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InsightAgency

Che forma ha un nome aziendale?

Questo è il primo di una serie di post che pubblicherò sul naming. 

Molti pensano che per trovare un nome super, ultra, iper, bello ci voglia inventiva.
Vero, verissimo, senza creatività non si va da nessuna parte, ma è anche importante darsi e dare delle regole da rispettare, altrimenti la fantasia corre a briglie sciolte rischiando di produrre nomi poco efficaci.
Alcuni criteri è il cliente stesso a deciderli (io li chiedo nel primo incontro con il cliente, durante la fase di audit), per esempio: “voglio un nome corto, in italiano, che trasmetta gioia e positività”.
Altri hanno a che fare con:

  • l’essere memorabili
  • il significato
  • i valori e il tono di voce dell’azienda
  • la pronuncia

Vediamo insieme questi elementi, uno per uno.

Essere memorabili

Un nome che funziona è quello che riusciamo a ricordarci anche a distanza di tempo, sembra semplice quando lo sentiamo la prima volta (avrei potuto pensarci io, mannaggia) ma in realtà ha una costruzione tosta alle spalle.

I nomi più memorabili sono familiari, ci fanno sentire a nostro agio quando li pronunciamo, trasmettono sentimenti e sensazioni precise.

Come si trova un nome memorabile?

  • Creando delle rime, per esempio Fritto e zitto è il nome simpatico e irriverente che darei a un food truck che vende olive all’ascolana, arancini e altre golosità che prevedono l’uso di una friggitrice.
  • Usando l’allitterazione e, più in generale, tutte le figure retoriche, come ha fatto Dunkin’ Donuts.
  • Giocando con le parole; qui mi viene in mente la panetteria biologica e vegana Breaking Bread di Roma.
  • Iniziando con forza; le ricerche dicono che le parole che cominciano con d, g, k, p, t, v si memorizzano meglio delle altre, è il caso di Glovo o Kodak.

Il significato

Qual è il mondo che si cela dietro al nome di un’attività o un prodotto? Perché è stato scelto proprio quel nome e non un altro?

Il significato, più o meno nascosto, caratterizza la marca, ne definisce valori e aspetti.
Un nome può essere:

  • descrittivo, dice quello che il brand vende senza mezzi termini, come poltronesofà.
  • evocativo, racconta in modo delicato scenari e atmosfere collegate al marchio/prodotto.
  • un acronimo, cioè una sigla che di solito riprende le iniziali del fondatore o di parole descrittive; AEG o LG sono esempi calzanti di questa categoria.
  • inventato, un nome che all’apparenza non ha significato ma che in realtà ha un potere immenso. Qui si gioca con le parole, si fondono termini, si aggiungono o eliminano lettere. Uno dei casi più famosi di nomi inventati? Amazon.

I valori e il tono di voce dell’azienda

Quando si parla di naming, i valori e il tono di voce dell’azienda contano. Eccome se contano. Anche se l’attività è agli inizi e il mercato è nuovo.

L’identità di un’azienda deve essere coerente dall’inizio alla fine, il nome non può essere un’eccezione:

  • Lush è un brand name spumeggiante, leggero;
  • Nike è forte e dinamico.

Tornando all’esempio strampalato di prima, Fritto e zitto non potrebbe mai appartenere a una persona riservata e che si prende troppo sul serio.

La pronuncia

Immagina di essere in cucina a lavare i piatti perché la lavastoviglie si è rotta. L’acqua è aperta e scroscia mentre tu sciacqui la pentola della pasta. In TV passa uno spot interessante, non puoi vedere le immagini ma senti il messaggio, che ti incuriosisce. Alla fine, ecco il nome del brand… solo fai fatica a pronunciarlo. È un’accozzaglia di lettere (sarà con l’h o senza? ci vogliono due e? la prima era una c o una k?) che stride, fai fatica a ricordare.

Un buon nome è musicale, orecchiabile, riesci a pronunciarlo bene da subito anche senza vederlo scritto.

Qualche eccezione, come sempre c’è, conosci Uniqlo? Dell’origine del suo nome te ne parlerò più avanti.

 

InsightAgency

Alcuni consigli per semplificare il proprio linguaggio


Per consulenti finanziari, per banche, per piattaforme di servizi B2B, per assicurazioni… Sulle nostre scrivanie ne sono passati e ne passano parecchi di testi da sbrogliare. Ogni volta il lavoro è: capire di cosa stiamo parlando per ritrovare il bandolo della matassa, operare la sofisticata arte della semplificazione del linguaggio, lavorare di creatività per rendere il testo più coinvolgente – mica semplice quando devi lavorare su contenuti che hanno più numeri che lettere dell’alfabeto!

In questo articolo ti parlo di semplificazione del linguaggio. Ti passo un po’ di suggerimenti per migliorare la qualità e l’efficacia di un testo, e farlo brillare per chiarezza e immediatezza.

Il difficilese non piace più a nessuno, nemmeno alla Pubblica Amministrazione!

“Al rigore di chi scrive deve corrispondere la comprensione di chi legge.”

La penna che scrive non è quella di Italo Calvino, di Tullio De Mauro, di Gianrico Carofiglio o di Luisa Carrada – esperti che ci hanno regalato grandi contributi sulla chiarezza del linguaggio. La penna che scrive è quella blu del Ministero per la Pubblica Amministrazione. Più precisamente, la frase che hai letto è estrapolata dalla Direttiva in materia di semplificazione del linguaggio.

Sì, tutto vero: il Dipartimento della Funzione Pubblica ha emanato una serie di direttive per semplificare il linguaggio burocratico delle Pubbliche Amministrazioni a favore di una comunicazione più semplice e immediata, che metta al centro i cittadini. Questa qui, può chiamarsi rivoluzione: anche l’ultimo dei baluardi del difficilese è stato preso (almeno in teoria)!

“L’amministrazione che risponde in modo preciso, ma naturale, usando parole di tutti i giorni, non banalizza il contenuto, né svilisce il suo ruolo, ma prende l’iniziativa di cambiare le regole del gioco. Questa, insieme alla precisione, è vera autorevolezza.”

Lo scrive Luisa Carrada. In un suo articolo spiega come, attraverso la semplificazione, si possa accorciare le distanze tra chi scrive e chi legge – anche là dove le distanze sembrano da giganti, come quelle che separano la Pubblica Amministrazione dai cittadini. Per accorciarle serve un linguaggio più semplice e più aderente alla realtà. Tutt’altro che semplice, però, è riuscire a ottenerlo.

Consigli di semplificazione in ambito redazionale

Le parole da usare, la struttura delle frasi e la formulazione e organizzazione dei concetti da esprimere. Ecco da dove si parte. Poiché, come già sai, usare termini di settore, arcaici o presi a prestito da altre lingue, formulare periodi lunghi e complessi, pieni di subordinate, di incisi o di relative, riduce il grado di comprensione di un testo. E quando questo accade, perdiamo il lettore e smettiamo di comunicare.

Ecco alcuni consigli per testi più chiari e comprensibili:

  • Scegli le parole giuste per il tuo target: il lessico deve essere tarato sul pubblico. Più è eterogeneo, più è bene ricorrere a parole che rientrano nel vocabolario di base. La scelta è comunque ampissima: Tullio De Mauro (nel suo vocabolario di base) ne conta circa 7000!
  • Prima la chiarezza: chiediti sempre se non ci sia una parola più chiara, più aderente al concetto che vuoi esprimere, di quella a cui stai pensando. Lavora con il dizionario dei sinonimi sempre aperto.
  • Usa con criterio le sigle: alla prima occorrenza aggiungi una parentesi che le spieghi per esteso.
  • Evita le perifrasi: pochi giri di parole, più parole giuste.
  • Taglia i rami secchi: avverbi, lunghe liste di aggettivi (specie se sinonimi), incisi poco incisivi. Tutto questo appesantisce il testo, rallenta la lettura, complica la comprensione.
  • Vai di trasparenza: prediligi la forma attiva ed evita le costruzioni impersonali e oscure.
  • Formula frasi brevi e lineari: disponi con ordine soggetto, verbo e complementi. Non aggrovigliare le frasi con un gran numero di subordinate e coordinate, o rischierai di far perdere il filo al lettore.
  • Controlla la linearità: accertati che il testo sia lineare ed esposto in ordine logico, che non ci siano ragionamenti o informazioni implicite.

P.S. Ti ricordo che la “readability” di un testo, così come la chiamano gli anglosassoni, si può misurare.

Consigli di semplificazione in ambito grafico

Ora mi sposto nella stanza dell’art, perché per semplificare un testo e aiutare il lettore a comprenderlo bisogna anche lavorare sul lato design. E in questo compito, copywriter e art operano a braccetto.

Ecco la lista di cose da controllare sempre, lato grafico, in un testo:

  • Il carattere è grande abbastanza? Deve farsi leggere senza sforzo. Non dimenticare di controllare anche la sua leggibilità da mobile!
  • Il font è facilmente leggibile? Tra un font bastoni e un font con grazie, il primo è più pulito e facile da leggere (specie quando il carattere non è molto grande). Occhio anche ai calligrafici: affaticano tanto la lettura e spesso diventano proprio incomprensibili.
  • L’interlinea è abbastanza ampia? Non far venire il mal di testa ai tuoi lettori.
  • C’è abbastanza contrasto tra carattere e sfondo? Accertati anche che la combinazione di colori (testo-sfondo) non sia fastidiosa. Per esempio: un testo rosso su sfondo blu crea un effetto ottico davvero poco piacevole.
  • Il testo ha delle pause e degli appigli? Dividilo in paragrafi per creare delle pause, usa gli elenchi puntati per ordinare le informazioni, sfrutta i grassetti per dare rilievo alle informazioni salienti.
  • Gli elementi grafici aggiungono valore? Il visual non è decorazione e non è un riempitivo: è un elemento che completa il testo e ne aggiunge potenza comunicativa.

Con i consigli abbiamo finito. Ora ti lascio così, con il bandolo della matassa in mano, augurandoti felici “sbrogliamenti”.

 

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Da un famoso pubblicitario 10 regole per il buon scrivere. I suoi consigli sono sempre validi?

 


D
agli anni
’80 consigli pensati per il copywriting e l’attività pubblicitaria, ma che si adattano a qualsiasi tipo di scrittura.

I consigli di scrittura da scrittori famosi sono da sempre andati di moda come contenuti utili per aspiranti scrittori e non solo.

Se all’inizio li avevo apprezzati, poi ne sono stato un po’ diffidente, perché, a parte qualche consiglio universalmente valido, il resto è stato valido per l’autore in questione e non è detto che lo sia per tutti.

Ho trovato tanti articoli, in italiano e in inglese, sui consigli di scrittura da David Ogilvy e ho voluto vedere quanto fossero utili a scrittori e blogger, oggi.

Chi è David Ogilvy?

Era un dirigente pubblicitario britannico, famoso per i suoi testi creativi e definito “il padre della pubblicità”, proprietario di una delle agenzie pubblicitarie più famose e grandi al mondo, la Ogilvy & Mather.

Divenne fonte di ispirazione per molti pubblicitari e ebbe un forte impatto nell’attività pubblicitaria dopo la Seconda guerra mondiale. Ogilvy nacque nel 1911.

Altri tempi, dunque. Che c’entra? Semplice: il mondo, dai tempi di Ogilvy, è cambiato. Oggi, per esempio, abbiamo internet, che semplifica il lavoro in moltissimi campi.

10 consigli di scrittura da David Ogilvy

Questi consigli provengono da una nota che Ogilvy scrisse e fece circolare nella sua agenzia pubblicitaria il 7 settembre 1982. Fu introdotta dal seguente testo:

Se tutti nella nostra azienda sostenessero un esame di scrittura, i voti più alti andrebbero ai 14 Consiglieri.
Meglio scrivi, più in alto salirai alla Ogilvy & Mather. Chi pensa bene, scrive bene.
Chi ha una mentalità confusa scrive promemoria confusi, lettere confuse e discorsi confusi.
La buona scrittura non è un dono naturale. Devi imparare a scrivere bene.

Non ho fatto una traduzione letterale dei vari consigli di Ogilvy, ma, in alcuni casi, l’ho adattata meglio al contesto della scrittura. Mi trovo d’accordo con quasi tutto.

1. Leggi il libro sulla scrittura di Roman-Raphaelson. Leggilo 3 volte

Read the Roman-Raphaelson book on writing. Read it three times

Si tratta di Writing That Works; How to Communicate Effectively In Business di Kenneth Roman e Joel Raphaelson. Il titolo, tradotto, è La scrittura che funziona; Come comunicare in modo efficace negli affari.

In questa guida si parla di scrittura di promemoria aziendali, lettere, relazioni, discorsi, curriculum e e-mail, proposte e presentazioni, piani e rapporti, lettere di raccolta fondi e lettere di vendita che portano risultati. È quindi un libro specifico per copywriter, non propriamente per chiunque scriva.

Ma nel libro si parla anche di “approfondimenti sulla correttezza politica e suggerimenti per l’utilizzo di un linguaggio imparziale che non comprometta il tuo messaggio”. E su questo, sul linguaggio politicamente corretto, non sono assolutamente d’accordo.

2. Scrivi in modo naturale

Write the way you talk. Naturally

Scrivere come parliamo. Secondo me questo consiglio è in contrasto con una parte del libro qui sopra consigliato. Scrivo come parlo, ma non scrivo in modo politicamente corretto né tanto meno inclusivo.

In realtà scrivo come parlo qui nel blog, ma quando scrivo narrativa, allora scrivo come credo debba essere scritta la narrativa: coltivando uno stile di scrittura consono alla storia e al genere letterario.

3. Usa parole brevi, frasi brevi e paragrafi brevi

Use short words, short sentences and short paragraphs

Questa è diventata una delle regole della scrittura per il web e in genere mi trovo d’accordo. Non è comunque una regola che seguo sempre quando scrivo per il blog.

Il rischio è di limitare il proprio vocabolario. Un altro rischio, scrivendo solo frasi brevi, è di dare un ritmo quasi frenetico al testo.

Insomma, né la narrativa né i blog sono adatti a una scrittura telegrafica. In pubblicità è senz’altro un consiglio più che valido, invece, perché si fonda sull’immediatezza del linguaggio.

4. Non usare mai tecnicismi

Never use jargon words like reconceptualize, demassification, attitudinally, judgmentally

Possiamo concordare con questo consiglio? Sì e no, secondo me. Di nuovo: nel discorso pubblicitario è senza dubbio condivisibile non usare tecnicismi, ma in altri ambiti della scrittura, come nei blog, se occorre usarli, si usano.

Non è questione di essere pretenziosi. Non si possono incarcerare le parole, solo perché qualcuno non le conosce. A colmare certe lacune esistono i vocabolari.

5. Non scrivere troppo su un argomento

Never write more than two pages on any subject

Ogilvy parla addirittura di non più di 2 pagine. In realtà significa scrivere non più del necessario e su questo ha ragione.

Questo consiglio si adatta perfettamente alla scrittura per il web, in cui è meglio non aprire continue parentesi, inserire paragrafi fuori tema che allungano soltanto il brodo senza dare nulla di utile ai lettori.

6. Controlla le citazioni

Check your quotations

Ben detto! Quante citazioni ho trovato in rete attribuite ora a un personaggio ora a un altro. Eppure oggi, grazie al web, non è certo difficile risalire alla reale paternità di una citazione.

Scegliere una citazione è un lavoro lungo, perché bisogna controllare bene la fonte. Forse ai tempi di Ogilvy era più difficile scoprire l’errore, ma oggi è diventato molto facile.

7. Non inviare mai ciò che scrivi il giorno stesso

Never send a letter or a memo on the day you write it. Read it aloud the next morning—and then edit it

Leggilo ad alta voce la mattina dopo e poi modificalo. Sono in molti a consigliare di rileggere ad alta voce i propri scritti: il suono delle parole dà sicuramente un effetto diverso dalla semplice rilettura a mente.

Sono molto d’accordo sul primo punto, che si presta a differenti contesti. Per esempio non inviare il manoscritto del tuo libro a un editore il giorno stesso in cui l’hai finito di scrivere.

8. Se è qualcosa di importante, chiedi a qualcuno di migliorarlo

If it is something important, get a colleague to improve it

Anche questo consiglio si presta a differenti interpretazioni. Nel campo della scrittura creativa quel qualcuno è rappresentato da correttori di bozze e editor.

Ogilvy parlava di colleghi, riferendosi di sicuro ai colleghi di un’agenzia pubblicitaria. Ma ovviamente possiamo estendere quel “collega” a qualsiasi nostro conoscente che, in un certo campo, ne sappia più di noi.

9. Prima di inviare ciò che scrivi, assicurati che il destinatario sappia cosa fare

Before you send your letter or your memo, make sure it is crystal clear what you want the recipient to do

In pubblicità sarebbe controproducente un messaggio non chiaro, non “cristallino”. Possiamo anche parafrasare questo consiglio adattandolo alla scrittura in generale: “Prima di pubblicare ciò che scrivi, assicurati che il lettore capisca”.

Se Ogilvy si era riferito ai potenziali clienti (destinatari del messaggio pubblicitario), noi possiamo riferirci ai nostri lettori (destinatari, in fondo, dei nostri articoli, dei nostri libri, delle nostre newsletter, ecc.).

10. Se vuoi AZIONE, non scrivere

If you want ACTION, don’t write. Go and tell the guy what you want

Va’ direttamente dalla persona e dille cosa vuoi. Più che un consiglio di scrittura, è un invito a non scrivere.

Possiamo interpretarlo come consiglio contro l’ossessivo uso della messaggistica istantanea, che, se da una parte ha velocizzato la comunicazione, dall’altra ha disintegrato le relazioni interpersonali.

Email, WhatsApp, messaggi privati sui social – come un tempo gli sms – non sono i nuovi strumenti della socializzazione, ma potenti strumenti di emarginazione (nei casi più estremi) e di isolamento individuale.

 

 

InsightAgency

Cosa scrivere su LinkedIn: consigli e parole da evitare


Tra i consigli che la piattaforma non si è mai stancata di condividere con gli iscritti c’è utilizzare per il proprio profilo LinkedIn un approccio “show, don’t tell”: più che dilungarsi in prolisse descrizioni delle esperienze professionali pregresse o del percorso di studi, meglio compilare l’apposito campo dei traguardi raggiunti o caricare progetti e lavori seguiti e che possano aiutare recruiter e potenziali clienti a farsi un’idea più concreta delle proprie competenze. Ciò non significa che si possa rinunciare del tutto a una parte più (auto)descrittiva: per parafrasare delle parole della stessa compagnia, il profilo LinkedIn una sorta di curriculum che non dorme mai. Cosa scrivere su LinkedIn, allora, per renderlo accattivante ed efficace e cosa invece evitare a tutti i costi?