cui temi il giudizio, diventeranno i tuoi primi supporter, o al massimo ti ignoreranno.

In ogni caso non dare troppo peso al giudizio degli altri, a meno che non facciano parte della tua nicchia di mercato. Concentrati sull’obiettivo che vuoi raggiungere, aiutare altre persone a risolvere un problema e condividere il tuo percorso. Non aspettare di avere dei contenuti perfetti, parti e migliora con il tempo.

Quando inizierai a postare saranno gli utenti stessi e valutare il tuo lavoro. Quindi parti, sbaglia ed impara durante il percorso.


 

Attenzione alla gratificazione istantanea

Appena avvierai il tuo progetto non avrai alcun riscontro da parte del pubblico. È normale, Roma non è stata costruita in un giorno, ed il tuo Personal Brand non fa eccezione. Il problema è che viviamo in un’epoca dove siamo ossessionati dalla gratificazione istantanea dei like, dei follow, e delle condivisioni.

I tuoi risultati miglioreranno con il tempo, perché testando inizierai a capire cosa funziona di più e cosa meno. Quindi dai il giusto peso a queste metriche, concentrati sulla costanza e sul valore dei tuoi contenuti.

Quali piattaforme scegliere per il Personal Branding?

Scegli le piattaforme che conosci meglio. Io personalmente ho scelto Facebook ed Instagram, perché sono quelle che utilizzo di più come utente. A supporto di Facebook ed Instagram ho deciso di utilizzare Youtube e questo blog.

All’inizio è meglio partire con 1 canale principale e 2 di supporto. Il canale principale sceglilo in base alle tue attitudini, parti dalla piattaforma che conosci meglio e che vivi di più durante la tua quotidianità.

I benefici di un approccio Multicanale

Ogni canale ha le sue regole, come disse Marshal Mcluhan, “il medium è il messaggio“.

Per questo ti consiglio di selezionare le piattaforme in base alla complessità e alla tipologia di messaggio che vuoi comunicare.

Sui miei profili social condivido i miei percorsi professionali e le mie tips sulla comunicazione, sull'advertising, sulla fotografia e sul marketing. Questo perché Facebook ed Instagram si prestano perfettamente per contenuti a metà tra l’intrattenimento, l’ispirazione e la formazione.

Su Youtube condivido le mie competenze su determinati argomenti. Mostro i video realizzati dall'agenzia per i clienti, ma anche creazioni digitali come la produzione musicale di SloU Cobra ed alcuni tutorial.

Sul Blog della Insight Agency condivido le mie competenze di Marketing a livello strategico, che richiedono un approfondimento maggiore, guide approfondite sulla scrittura creativa e sulla fotografia.


 

Impara durante il percorso

Producendo contenuti ti accorgerai che le tue competenze attuali non sono sufficienti per produrre post, video o articoli di qualità, che generino interesse negli utenti.

A questo punto ti consiglio di scegliere dei corsi o dei libri che vadano a potenziare quelle aree in cui vuoi migliorare.

Fai corsi su quello che ti piace

Il mio consiglio personale è quello di studiare di più quello che ti piace e dove sei più portato. Se odi fare video editing non ha senso fare un corso verticale su quel tema, acquisisci solo le competenze di base per poter produrre contenuti che siano sufficientemente gradevoli.

Crea le tue verticali sui tuoi punti di forza. Se ti piace e ti senti portato per il copywriting, verticalizzati su quello. In questo modo imparerai più velocemente e renderai irresistibili i tuoi contenuti facendo perno sui tuoi punti di forza.

Come capire quello che ti piace?

Il mio personale consiglio è quello di fare. Facendo scopriamo non solo cosa ci piace e cosa no, ma anche quali sono i nostri punti di forza e cosa apprendiamo più velocemente. Se ci accorgiamo che una competenza specifica stimola il nostro interesse, allora approfondiamola per costruire su di essa la nostra carriera.

Ricordati di condividere il tuo apprendimento, perché all’inizio sarà una parte importante del tuo viaggio. Documenta il percorso, non solo il risultato.

Alcuni consigli pratici per il tuo Personal Branding

Prima di concludere l’articolo voglio darti dei consigli pratici che io stesso sto applicando per sviluppare il mio Personal Brand.

Il Personal Brand non è tutto

La rete di conoscenze ti servirà per avere più opportunità. Ma ricordati che quello che ti permetterà di essere davvero spendibile sul mercato del lavoro sono le tue competenze. Trova il giusto bilanciamento tra questi 2 elementi.

In ogni caso, produrre contenuti per il tuo Personal Brand ti farà acquisire delle competenze che potranno esserti utili in futuro. Lo sviluppo di competenze e l’ampliamento della tua rete di contatti non sono attività scollegate, ma si alimentano a vicenda.

Ricordati che il mondo è off-line

Le relazioni offline sono più importanti di quelle online. Cerca di confrontarti dal vivo con altri professionisti che hanno già intrapreso il percorso che vuoi fare tu. Ti daranno utili indicazioni su come muovere i tuoi primi passi.

Scambia con loro idee e riflessioni. In questo modo potrai crescere più velocemente ed ampliare la tua rete di contatti.

Trova i tuoi Costruttori di Autostrade

Nel celebre libro di Jonathan Goodman, Viralnomics: How to Get People to Want to Talk About You, vengono analizzati le differenti 4 tipologie di utenti che dominano l’internet. Per aver successo con il tuo personal brand devi trovare quelli che vengono definiti i costruttori di autostrade, ossia le persone che amano talmente tanto quello che fai (e quello che comunichi), che diventeranno parte attiva nella divulgazione del tuo messaggio.

Se parti da zero i costruttori di autostrade potrebbero essere tra i tuoi amici e conoscenti. Impara a riconoscerli. Queste persone non solo divulgheranno il tuo messaggio, ma ti daranno feedback e consigli utili per migliorare i tuoi contenuti. Tieniti stretti questi amici, sia nella tua vita privata che in quella professionale.

Copia in maniera intelligente

Prendi spunto da chi è poco più avanti di te. Le tecnologie evolvono velocemente, non emulare chi ha 200.000 follower su Instagram. Piuttosto emula micro-influencer che hanno guadagnato 2.000 follower in 4 mesi nella propria nicchia.

Ricordati che tu sei unico. Copia la forma, non la sostanza. Il tuo tono di voce deve essere il tuo, solo in questo modo la tua comunicazione sarà unica ed efficace.

 

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Food packaging: cos'è, come sceglierlo e perché è importante.

 


Quando sentiamo parlare di food packaging, la prima cosa che ci viene in mente è un contenitore di alimenti, pensato per avvolgere e proteggere il cibo dal momento in cui viene confezionato a quando arriva sulle nostre tavole. Esso deve tener conto delle dimensioni del prodotto, della sua consistenza e di eventuali interazioni tra il cibo e i materiali del contenitore, impedendo l’alterazione o il danneggiamento degli alimenti al suo interno.

Il packaging alimentare, però, non è solamente un imballaggio che permette di mantenere intatte le proprietà del prodotto fresco. È anche, e soprattutto, un medium fisico, uno straordinario canale di comunicazione diretta tra il nostro brand e il cliente. In altre parole, il food packaging parla di noi, del nostro marchio. Per questo motivo è fondamentale comprenderne l’importanza, sia dal punto di vista dei suoi requisiti fondamentali, sia dal punto di vista del marketing. In questo articolo spiegheremo cos’è il food packaging, come sceglierlo e perché svolge un ruolo così importante nel successo di un prodotto alimentare.

Nella definizione di food packaging rientrano tutti gli imballaggi in grado di contenere gli alimenti, rispettandone e preservandone le caratteristiche ed evitando che essi vengano danneggiati durante il trasporto. Per questo, la scelta del packaging alimentare più adatto comporta un’attenta analisi dei materiali, che dovranno tassativamente essere atossici, in grado di minimizzare il deterioramento del prodotto anche in caso di condizioni ambientali avverse e non rilasciare alcuna sostanza nociva. Possiamo quindi dire che, requisiti fondamentali e primari dell’imballaggio siano quelli di contenere, preservare e consentire il trasporto dei prodotti.

Ma il food packaging svolge anche un’altra importantissima funzione: essere un efficace strumento di marketing. Il tipo di packaging che andremo a scegliere, infatti, condizionerà l’esperienza di acquisto del cliente che sarà inevitabilmente influenzato nel suo giudizio dal modo in cui il prodotto appare esteriormente, e non solo dal suo contenuto. Pensare di elaborare il packaging tenendo in considerazione solo le esigenze logistiche o funzionali e sottovalutando il punto di vista del cliente è un errore da non fare se intendiamo veicolare un’immagine positiva del brand. Quando scegliamo il tipo di food packaging da utilizzare, infatti, dovremmo sempre tenere a mente che esso parlerà della nostra azienda e dei nostri valori molto prima che possa essere valutata dall’acquirente l’effettiva qualità del prodotto al suo interno.

Come scegliere il giusto food packaging?

Questo significa che, a seconda del food packaging scelto, comunicheremo qualcosa ai nostri clienti, influenzando i loro acquisti futuri. Esserne consapevoli è il primo passo per far sì che il messaggio veicolato offra un’immagine positiva del brand e del prodotto. A tal proposito, ci sono alcune best practice nella scelta del food packaging da tenere in considerazione e provare a tradurre nel proprio business.

Food packaging a basso contenuto di plastica

La prima e più attuale è sicuramente quella di cercare di ridurre il più possibile l’utilizzo della plastica negli imballaggi. Chi compra cibo online, ad esempio, è tendenzialmente un cliente molto consapevole, che ha valutato diversi aspetti e tenuto in considerazione una serie di vantaggi e svantaggi prima di compiere la propria scelta di acquisto. Spesso si tratta di clienti particolarmente sensibili al tema ambientale e attenti agli aspetti di vita ad alto impatto sociale. Se desideriamo attirare questo tipo di clientela (e compiere una scelta green!), ridurre l’utilizzo di plastica nel packaging comunicherà la nostra posizione relativamente alla responsabilità sociale che l’azienda si vuole assumere.

Un imballaggio facile da aprire

Un secondo fattore che condiziona l’esperienza positiva del cliente relativo al packaging è sicuramente la facilità di apertura. Un esempio di successo in tal senso è rappresentato da Amazon che, ormai da diversi anni, attua una politica interna chiamata frustration free packaging: il packaging che libera dalle frustrazioni. Da questa politica è nata quella confezione, solitamente utilizzata per i libri, che permette al cliente di aprire facilmente l’imballaggio tramite una linguetta seghettata e al cui interno non contiene altro che non sia il prodotto, rendendo l’apertura e lo smaltimento della scatola semplice e veloce.Per i prodotti alimentari risulta ovviamente molto più complicato utilizzare un imballaggio del genere, soprattutto a causa della necessità di salvaguardare l’integrità e la freschezza del cibo. Ma questo non deve precludere la possibilità di individuare metodi alternativi e semplici di apertura dell’imballaggio, utilizzando, ad esempio, coperchi a incastro e sigilli di freschezza.

Packaging informativo

Il terzo fattore da tenere in considerazione è il materiale informativo che il packaging dovrà contenere. Che si tratti di un e-commerce di prodotti alimentari da supermercato, senza nulla da spiegare, o prodotti molto particolari con un importante storytelling, il momento dell’apertura del pacco rappresenta il primo contatto fisico tra l’azienda e il cliente e, quindi, l’opportunità di poter fare comunicazione e raccontare qualcosa di noi. Può essere inserito nella confezione del materiale informativo che racconti la storia del brand, la creazione dei prodotti e i valori aziendali ma anche le istruzioni per smaltire correttamente l’imballaggio. Oppure, ancora, possiamo scegliere di utilizzare del materiale diverso in base alla tipologia di cliente, se abituale o al primo acquisto, tramite sistemi automatici che si interfacciano con il magazzino dell’azienda.

Food Packaging brandizzato

Un ultimo, ma non per importanza, aspetto fondamentale da tenere in considerazione è la personalizzazione grafica del packaging con il logo del brand. Molti e-commerce fanno l’errore di partire con un packaging anonimo, non brandizzato esternamente, per abbassare i costi. Così facendo, però, si sottovaluta il potente marketing inconscio che caratterizza la fase in cui il cliente riceve fisicamente il pacco. I primissimi secondi, infatti, sono quelli che condizionano maggiormente l’esperienza dell’acquirente e saper rendere piacevole questo momento significa aver già raggiunto un ottimo traguardo. Per farlo, basta avere una scatola personalizzata, magari colorata, che mostri il marchio e trasmetta i valori del brand. E se il modello logistico non dovesse permetterlo, perché magari la scatola rischia di sporcarsi molto durante il viaggio, un’ottima alternativa è quella di personalizzare l’interno dell’imballaggio; esistono, ad esempio, nuove tecnologie di stampa digitale su cartone che permettono una variabilità grafica altissima a costi molto contenuti.

Perché il packaging alimentare è importante

A seconda di come viene utilizzato, il packaging alimentare può essere un prezioso alleato o il nostro peggior nemico. Il modo in cui il nostro prodotto appare esteriormente è fondamentale per la buona riuscita di una vendita, soprattutto quando si parla di cibo. Il design della confezione, infatti, rappresenta la prima esperienza di qualità di ciò che stiamo vendendo ed è in grado di rafforzare il legame tra marchio e clienti, oltre a influenzare i comportamenti di acquisto futuri di questi ultimi.

Il food packaging aiuta ad attirare l’attenzione del consumatore su un determinato prodotto; fattore fondamentale se consideriamo un mercato alimentare sempre più affollato nel quale ciò che vendiamo rischia di perdersi e confondersi tra le migliaia di proposte alternative. Ma il giusto packaging può anche aumentare sensibilmente la ricorrenza di acquisto se, ad esempio, decidiamo di fornire ai clienti una soluzione migliorativa (più intuitiva o più sostenibile) rispetto a quella attuale. O, ancora, può invogliare il consumatore ad acquistare nuovamente, magari sfruttando la possibilità di restituzione della scatola alla consegna dell’ordine successivo, rendendolo una vera e propria leva per il riacquisto.

Come abbiamo visto, le possibilità di personalizzazione del packaging alimentare sono davvero moltissime. Alcune soluzioni sono molto economiche, altre richiedono investimenti extra da tenere in considerazione, altre ancora una pianificazione ben precisa da mettere in atto. Quello che però non dobbiamo mai sottovalutare è l’importante ruolo che l’imballaggio svolge nel veicolare l’immagine del nostro brand e nel comunicare quelli che sono i valori aziendali. Il food packaging, infatti, rappresenta il primo e principale touchpoint fisico tra l’azienda e il cliente e, per questo, deve essere incluso come strumento fondamentale all’interno del processo di marketing di qualsiasi azienda che voglia avere successo.

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Come possiamo gestire il rumore in fotografia?

 

Tutti abbiamo sentito parlare di rumore in fotografia. Ma di che cosa si tratta esattamente? E come possiamo gestirlo? Rispondiamo a tutte le domande in questo articolo.

Gestire il rumore: introduzione

Conosciamo il ruolo del livello ISO in fotografia e sappiamo come l’aumento della sensibilità del sensore corrisponda a un parallelo aumento dell’incidenza del “rumore”. Ma cos’è di preciso il rumore? È l’equivalente digitale della grana della pellicola. Tuttavia, mentre la sgranatura può migliorare aspetto e atmosfera di un’immagine, il rumore spesso è fastidioso.

Il rumore non è esclusivo delle fotocamere digitali. È un disturbo generato da tutti gli strumenti elettronici. Il fattore chiave è il rapporto segnale-rumore (SNR). Quando il segnale (nel nostro caso l’intensità della luce catturata dal sensore) è superiore al rumore di fondo generato dai circuiti elettronici, l’immagine mostra scarse interferenze. Quando il segnale è debole, è più difficile distinguere i dati dell’immagine dal rumore indesiderato.

Le cause del rumore

Sono molti i fattori che possono causare il proliferare del rumore. Aumentare il livello ISO, come detto, ha un importante impatto perché amplifica tanto il rumore quanto il segnale. Il punto oltre il quale il rumore diventa eccessivo varia a seconda delle fotocamere (alcune hanno prestazioni ad alti ISO migliori di altre). Ma in genere le immagini rimangono pulite fino a ISO 800 e il rumore accettabile fino a ISO 3.200. Al di sopra, il margine di tollerabilità cambia e dimensioni e risoluzione del sensore influenzano il risultato. Infatti, più il sensore è piccolo e ad alta risoluzione, prima diventa evidente il rumore.

Anche le lunghe esposizioni introducono rumore, perché il sensore si surriscalda, soprattutto quando il clima esterno è caldo. In generale, però, questo tipo di rumore è più semplice da rimuovere rispetto a quello associato ai livelli ISO più alti.

Il rumore è più evidente nelle aree scure di un’immagine che in quelle chiare. È uno dei motivi per cui vale sempre la pena di cercare di esporre correttamente allo scatto, anche in RAW. Quando in post-produzione schiariamo un’immagine sottoesposta, infatti, accentuiamo anche la presenza del rumore registrato nelle ombre.


 

Di luminanza o di crominanza?

“Rumore”, comunque, è un termine un po’ generico. In fotografia digitale, il rumore si distingue in rumore di luminanza o di crominanza. Il secondo è il più fastidioso. Può coprire l’immagine con una cortina di macchioline, coriandoli e bande che oscurano il dettaglio e falsano la scena. Per fortuna, sono anche facili da rimuovere via software senza degradare troppo l’immagine.

Diverso il discorso per il rumore di luminanza. È meno spiacevole (somiglia di più alla grana della pellicola), ma più difficile da eliminare senza “ammorbidire” l’immagine. Il sistema di riduzione del rumore fatica a distinguere dettagli minuti e rumore di luminanza, e finisce per fluidificare entrambi. Via software possiamo almeno regolare l’intensità della correzione e applicarla selettivamente a specifiche aree dell’immagine.

Le funzioni di riduzione in-camera

La riduzione del rumore ad alti ISO offerta dalla fotocamera è invece uno strumento meno efficace e versatile, nonostante la scelta di diverse possibili opzioni. Per esempio, in genere è possibile scegliere intensità diverse di riduzione del rumore ad alti livelli ISO e anche disattivare del tutto la funzione. Dato che si tratta di un’impostazione di elaborazione interna, un po’ come il bilanciamento del bianco, viene applicata in modo permanente solo ai file JPEG. Se scattiamo in RAW, invece, avremo la possibilità di regolare l’intensità dell’intervento in post-produzione.

Alcune fotocamere offrono anche una funzione di riduzione del rumore basata su una sequenza di scatti. Se la attiviamo, la fotocamera espone una serie di immagini con un’esposizione inferiore a quella necessaria per un’immagine singola e le combina per ottenere un risultato che assicura tutto il dettaglio e una ridotta presenza del rumore. Lo svantaggio è che la fotocamera deve rimanere immobile per tutto il tempo.

L’ultima opzione allo scatto è la riduzione del rumore sulle lunghe esposizioni. Dopo lo scatto principale, la fotocamera registra un’esposizione nera (Dark Frame), con l’otturatore chiuso, che le serve per “mappare” la disposizione dei pixel bruciati ed escluderli dell’immagine finale.

In questo modo riduce considerevolmente il rumore digitale di crominanza.

Con un problema: i tempi di attesa si dilatano, perché se per esempio hai fatto una foto con esposizione di 4 minuti, altrettanti ne serviranno alla macchina per creare il dark frame … E così raddoppia il tempo che dedichi ad ogni scatto.

Origini del rumore

Come visto, il rumore compromette la qualità delle immagini. Possiamo fare molto in post-produzione, ma impegnarci per arrivare a risultati migliori allo scatto paga sempre. Livelli ISO alti e tempi lunghi sono le cause principali del rumore, come vediamo qui sotto.

Il rumore può essere evidente solo quando osserviamo l’immagine ingrandita e non rappresentare un vero problema a dimensioni normali. Inoltre, ricordiamo che è meglio un po’ di rumore che uno scatto mancato, mosso o inservibile!

Ad alti ISO

Se diaframma e tempo di posa regolano la quantità di luce ricevuta dal sensore, il livello ISO determina la quantità necessaria. ISO più bassi restituiscono una qualità ottimale. Ma quando la luce è scarsa o non possiamo aprire il diaframma, alzare la sensibilità diventa una necessità.

Le fotocamere hanno prestazioni diverse nel controllo del rumore ad alti ISO. Quindi eseguiamo qualche prova per sapere fino a che punto possiamo spingere la nostra.

rumore

Segnale debole. Se l’intensità della luce è scarsa, alzare il livello ISO è un’opzione. Sensibilità. L’impostazione ISO determina quanto viene amplificato il segnale del sensore. Amplificazione. Con il “volume” alzato, il rumore viene amplificato insieme ai dettagli dell’immagine.

Rumore sulle lunghe pose

Scattare in luoghi molto caldi, usare molto il Live View o girare un video prima di una lunga esposizione aumenta le probabilità che la temperatura interna del corpo macchina si alzi fino al punto in cui si sviluppa il rumore.

Possiamo attivare la riduzione del rumore sulle lunghe esposizioni, ma così raddoppiamo il tempo necessario a creare un’immagine. Quando scattiamo sequenze da combinare, per esempio quando fotografiamo le scie delle stelle, la pausa può essere un problema.

rumore

Tempo lento. Tenere basso il livello ISO costringe ad allungare l’esposizione. Sensibilità. L’impostazione ISO determina quanto viene amplificato il segnale del sensore. Pixel bruciati. Oltre al rumore, possiamo notare pixel “bruciati” nella stessa posizione in tutte le nostre immagini.

Correggere il rumore

Quando sbagliamo un’esposizione allo scatto, sappiamo che possiamo provare a salvarla in post-produzione. È più facile schiarire un’immagine sottoesposta che riportare dettaglio in una sovraesposta. Ma ogni volta che illuminiamo le ombre per svelare dettagli nascosti, corriamo il rischio di alzare anche il “volume” del rumore.

rumore

Nella foto qui sopra, il cielo chiaro ha indotto la fotocamera a sottoesporre il soggetto (a sinistra). Il formato RAW permette di “spingere” l’esposizione (al centro), ma l’esposizione corretta allo scatto (a destra) risulta comunque più pulita.

Nel dettaglio

rumore

Originale (sottoesposta)

Il cielo chiaro corrisponde al picco destro dell’istogramma, che però è troppo distante dal margine del grafico per essere reso con un bel tono luminoso nell’immagine.

Corretta

In Lightroom, basta portare a destra l’Esposizione per correggere la luminosità del cielo quasi bianco e dei toni medi. Ma il risultato mostra anche una cortina di rumore che offusca i dettagli in ombra.

Riscattata

Il secondo scatto è stato realizzato compensando l’esposizione per lasciar entrare più luce: si vede con chiarezza come la maggior quantità di luce corrisponda a una minore incidenza del rumore.

La riduzione del rumore

Le fotocamere digitali hanno impostazioni specifiche per ridurre il rumore causato da ISO alti o tempi lunghi. Ma non assicurano lo stesso grado di controllo dei software di post-produzione. Diamo un’occhiata ai cursori disponibili in Lightroom e guardiamo cosa succede quando spingiamo ognuno al massimo su un file RAW.

Luminanza

rumore

L’opzione Luminanza della funzione Riduzione disturbo deve essere maneggiata con cura perché altrimenti cancelleremo i dettagli e la “grana” dei toni sale e pepe. Ingrandiamo l’immagine al 100% per valutare l’effetto.

Colori

rumore

Lightroom applica una riduzione automatica del disturbo cromatico pari a 25, che in genere è sufficiente per rimuovere il velo di pixel colorati. Impostazioni più alte tendono a eliminare anche parte del colore, come nell’occhio a destra.

Dettagli

rumore

Il cursore Dettagli imposta il limite di quello che Lightroom identificherà come rumore di luminanza. Le impostazioni più alte svelano migliori dettagli (come nell’occhio a destra) al costo di una certa sopravvivenza del rumore.

Riduzione del rumore: Dettagli

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Come l’omonimo cursore dedicato al disturbo di luminanza, definisce la soglia del rumore. Il prezzo per un migliore dettaglio dei colori è un aumento degli artefatti, come vediamo qui nelle palpebre del nostro amico.

 

rumore 

Contrasto

Un Contrasto basso dà risultati più morbidi, mentre un’impostazione più alta aggiunge mordente. Con il rischio però di transazioni tonale troppo nette. Per controllare l’effetto senza la distrazione del colore, teniamo premuto [Alt].

Riduzione del rumore: Uniformità

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Questo cursore riduce il colore a bassa frequenza. Se guardiamo da vicino, nell’immagine a sinistra notiamo macchie di colore. Alzare l’Uniformità le rimuove, ma spegne anche un po’ il colore d’insieme.