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Rebranding: gli Epic Fail di alcuni grandi marchi

 


Nei giorni scorsi, abbiamo parlato di rebranding, spiegando cos'è e come e quando farlo. In effetti di Rebranding ne abbiamo visti tutti – Zara che riduce le spaziature tra i caratteri del suo marchio, McDonald’s che elimina il colore rosso dal suo iconico logo, e ancora Apple che elogia il minimalismo eliminando il multicolor dalla mela morsicata – ma nonostante ne sia pieno il mercato non va sempre tutto secondo i piani. In questo articolo troverai qualche Epic Fail di grandi marchi e come imparare dai loro errori.

I casi di INsuccesso 

Mio padre (😉 credo non fosse suo il copyright) diceva sempre che dagli errori si impara – anche se sono quelli degli altri – per questo vediamo alcuni casi di Rebranding che era meglio evitare:

Pepsi

pepsi rebranding

Tu lo vedi il sorriso?
Fin dalla nascita Pepsi lotta per la sua identità – sappiamo bene che il suo competitor principale non molla la presa – e l’evoluzione del marchio è una storia che iniziò parecchi anni fa ma l’esperienza in materia di Rebranding non è bastata per fare un buon lavoro. 

Nel 2008 è stata rilasciata la sua ultima versione: modifica del font e rotazione del logo, l’idea era quella di renderlo un “cheeky smile”, lo hai notato? Molti non ne sono convinti e hanno lasciato spazio alla creatività.

Interpretazioni scherzose dello smile Pepsi

Interpretazione scherzosa del logo pepsi

The white stripe on the new logo varies across Pepsi products, getting wider or thinner depending on product. The design team that sparheaded the campaign explains that they’re supposed to be “smiles”, but we don’t really see it.

– Forbes Magazine

 

Kraft Food

kraft logo

L’international Food&Drinks company cambiò rotta, ma solo per poco. I consumatori, senza esitazione, smontarono l’entusiasmo del cambiamento, dopo soli 6 mesi Kraft decise di tornare sui propri passi (o quasi) per recuperare l’identità persa.
Ma cosa ci sarebbe di così sbagliato nel nuovo logo, così diverso dall’originale? Forse proprio questo!
La percezione dei consumatori del brand originale è stata definita come uno “smack in the face”  (schiaffo in faccia) potente e subito riconoscibile, con il Rebranding invece il brand ha cambiato energia risultando generico e patetico, complice anche la scelta dei caratteri, Tekaton e Papyrus, molto discutibile. 

Tropicana 

tropicana rebrand

Nel 2009 l’azienda si lanciò nel mercato con un drastico Rebranding, modificando packaging, logo e stile comunicativo, ma tutti questi sforzi potevano essere tranquillamente evitati.

I consumatori si trovarono di fronte a un prodotto che non riconoscevano più, smettendo quindi di acquistarlo. Questo ha generato un calo del 20% delle vendite per un valore di 30 milioni di dollari, il crollo della brand awareness, nonché conseguenze negative alla reputation aziendale. 

Un bel regalo per i competitors che si sono acchiappati le quote di mercato del colosso americano. Ma questo incubo non durò molto, nel 2009 Tropicana ripristinò il suo vecchio logo tornando il prodotto di punta tra i succhi di frutta.

Mastercard

mastercard rebrand

Anche i migliori sbagliano, Mastercard* nel 2006 ha avuto la (non tanto) brillante idea di fare Rebranding del suo riconosciuto marchio. Questo remake è costato all’azienda quasi 10 milioni di dollari che era meglio investire in altre attività. Il pubblico, infatti, non apprezzò il cambiamento definendo il marchio confusionario e poco chiaro. Ecco che la multinazionale fece un passo indietro ri-adottando le vecchie caratteristiche del brand.

Royal Mail

RoyalMail rebrand

Un salto nel vuoto non irrilevante per la Royal Mail* – il servizio postale britannico, inizialmente al solo servizio reale – che nel 2002 cambiò drasticamente il suo nome in Consignia creando scompiglio e difficoltà di riconoscimento, complice anche la quasi assente campagna di comunicazione. La Royal Mail, però, è tornata indietro in solo un anno consapevole dell’errore. 

5 consigli per un’ottima strategia di Rebranding 

Dai casi di insuccesso appena visti possiamo trarre delle conclusioni su come è bene non fare rebranding:

  1. Make it easy: semplificazione anziché complicazione, questa è una regola fondamentale, soprattutto quando il logo è internazionale. È importante rendere il logo più comprensibile e chiaro, senza inserire elementi superflui che finirebbero per complicarlo;
  2. Cambiare logo è un azzardo, e qui non stiamo giocando. Ogni attività che comporta uno sforzo, in questo caso far sì che il consumatore riconosca e associ il nuovo logo all’azienda, non è apprezzata dal nostro cervello che di sforzarsi non ne ha voglia. Quindi si può fare ma solo se strettamente necessario;
  3. Ma…prima di iniziare con il Rebranding assicurati di aver compreso la percezione del brand e del prodotto nella mente dei consumatori, e chiediti se è davvero necessario agire;
  4. Assicurati che ogni attività di Rebranding sia sempre seguita da una campagna di comunicazione, soprattutto quando l’attività è radicale;
  5. Non dimenticare i valori e la mission che accompagnano il tuo brand, questi devono venire trasferiti sul nuovo logo.

Per concludere, l’attività di Rebranding non è cosa semplice e non sempre, nonostante l’esperienza, le cose vanno secondo i piani. Non esistono delle azioni giuste o sbagliate, esistono circostanze diverse che devono venire valutate prima di agire, analizzando l’ambiente competitivo ed eventuali pro e contro che la strategia può portare con sè.

Migliorare il legame emotivo

Ma se non ti è ben chiaro cos’è il Rebranding, ecco la risposta.

Partiamo dalle basi: il Rebranding è una strategia di marketing che ha lo scopo di riposizionare nel mercato e nella mente dei consumatori un brand già esistente. Questo avviene nel concreto con la modifica dell’identità del marchio ovvero dei segni distintivi di un’azienda come, ad esempio, il logo o lo stile comunicativo. 

Il Rebranding è una strategia dinamica che può avvenire sia in breve tempo sia in tempi più lunghi e può essere sia radicale sia quasi impercettibile agli occhi dei consumatori.

Non solo, il Rebranding può essere Proattivo quando la scelta di agire parte dall’azienda stessa, per migliorarsi, crescere o conquistare nuove quote di mercato o Reattivo quando sono le circostanze esterne che “obbligano” ad agire per resistere e cavalcare i trend del mercato. 

Quindi, per concludere, perché un’azienda dovrebbe fare rebranding? Semplice:

  • Il pubblico o l’azienda sono cambiati e la brand identity non rispecchia più il business e i consumatori target non si sentono più rappresentati da quell’immagine aziendale; 
  • Il Logo è obsoleto quando la grafica non è più attuale;
  • Le tendenze si evolvono e per seguire le esigenze dei consumatori è necessario stare al passo con il cambiamento per non risultare obsoleti;

E qualcuno però ci è riuscito:

Oltre ad aver visto come NON fare dobbiamo anche imparare dai migliori. Ecco due casi di successo che molto probabilmente avrai notato:

McDonald’s non serve più cibi di bassa qualità

macdonald rebranding

La catena di fast food più famosa al mondo viene etichettata come distributrice di cibi dove la qualità non è il suo punto di forza. Negli anni però, McDonald’s ha capito che adattare l’offerta alle richieste dei suoi consumatori era fondamentale per non perdere la posizione competitiva. Dagli inizi del 2000, infatti, iniziò a servire cibi più sani, e per far percepire questi cambiamenti ai consumatori decise di intervenire anche sul logo, la celebre “M” gialla affiancata dal colore rosso non comunica in modo ottimale la scelta dell’azienda, ecco che inizialmente viene rimosso il colore rosso, e successivamente inserito il colore verde, il colore della natura. 

Dropbox

dropbox rebranding

La Dropbox inc. non ci è andata con i piedi di piombo, l’evoluzione del suo logo iniziò nel 2008 per concludersi nel 2017 modificando lievementi tutti gli aspetti del marchio. Nello specifico:

  • La scatola, prima tridimensionale, è ora è piatta e priva di profondità;
  • La palette di colori, prima sfumata sia sulla scritta sia sul logo, è stata sostituita da colori piatti;
  • Il carattere è più semplice e di facile lettura.

Questo è un esempio di Rebranding difficile da percepire in quanto le modifiche non sono state drastiche, ma nonostante ciò è stato fatto un ottimo lavoro, semplificando la percezione dei consumatori eliminando elementi di confusione.

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Copywriting Persuasivo: 10 dritte per scrivere testi (davvero) coinvincenti

 


Il Copywriting Persuasivo è la scrittura dei testi che conducono a, conducono verso. È quel susseguirsi di parole, di emozioni e di storie che ti conducono in un viaggio e ti inducono all’azione.

Lo sai che, al di là di fantasie e di per sentito dire, ci sono molte tecniche e altrettanti accorgimenti che puoi e che devi seguire per rendere i tuoi testi persuasivi? In questo articolo ti indicherò le dritte più importanti per un copywriting persuasivo realmente efficace. Ma, prima di addentrarci nel concreto, capiamo insieme cos’è il copywriting, realmente.

 

Cos’è il Copywriting

Il Copywriting è la capacità di scrivere testi persuasivi, che hanno l’obiettivo di catturare l’attenzione delle persone, di condurle in un mondo emozionante, di convincerle a risolvere un problema e, infine, di indurle all’azione. Il Copywriting, dunque, persuade, termine che deriva dal latino persuadere, da per+suadere, ovvero consigliare, convincere. Ecco, il copywriting consiglia per convincere. E non è certo un caso che alla base dell’attività di copywriting vi siano il metodo, la strategia, la creatività e l’impiego di precise tecniche.

Per scrivere un testo persuasivo è fondamentale conoscere approfonditamente e dettagliatamente il target di riferimento e anche l’obiettivo che il testo deve raggiungere, ovvero l’azione concreta che la persona deve compiere (scarica il manuale, iscriviti alla newsletter, acquista ora, prova gratuita, ecc.).

Bene, ora vuoi sapere come scrivere testi persuasivi? Qui troverai 10 pratiche dritte per un copywriting capace di condurre l’utente dritto all’azione.

 

1. Punta sul beneficio e non sulla caratteristica

Una regola basilare di un copywriting persuasivo è richiamare l’attenzione sul beneficio che il prodotto o il servizio offre al suo target di riferimento, piuttosto che sulle caratteristiche. Ti faccio un esempio concreto. Pensa di vendere ferri da stiro, probabilmente saresti portato a descriverne la potenza, la capacità di pressione, la capienza della caldaia. Ed invece sai cosa fa un buon copywriter? Piuttosto che soffermarsi sulle caratteristiche tecniche del prodotto mette in risalto il beneficio concreto che apporta alle persone: lo sai che il nostro ferro da stiro ti permette di stirare con facilità camicie e pantaloni grazie all’elevata temperatura che riesce a raggiungere? Oppure: stanca dei soliti pesanti ferri da stiro? Il nostro ferro XY pesa xxx in meno.

Concentrare l’attenzione sul beneficio ha diverse importanti conseguenze nella testa delle persone:

  • spiega qual è il vantaggio reale e concreto che il prodotto o il servizio può riservare loro;
  • li convince che quel prodotto o servizio può davvero risolvere il loro problema;
  • mette in risalto le caratteristiche che differenziano il prodotto o il servizio rispetto alla concorrenza.

 

2. Il Copywriting Persuasivo motiva

Per convincere le persone a compiere un’azione devi ricordare loro che hanno un problema impellente da risolvere ma devi anche fare qualcosa in più: devi motivarle per risolverlo. Cosa vuol dire? Che devi stimolarle per indurle ad agire, devi raccontargli con convinzione in che modo possono migliorare la loro vita se acquistano il tuo prodotto o il tuo servizio . Un esempio: segui il webinar e impara subito 5 trucchi per ottimizzare le tue Landing Page.

 

3. Attenzione – Emozione – Ragione: gli step di attivazione del Copywriting Persuasivo

Questi sono gli step che il tuo Copywriting deve attivare per essere persuasivo. La prima cosa che il tuo testo deve fare è attrarre l’attenzione del lettore, compito tanto più difficile se pensi che oggi siamo sommersi da contenuti di ogni tipo. A ciò si aggiunga la facilità dell’utente nello scorrere velocemente i feed delle notizie, nel cambiare pagina, nell’essere attratto da altre cose. Il secondo step, immediatamente conseguente e alle volte contemporaneo al primo, consiste nel suscitare le emozioni, nell’attivare la parte emozionale delle persone, che è quella che spinge ad agire. Infine, il tuo Copywriting deve far entrare in gioco la ragione, che ha un compito fondamentale: giustificare e consolidare le scelte che l’emozione ha compiuto.

 

4. Come attrarre l’attenzione con il Copywriting Persuasivo

Attrarre l’attenzione delle persone è probabilmente il compito più difficile in un’epoca in cui siamo pervasi dagli stimoli e il nostro tempo è diventato la risorsa più preziosa di cui disponiamo. Ecco perché, quando scrivi, è molto importante fare subito presa su alcune esche. Qualche tecnica che può aiutarti a catturare l’attenzione e l’interesse delle persone?

Comincia il copy con una domanda diretta, chiara, semplice e specifica. Sei un ingegnere? oppure Hai la pelle secca e vuoi risolvere il tuo problema? o ancora Il tuo sogno è una vacanza rilassante in riva al mare? Come puoi notare, in tutti e tre i casi le domande sono di facile comprensione, si rivolgono all’utente in maniera diretta ed esplicita e scendono nel dettaglio, identificando subito:

  • la persona che può essere interessata (un ingegnere, non un qualunque professionista);
  • oppure il problema che possono rivolvere (problema con la pelle secca, non problema epidermico in generale);
  • o il desiderio che possono realizzare (la vacanza è rilassante e in riva al mare, non è una vacanza in montagna e non è una vacanza adatta a chi ama il divertimento sfrenato).

La specificità è fondamentale per attrarre l’attenzione delle giuste persone a cui rivolgere il contenuto, ovvero delle persone con cui davvero ti importa costruire una relazione.

Un’altra tecnica che può essere utilizzata sono i numeri: comincia la frase con un numero, ma prima accertati che sia vero e reale. Inoltre, usa le cosiddette parole esca (gratis, posti limitati, fino a esaurimento scorte, ecc.) e, se è il caso, scrivile in maiuscolo (senza esagerare, mi raccomando).

 

5. Come suscitare l’emozione con il Copywriting Persuasivo

Lo sai che l’80% delle nostre scelte quotidiane è dettato dalle emozioni, vero? Sono queste che ci inducono ad agire. Come sostiene Daniel Goleman nel suo Intelligenza Emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici,

Tutte le emozioni sono, essenzialmente, impulsi ad agire; in altre parole, piani d’azione dei quali ci ha dotato l’evoluzione per gestire in tempo reale le emergenze della vita. La radice stessa della parola emozione è il verbo latino moveo, muovere, con l’aggiunta del prefisso e- (movimento da), per indicare che in ogni emozione è implicita una tendenza ad agire.

Le emozioni, dunque, preparano il corpo ad un’azione e ognuna di queste ha un compito diverso e ben specifico. Ad esempio, la paura pone la nostra attenzione sul pericolo, sulla minaccia, suggerendoci che dobbiamo fare qualcosa per risolverla; la felicità è uno stato di benessere che predispone positivamente ad un’azione; la sorpresa ci induce a ragionare rapidamente su quale possa essere la migliore reazione a quell’improvviso avvenimento.

Come il Copywriting Persuasivo suscita le emozioni

In che modo il Copywriting può suscitare le emozioni delle persone? Utilizzando diverse tecniche. Un ruolo molto importante spetta allo Storytelling, che non solo è l’arte di raccontare una storia emozionante, ma che fa anche qualcosa di molto più importante: induce le persone a immedesimarsi in quella storia, a sentirsi protagonista di quell’avventura. Così, se l’eroe ha un problema da risolvere e il fido aiutante giunge in suo soccorso con un magico e potente strumento risolutore (un po’ come la bacchetta magica della fata di Cenerentola), allora anche chi legge la storia sarà indotto a sentirsi nei panni di quell’eroe che aveva un problema e che ora l’ha risolto proprio grazie all’aiutante e al suo strumento.

Altrettanto importante è il ruolo delle leve della persuasione (a tal proposito ti consiglio di leggere il libro di Robert Cialdini, le Armi della Persuasione). Si tratta di stimoli che agiscono a livello inconscio (è qui che assumiamo il 95% delle nostre decisioni) e ci inducono ad agire.

 

6. Come stimolare la ragione con il Copywriting Persuasivo

Dopo aver attratto l’attenzione e attivato l’emozione, il Copywriting persuasivo deve stimolare la ragione perché questa ha il compito fondamentale di confermare e di consolidare la scelta che l’utente precedentemente ha deciso sul piano emotivo. Questa scelta ora deve essere confermata da argomentazioni razionali e concrete, deve essere testimoniata da numeri e, se possibile, da persone, ovvero i testimonial, che attivando il meccanismo della riprova sociale hanno un ruolo molto importante nel convincere le persone che la loro è una scelta giusta (se Maria, Alberto, Teresa hanno scelto X e hanno vissuto un’ottima esperienza/hanno risolto il loro problema/hanno realizzato il loro sogno, allora anche per me sarà lo stesso).

 

7. Poni l’attenzione sul problema

Porre l’attenzione sul problema che ha una persona, ricordargli quanto ha voglia di risolverlo e quanto è importante per lui trovare la strada giusta, ha due risvolti importanti:

  • attiva la paura, emozione che spinge ad agire per trovare la via di fuga migliore;
  • valorizza la soluzione che proporrai all’utente e lo indurrà all’azione.

Il meccanismo che guida la scrittura di un testo persuasivo è: hai questo problema, lo devi risolvere per evitare che determini la conseguenza X (paura), quindi devi trovare la soluzione adeguata e devi farlo in tempi brevi. Ecco, questa che ti sto offrendo è la soluzione migliore per te, per risolvere il tuo specifico problema.

 

8. Rimarca che tu sei il detentore della soluzione

Quando scrivi un testo persuasivo, in ogni parola, pensiero e contenuto, deve essere ben chiaro che l’utente ha un problema che vuole e che deve risolvere e che tu sei il detentore della soluzione a lui più idonea, quella che può soddisfare realmente i suoi desideri, quella che può risolvere concretamente le sue difficoltà, quella che può essere la chiave d’accesso nell’universo dei suoi sogni. Tu hai la soluzione.

Attento a non esagerare, però. Essere il detentore della soluzione non deve trasformarti nel re assoluto del regno: mantieni sempre la tua vicinanza con il lettore, sii umile e discreto, non essere eccessivamente autoreferenziale e non rimarcare di continuo che sei il migliore del mondo.

 

9. Conquista la fiducia

Vuoi davvero vendere il tuo prodotto o il tuo servizio? Ti sarà impossibile riuscirci se prima non avrai conquistato la fiducia delle persone. E, cosa fondamentale, dovrai farlo con verità, onestà e trasparenza. Mai prendere in giro un utente o un cliente, sta’ pur certo che se ne accorgerà e tu non solo avrai perso lui ma anche dovrai affrontare un danno di reputazione e di immagine che difficilmente riuscirai a risolvere. Ricorda, in Rete il passaparola (positivo o negativo che sia) viaggia alla velocità della luce.

Come convincere le persone a fidarsi di te? Non sempre (o meglio quasi mai) ti sarà possibile farlo al primo contatto. Alle persone serve tempo per conoscerti, per capire chi sei, per capire cosa fai, per rendersi conto che sei effettivamente il detentore della loro soluzione e che non le stai prendendo in giro. E serve tempo per ascoltarti, parlare, affezionarsi a te e convincersi. A meno che tu venda un prodotto di impulso o un prodotto o un servizio che ha un costo irrisorio, è molto difficile vendere al primo contatto. Ma puoi lavorare per conquistare la fiducia delle persone a piccoli step, contenuto dopo contenuto, parola dopo parola, ed è un po’ questo che fanno le strategie di Lead Generation, conquistando persone interessate alla tua offerta e poi coltivando la relazione con loro.

Gli strumenti a tua disposizione per convincere le persone sono: le parole, le testimonianze di altre persone, i doni gratuiti (come le risorse informative, le guide, gli e-book, i video di approfondimento, i webinar, le consulenze gratuite, le prove gratuite del prodotto. E un ruolo fondamentale ricopre la tua reputazione: cosa si dice di te in Rete? Quali messaggi, positivi o negativi, ti precedono?

 

10. Il Copywriting Persuasivo non abusa

Se impari questa regola sei già a metà strada. Il Copywriting persuasivo non abusa:

  • dell’attenzione delle persone, ma offre loro contenuti sempre davvero interessanti e rilevanti;
  • della formattazione con l’obiettivo di attrarre l’attenzione: no all’eccesso di parole né alla scarsità di parole, no all’eccesso di grassetto, maiuscolo e corsivo;
  • delle parole stesse, che devono essere scritte nella giusta forma (tono di voce, linguaggio e grammatica) e nella giusta quantità (non troppe ma neppure poche).

 

Conclusioni

Il Copywriting Persuasivo è la capacità professionale di scrivere testi pensati per le persone. Meglio, per quello specifico target di persone. È per questo che un buon Copywriter deve riuscire a coniugare molte competenze, conoscenze e abilità: di scrittura, ma anche di comunicazione, di psicologia, di marketing, di analisi e spesso di SEO. Nello specifico, in questo caso, si parla di SEO Copywriting, il perfetto connubio tra SEO e persuasione.

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Come ottenere di più dalla tua strategia di Content Marketing

 



Come ottenere di più dalla tua strategia di Content Marketing? Qui ti suggerisco 3 soluzioni diverse dalle solite, molti consigli per ognuna di queste + Bonus finale!

Hai presente quando, dopo chilometri e chilometri già percorsi e l’intensa voglia di fare ritorno, ti ritrovi dinanzi a un bivio dalla dubbia scelta? Un strada ti avvicinerà alla meta, l’altra ti allontanerà di molto. Ecco, quando pianifichi una strategia di Content Marketing, quando imposti la comunicazione del tuo sito web, ogni volta che scrivi un contenuto per il blog o posti sui Social Network, ti ritrovi dinanzi a questo bivio qui. E ogni volta dovrai scegliere l’opzione più saggia.

Come fare? Ti suggerisco qui 3 soluzioni [+ Bonus] per aiutarti a districarti tra i sentieri impervi, tre lucciole che ti abbaglieranno ogni volta in cui il buio avrà calato le sue vesti e coperto la tua strada.

No, non saranno le solite 3 manfrine sul Content Marketing: studia attentamente il tuo target di riferimento, pianifica preventivamente la tua strategia, scrivi contenuti di valore. Queste 3 linee guida sul Content Marketing ti aiuteranno davvero a ottenere di più dalla tua strategia e dalla creazione di contenuti, ti permetteranno davvero di risparmiare tempo e risorse e ti faranno capire quanto importante sia conquistare eticamente la fiducia delle persone. Delle tue persone.

1. Comunica responsabilmente

Il senso di responsabilità è quello che manca al 90% delle strategie di comunicazione dei brand. E proprio per questo, anche per questo, è quello che può farti fare la differenza.

Cosa vuol dire comunicare responsabilmente? Vuol dire pianificare una strategia di comunicazione e di Content Marketing che parli alle persone e ai loro timori, non ai numeri. Significa essere responsabili del contenuto che comunichiamo e del modo in cui lo facciamo. Vuol dire saper toccare le corde profonde dell’animo umano per crescere insieme, migliorare insieme. Vuol dire vivere il contesto da protagonisti attivi e adattare perfettamente a questo la comunicazione e i contenuti.

Comunicare responsabilmente vuol dire proteggere le persone e i loro dati, cullare la loro sensibilità e le loro paure. Vuol dire essere parte del contesto ed essere dalla parte delle persone.

Un po’ di numeri sul Content Marketing Responsabile

Leggi un po’ qui. Questi sono i dati più importanti riportati da una ricerca condotta da GroupM su 14.000 consumatori in 23 Paesi del mondo. Tra i risultati evinti:

  • il 56% degli intervistati desidera avere maggior controllo sui propri dati;
  • il 60% degli intervistati ha dichiarato di essere meno propenso a usare un prodotto se il brand usa i suoi dati per qualsiasi scopo;
  • il 37% degli intervistati ritiene che gli annunci digitali siano troppo invadenti.

Non scordare che a fare la differenza nel digitale è proprio il Native Advertising, ovvero la possibilità di inserire i tuoi messaggi promozionali in contesti nativi, assumendone forma e contenuto. Obiettivo? Interessare le persone senza disturbarle, troppo quantomeno.

Ma c’è di più. Devi tenere sempre presente che l’interesse delle persone per te, a volte, può essere anche solo informativo, educativo. Non sempre e non necessariamente le persone hanno voglia di acquistare. Ecco, comunicare responsabilmente vuol dire anche rispettare il momento giusto.

Comunicare responsabilmente vuol dire rispettare il momento giusto.

Il momento giusto per le tue persone, non per te.

Un’altra ricerca condotta da Ipsos Poll il 20 marzo 2020 negli USA ha evidenziato che:

  • il 72% delle persone intervistate ritiene che i brand hanno la responsabilità sociale di offrire aiuto alla comunità durante l’emergenza Coronavirus;
  • il 71% di loro desidera avere consigli concreti e linee guida pratiche per capire come affrontare e uscire dalla crisi;
  • il 33% delle persone ritiene che i brand debbano trasmettere sensazioni ed emozioni positive con le loro campagne di comunicazione.

Calarsi nel contesto vuol dire proprio questo. Vuol dire non solo adeguarsi a quel che accade ma anche viverlo da protagonisti. Agire e fare qualcosa di concreto e di disinteressato per le persone quando il momento lo richiede.

2. Il Content Marketing propone il cambiamento

Il marketing moderno viaggia lontano dal vecchio marketing utilitaristico, dove tutto era incentrato sul prodotto, sul denaro e sulle masse. Il marketing oggi è efficace solo se e quando propone un cambiamento alla nicchia di persone a cui ci rivolgiamo, quando si mette al servizio delle persone, ne risolve i problemi, ne migliora la vita.

Il Content Marketing ha un compito ben preciso: aiutare le persone a risolvere il loro problema. Indicare alle persone il modo in cui migliorare la loro vita, offrire loro una nuova visione del mondo e supportarle in questo proficuo cambiamento. Come riuscirci?

3 consigli utilissimi per il Content Marketing del cambiamento

  • Analizza i sogni, i desideri e l’intimità delle persone ancor prima che l’età, il sesso e il potere d’acquisto;
  • racconta storie oneste che sono capaci di creare connessioni, che sono intrise di significato e che piantano il seme del cambiamento;
  • crea attesa e opera strategicamente affinché le tue storie e le tue idee di miglioramento si diffondano presso la nicchia di persone che hai scelto.

3. Elimina tutti i dubbi e i rischi

Una strategia di Content Marketing davvero efficace riesce sempre ad anticipare le obiezioni. Riesce a comprendere i dubbi che hanno le persone, i rischi che percepiscono e a eliminarli ancor prima che possano incidere sul risultato finale, sull’azione da compiere.

Perché questa tecnica è così importante? E come anticipare le obiezioni?

Bias di conferma

Il bias di conferma è una delle più comuni distorsioni cognitive inconsapevoli che influenzano la nostra percezione della realtà. Accade che le persone prestino attenzione e ricordino solo le informazioni che confermano i loro preconcetti, i pregiudizi radicati e le conoscenze che hanno già acquisito. Ecco perché, se qualcuno ha un pregiudizio negativo nei confronti del tuo brand e/o del tuo prodotto o servizio, è fondamentale anticipare e scoraggiare qualsiasi obiezione.

In che modo puoi riuscirci? Ti suggerisco alcune tecniche utilissime:

  • i tuoi contenuti devono essere emozionali ed è importante anche offrire dettagli tecnici e specifici che confermino razionalmente la bontà della scelta emotiva che le persone hanno compiuto;
  • fornisci dati a supporto della tua tesi;
  • usa bene le testimonianze e le recensioni delle persone che sono già entrate in contatto con te. Invoglia le persone a raccontare le loro esperienze e, soprattutto, i timori che avevano e che tu sei riuscito a dissipare. Ricorda, testimonianze e recensioni devono essere oneste e reali;
  • nel caso in cui i dati includano più opzioni, soprattutto comparative, prediligi le tabelle. Le tabelle sono uno strumento esplicativo, chiaro e facilmente comprensibile;
  • sfrutta il design per prevenire le obiezioni, prevedendo anche graficamente degli spazi a ciò dedicati.

I 6 più importanti rischi percepiti

Guarda il tuo orologio. Quanto tempo è passato da quando hai cominciato a leggere questo articolo? Temevi che dedicarmi qualche minuto sarebbe stato inutile e avresti solo finito col perdere il tuo prezioso tempo? Ecco, questo è un esempio di rischio percepito che ho smontato fin dalle prime parole del post dicendoti:

No, non saranno le solite 3 manfrine sul Content Marketing […] Queste 3 linee guida sul Content Marketing ti aiuteranno a ottenere di più dalla tua strategia e dalla creazione di contenuti, ti permetteranno davvero di risparmiare tempo e risorse e…

Le persone che approcciano alla tua comunicazione possono avere diverse paure e il tipo di rischio percepito varia da soggetto a soggetto. Anche per questo è fondamentale conoscere approfonditamente il tuo target di riferimento prima di pianificare una strategia di Content Marketing.

Quali sono ì più importanti rischi percepiti?

  • Il rischio funzionale, ovvero il timore che il prodotto possa non funzionare;
  • il rischio di perdita finanziaria, ovvero la paura di pagare per un prodotto o un servizio di cui non usufruiremo oppure il timore di non avere soldi a sufficienza per acquistarlo;
  • la perdita di tempo: il prodotto arriverà in tempo? Io ho abbastanza tempo per usarlo? Il servizio clienti è veloce ed efficace?
  • il rischio fisico, ovvero il timore che il prodotto o il servizio sia pericoloso per la mia salute e/o per l’ambiente;
  • il rischio sociale: il prodotto può aiutarmi a comunicare e a migliorare il mio status sociale? Il prodotto corrisponde all’immagine che ho di me?
  • il richio psicologico, ovvero la paura che l’acquisto non sia davvero efficace, così finendo per minare la mia autostima.

Capirai bene che per una strategia di Content Marketing efficace è fondamentale conoscere approfonditamente i rischi percepiti dal tuo cliente, prevederli e scoraggiarli.

Bonus: La Tecnica di Copywriting che devi usare

I contenuti sono viaggi emozionali per le strade del cuore, sono voli pindarici per i sentieri della testa. I contenuti devono essere emozione, devono essere condivisione, devono essere coinvolgimento e sentimento.

Una tecnica di Copywriting molto utile per scrivere contenuti emozionali ed eampatici è quella di usare le parole percettive. Sai cosa sono? Si tratta di parole che hanno a che fare con il modo in cui percepiamo ed esperiamo la realtà esterna. Le parole percettive sono parole come immagina, ascolta, guarda, tocca, nota. Sono parole che ti aiutano a costruire nella mente delle persone immagini sensoriali, che generano la sensazione della percezione e, quindi, l’emozione. L’obiettivo finale? Indurre le persone ad agire.

Visto che siamo in tema di Copywriting, ti suggerisco anche un’altra tecnica preziosa per scrivere contenuti efficaci. Il modello ABS: Attrai le persone; Bypassa i loro timori e le loro difese; Stimolale all’azione.

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Cos'è il Rebranding, come e quando farlo.

Col termine rebranding, o rivitalizzazione del marchio, si intende quel processo secondo il quale un prodotto o un servizio creato e commercializzato con un determinato nome e logo viene rilanciato sul mercato sotto un altro nome (o un’altra identità). Un’operazione, questa, molto frequente in caso di acquisizioni di brand. Ma non solo.

Un brand, infatti, non può essere immutabile. O meglio, sono pochissimi i casi in cui un marchio, sempre uguale a se stesso, può attraversare i decenni registrando sempre successi e consensi. Per tutti gli altri, al mutare del mercato e dei consumatori, delle tecnologie e dei competitors, è necessario aggiornarsi.

Non si può, del resto, analizzare il significato di rebranding senza sapere prima cos’è il branding. E, dunque, quel processo che le imprese mettono in atto per differenziarsi dai competitors grazie a nomi e simboli distintivi. Ovviamente, per definire questi aspetti bisogna partire da quella che è la propria filosofia aziendale, interrogarsi sulle idee e le emozioni da trasmettere. Perché saranno poi la base da cui partire per effettuare un rebranding aziendale.

Che cos’è il rebranding?

Il rebranding nasce da un’esigenza: cambiare la brand image di un prodotto/servizio, e dunque la percezione che i consumatori hanno di questo o dell’azienda che lo offre.

Non esiste in realtà un solo modo di fare rebranding: si possono modificare elementi distintivi quali il nome, il logo, le strategie di marketing e di vendita (rebranding totale) oppure ci si può limitare a piccole modifiche che migliorino l’assonanza percettiva del prodotto. Ad esempio, se un’azienda acquista un prodotto, può mantenere tutto identico e aggiungervi solo “il nuovo” prima del nome (il nuovo nome prodotto + di nome azienda acquirente). In questo caso, si parla di rebranding parziale.


 

Secondo il saggio “Rebranding Process – Il Processo di Corporate Rebranding” di Muzellec e Lambkin, il rebranding può invece essere evolutivo o rivoluzionario: nel primo caso riguarda in genere il logo o lo slogan, nel secondo avviene un cambio più radicale che può coinvolgere ad esempio il nome. E se il rebranding evolutivo è percepito in modo meno evidente dagli utenti in quanto è graduale e risponde ad adeguamenti messi in atto dall’azienda, il rebranding rivoluzionario porta con sé cambiamenti radicali che subito saltano all’occhio del consumatore.

C’è infine una terza distinzione, messa in campo da The Economic Times: quella tra rebranding proattivo e rebranding reattivo. Nel primo caso, l’azienda adotta questa strategia quando vuole migliorare la sua brand image, quando vuole crescere, quando vuole aprirsi a nuovi mercati o raggiungere un target di pubblico mai colpito prima; il secondo caso è invece una risposta a specifici eventi.

Ecco dunque che, a seconda dei casi, si andrà a mettere in atto una specifica strategia di rebranding.

Rebranding proattivo o reattivo: quando metterlo in atto

Il primo caso in cui studiare una strategia di rebranding è di tipo “interno”. Ad esempio, la volontà di raggiungere con quel prodotto un mercato o un target dalle caratteristiche del tutto diverse rispetto ai mercati e ai target a cui attualmente ci si rivolge. Oppure, la volontà di mantenere una certa coerenza tra un’evoluzione del proprio business e l’immagine di quel prodotto. O, ancora, la volontà di crescere e di espandersi. È il sopracitato concetto di rebranding proattivo.

Esempi di rebranding di questo tipo sono le aziende che cominciano a produrre prodotti diversi da quelli che formano il loro core business, e vogliono dunque adattare la loro immagine. Il rebranding così realizzato non avviene dunque sul prodotto, ma riguarda l’intera attività: è il cosiddetto rebranding aziendale.

Oppure, nel caso del rebranding reattivo, si va ad agire in risposta ad un fattore esterno. Ad esempio, una compravendita o una fusione aziendale, l’obbligo di rispondere a questioni legali o di utilizzo del marchio, le innovazioni e i cambiamenti messi in atto dai principali concorrenti. Ma anche, semplicemente, il cambiamento del pubblico (specie in settori che cambiano molto rapidamente, come quelli delle tecnologie o del digital marketing).

Non si tratta però di un’operazione priva di rischi: il cambiamento è sempre destabilizzante, specie se molto evidente. Ed è dunque necessario che il proprio rebranding sia frutto di un’attentissima analisi, per evitare che il pubblico reagisca in maniera negativa. O che non comprenda le motivazioni dietro quel cambiamento.

Il caso dei Brand Gap e Airbnb

Anni fa, ad esempio, il marchio fashion Gap cambiò radicalmente il suo logo ricevendo le critiche dei consumatori, che non capirono quella scelta e che non ritrovarono i valori aziendali nella nuova grafica; così, i manager furono costretti a ripristinare la vecchia immagine.


 

Airbnb, al contrario, riuscì a far apprezzare il nuovo logo (accusato di avere una connotazione sessuale) spiegando al meglio la sua filosofia, quella di un simbolo che rappresenta l’amore, i luoghi e le persone. E spiegando come fosse stato studiato per essere semplice e replicabile, in ogni parte del mondo.

 


Come effettuare un rebranding nel modo corretto

Al di là di quale sia lo scopo della realizzazione del rebranding, è necessario che l’intero percorso segua una logica ben precisa. Poco importa, che le proprie entrate non siano soddisfacenti o che si vogliano acquisire nuovi mercati: la strategia deve essere accorta e tenere conto del target che si intende colpire.

Tutto deve dunque partire da un’attenta analisi della propria azienda e del proprio brand, individuando punti di forza e punti deboli, ma anche il mercato. L’obiettivo è cercare di individuare le possibili minacce, così da batterle sul tempo. Ecco dunque che una scelta saggia è analizzare i propri competitors, per capire cosa nella loro azienda o nel loro prodotto/servizio funziona per cercare di replicarlo. O, meglio ancora, di migliorarlo.

In secondo luogo, bisogna trasferire la mission aziendale sul brand. Sempre tenendo conto che, quel brand, dovrà parlare ad un pubblico ben preciso con le sue esigenze, i suoi gusti e le sue caratteristiche. Scopo di un’operazione di rebranding è catturare infatti l’attenzione dell’utente: ecco dunque che conoscere i suoi interessi e ciò che in un prodotto cerca è fondamentale. Solo a quel punto si può passare all’aspetto grafico, visivo e testuale del prodotto.

Esempi di rebranding famosi

Ci sono aziende che, nel tempo, hanno effettuato numerose operazioni di rebranding parziale, apportando piccole modifiche solo lievemente percettibili.

 


È il caso di Google che – diverse volte – ha modificato il suo font, cambiato l’ordine dei colori, aggiunto elementi (poi eliminati) ed effettuato ridimensionamenti. Oppure di Dropbox, la cui operazione di rebranding è durata dieci anni, trasformando la scatola tridimensionale in una scstola piatta, secondo i dettami del sempre più in voga “flat design”.


 

Tra i più riusciti esempi di rebranding famosi totali troviamo invece quello di McDonald’s: inizialmente noto come distributore di “junk food”, tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila la catena ha iniziato a introdurre un’offerta più “sana”, a cui il logo non rispondeva più. Così, la M gialla su fondo rosso – sinonimo di un cibo a basso costo e di bassa qualità – ha lasciato il posto ad una M più discreta, su di un fondo verde bosco.


 

Allo stesso modo, anche Pepsi ha deciso di effettuare un’operazione di rebranding per avvicinare il suo logo ai valori espressi dal brand: all’inizio era una scritta rossa, Pepsi Cola, dall’aspetto baroccheggiante. Nel 1950 è stata introdotta la grafica del tappo, nel 1973 ha perso la denominazione “Cola” divenendo a tutti gli effetti solo “Pepsi”. Oggi la scritta è addirittura scomparsa, per lasciare spazio ad un tondo bianco, rosso e blu che è la massima stilizzazione dell’elemento tappo.


 

Riassumendo, è bene pensare ad un’operazione di rebranding quando:

  • l’azienda è cambiata, per l’introduzione di nuovi prodotti o l’apertura a nuovi mercati
  • il pubblico è cambiato, basti pensare a quanto hanno inciso il potere d’acquisto e il passaparola virale dei Millennials su molti prodotti
  • le tendenze sono cambiate, come nel caso dell’agroalimentare che – oggi – è spinto verso una dimensione sempre più green e sempre più healthy
  • il logo è obsoleto, in quanto creato in un periodo storico dai canoni stilistici ben diversi da quelli attuali.

Ovviamente, è fondamentale affidarsi ad un professionista che – per l’operazione di rebranding – non si limiti a disegnare un nuovo logo con nuovi colori, ma sappia cogliere a pieno la filosofia aziendale e i percorsi decisionali che hanno condotto alla rivitalizzazione del marchio. Solamente così, l’utente percepirà come positivo il cambiamento attuato e verrà conquistato (o rimarrà fedele al brand).

 

InsightAgency

Perché è importante realizzare una campagna creativa?

 


Perché la creatività ripaga, sempre!

Sappiamo bene che la battaglia delle aziende si svolge sul campo dell’attenzione: chi riuscirà ad inserirsi nella mente del consumatore anche per pochi secondi al giorno, sarà stato capace di penetrare quella solida barriera di indifferenza che lo protegge dall’infinità di contenuti con cui ogni giorno entra in contatto.

Partiamo quindi da alcune evidenze sul consumatore odierno:

  • La sua conoscenza delle marche è superficiale e raramente sa indicare che cosa differenzi una marca dalle altre;
  • Ne consegue che la fedeltà di marca è piuttosto bassa;
  • I brand sono raramente oggetto delle sue conversazioni e, anche quando lo sono, vengono toccati di sfuggita, come particolari di un racconto;
  • Costruire delle relazioni con le marche non è considerata una priorità.

 



Al contrario di quello che si potrebbe pensare, raramente le aziende scelgono di mettere in atto campagne ad alto tasso di creatività, che vengono invece riservate per il lancio di nuovi prodotti oppure per i brand che pesano poco sul profitto dell’impresa. Più propense verso questo tipo di investimento risultano le aziende piccole.

La causa risiede nella poca conoscenza del proprio pubblico. La paura infatti è che i risultati raggiunti dalla marca vengano distrutti da una campagna che si discosta dall’attività promozionale messa in atto fino a quel momento, che quindi il messaggio implicito che la campagna creativa porta con sé non venga compreso dal pubblico o che venga compreso in modo sbagliato.

Perché una campagna creativa non è mai uno spreco

Chiariamo però prima una cosa: realizzare una campagna creativa non è mai uno spreco. Infatti stiamo parlando ad un consumatore sveglio, che ha imparato a selezionare con cautela e giudizio i messaggi che gli arrivano dall’esterno. Una campagna creativa gli comunica qualcosa di importante sulla marca, cioè:

  • “Il nostro è un prodotto di qualità, perché ci abbiamo investito molto e si vede”
  • “La nostra è un’azienda innovativa ed intelligente, perché capace di trasmettere messaggi fuori dagli schemi”
  • “Siamo una realtà di successo perché possiamo permetterci di non risparmiare sulla creatività”

Tutti messaggi positivi non credi?

Ma andiamo a vedere più nel dettaglio quali sono i risvolti di una campagna creativa.

Prima di tutto i benefici della creatività si manifestano nel lungo periodo (almeno sei mesi) perché legati ad aspetti emotivi. Infatti le pubblicità che veicolano messaggi razionali influenzano più in fretta il comportamento dei consumatori, che però non avranno sviluppato un particolare attaccamento verso la marca o quel prodotto. Al contrario, la pubblicità creativa pone le basi per una relazione duratura, tanto che il consumatore si mostra meno sensibile al prezzo, accettando di spendere di più per quelle marche che comunicano in modo inedito.

L’originalità di una campagna fa si che la marca diventi più facilmente argomento di conversazione tra le persone e il word-of-mouth è un potentissimo strumento in grado di incidere sulle performance di mercato.

Come la creatività agisce sul cervello

Solitamente la pubblicità creativa presenta un messaggio implicito e ambiguo, cioè che può avere più di un’interpretazione oppure che è in contrasto con gli schemi mentali del consumatore. Quest’ultimo si trova davanti un dilemma, una situazione che chiede di essere risolta, e impegnerà le sue energie nel tentativo di elaborazione.

La conseguenza è che saranno necessarie meno esposizioni al messaggio pubblicitario per svilupparne il ricordo e una risposta comportamentale. Allo stesso tempo si stuferà più tardi di un messaggio creativo, perché ad ogni nuova esposizione cercherà nuovi dettagli a conferma della sua interpretazione.

Un altro aspetto fondamentale, mostrato dagli studiosi Yang e Smith, è che i consumatori assumono un atteggiamento di apertura e curiosità di fronte a questo tipo di comunicazione. Questo accade perché si instaura un meccanismo chiamato DPC (desire to postpone closure), per il quale si è disposti ad assumere maggiori informazioni prima di giudicare. Non entrano quindi in gioco pregiudizi, stereotipi, credenze, e soprattutto viene effettuata meno selezione sulle informazioni ricevute.

 


In sostanza il consumatore vuole essere trattato come una persona astuta e capace. La frustrazione iniziale per la complessità del messaggio lascia spazio alla soddisfazione di essere riuscito a decifrarlo.

Le sensazioni positive stimolate nel consumatore ripagheranno non solo le performance di prodotto, ma anche l’andamento della marca. Infatti la pubblicità creativa lascia tracce e associazioni nella memoria che facilitano il riconoscimento della marca, ma anche il suo ricordo spontaneo. 

Come realizzare una campagna creativa: 5 modi

Secondo il test inventato dallo psicologo Torrance negli anni ’60, la divergenza può essere creata in cinque modi:

  • Utilizzando elementi originali che si discostano da ciò che già esiste o da ciò che il pubblico crede di sapere;
  • Adottando una visione flessibile del prodotto, che lo mostri in situazioni inedite o in usi non comuni; 
  • Combinando tra loro elementi che normalmente non hanno alcun legame;
  • Comunicando idee e messaggi in modo elaborato e sottile, stimolando così le capacità cognitive;
  • Inserendo elementi particolarmente affascinanti dal punto di vista estetico.

Possiamo citare alcuni esempi di pubblicità che nel 2020 hanno sfruttato questi principi.

Facciamo qualche esempio

“Attento a ciò che ingoi” è stata una pubblicità lanciata da Burger King in cui il brand mostra ironicamente il confronto tra la famosa banana appiccicata al muro dell’artista Cattelan e una patatina da loro prodotta (e sicuramente molto più saporita) del prezzo di 0,01 centesimi. Il divertimento è assicurato: Burger King dimostra di avere una visione flessibile del suo prodotto e un occhio vigile verso le novità, comunicando un messaggio implicito e altamente stimolante per il cervello del consumatore.

 


 Heineken ha invece fatto leva sugli stereotipi di genere con la sua campagna “Cheers to all”. Il messaggio è chiaro: la sua birra può essere associata anche all’immagine femminile, prendendo così le distanze dai competitor che di solito mostrano la birra come un prodotto maschile. 

 

 

Infine, la campagna Digital Detox messa in atto da Porsche ha collegato al piacere della guida il tema della disintossicazione digitale, ispirando emozioni di libertà, auto-consapevolezza, contatto con la natura e con il prossimo. L’accostamento inusuale di questi due temi ha portato alla creazione di una campagna molto ingaggiante.

 

Osare è la parola chiave!

Insomma, la comunicazione creativa può portare enormi vantaggi per i brand che la mettono in pratica, offrendo allo stesso tempo un’esperienza di valore al pubblico verso cui è rivolta. Non è poi così difficile da realizzare: basta seguire queste semplici regole e munirsi di una sana voglia di ‘osare’.

InsightAgency

Comunicazione persuasiva: la strategia del direct marketing!

 


Abbiamo già visto come alla base delle strategie di marketing è fondamentale individuare il target group e le buyer personas. La comunicazione persuasiva, quindi, ha la necessità di promuovere contenuti che siano adatti e rispecchino i desideri, di quelli che sono raffigurati come clienti. Ma qual è il modo per raggiungerli in modo diretto ed efficiente?

Nel settore che riguarda il marketing, e specialmente il digital marketing, la risposta è unica e concreta: il direct marketing. Questa tecnica viene spesso ridotta ad una spiegazione superficiale secondo la quale il marketing diretto indica una vecchia tipologia di fare comunicazione che include il tradizionale annuncio cartaceo tramite posta, ma in realtà c’è da sapere molto di più.

Il direct marketing è strettamente collegato ad un importante concetto, ossia il content marketing. La definizione più chiara è proposta da Direct Marketing Association:

“Direct Marketing: sistema interattivo di marketing che utilizza uno o più mezzi di comunicazione diretti al consumatore per produrre risposte e/o transazioni misurabili”.

Vale la pena rispondere con fermezza alla domanda: 

Cos’è il direct marketing?

Volendo fare una traduzione corretta potremmo dire che il direct marketing non è altro che un tipo di risposta diretta e che racchiude tutte quelle forme di promozione e/o comunicazione che hanno l’esplicito scopo di raggiungere il pubblico individuato, senza necessariamente avvalersi di qualche tipo di intermediario.

A sottolineare il fattore di immediatezza ci pensa la definizione che ne fa il Chartered Institute of Marketing che qui riportiamo volentieri:

“Nel direct marketing tutte le attività che rendono possibile la vendita di un bene o di un servizio o la trasmissione di un messaggio tramite posta, telefono, email o altri mezzi diretti.”

Il direct marketing è quindi molto transmediale perché è in grado di realizzare approcci comunicativi con i mezzi più tradizionali (telefono, posta, ecc.) ma anche moderni. È importante ribadire, in questa occasione, che rappresenta un punto cruciale l’assenza di intermediari e il contatto diretto con il pubblico.

Secondo gli studiosi le origini del direct marketing vanno ricercate facendo un lungo salto nel passato. Parrebbe che già nel 1700, ad esempio, girassero dei cataloghi che avevano l’obiettivo di aumentare il commercio delle botteghe. Il termine è stato coniato, in realtà, nel 1958 da Lester Wunderman, oggi considerato il padre del marketing diretto.

Il sistema interattivo del Direct Marketing, sostanzialmente prevede l’impiego di canali di comunicazione e di vendita diretti che abbiano l’obiettivo di raggiungere i clienti per comunicare loro in modo preciso le informazioni sui prodotti.

La fruibilità di questi canali sta proprio nel fatto che permettono all’azienda di svolgere l’intero processo d’acquisto interagendo direttamente con il consumatore/prosumer senza ricorrere a intermediari commerciali.

In base a ciò, va detto che nel corso degli anni si è sviluppato, nell’ambito della distribuzione, la formula del non-store retailing, che sottintende ad un sistema di vendita al dettaglio, senza dover fare riferimento a specifici di punti vendita con sede fissa.

I canali del marketing diretto vogliono raggiungere direttamente il target group. Il direct marketing è a tutti gli effetti una formula appartenente alla comunicazione persuasiva.

Le caratteristiche distintive del marketing diretto

Un requisito irrinunciabile per il direct marketing è l’analisi dei big data. Nel marketing la raccolta dei dati sui clienti è un elemento importante perché è ciò che fortifica le modalità della comunicazione persuasiva. La verifica e organizzazione viene fatta per poi realizzare un dettagliato database di marketing (customer database), ossia un archivio costituito da: 

  • dati statici (nominativi e parte anagrafica), 
  • dati dinamici tutte le altre informazioni. 

Grazie a questo database, molto fornito, l’impresa è capace di interpretare e di capire da un punto di vista commerciale tutte le informazioni che caratterizzano l’atteggiamento e il comportamento dei clienti. Ma quali sono le caratteristiche fondamentali del direct marketing? Ne possiamo facilmente evidenziare 4: selettività, personalizzazione, interattività e misurabilità.

La selettività: si riferisce in particolar modo al messaggio! L’impresa studia in che modo fare la propria comunicazione, ricordando che il pubblico d’interesse è già stato preselezionato sulla base delle informazioni ricavate dal database clienti. 

La personalizzazione: rende il messaggio rivolto al cliente unico e originale, perché si stabilisce un contatto selettivo e individuale (ad esempio come nel marketing one-to-one)

L’interattività: si concretizza nelle azioni del processo. Il destinatario svolge tutte quelle attività (richiesta di informazioni e campioni di prova) che si tramutano in una precisa risposta comportamentale e commerciale (acquisto del prodotto). 

La misurabilità: è la possibilità di misurare la reattività degli utenti. Può esser considerato un plus del direct marketing ma soprattutto è la risorsa che racchiude anche gli altri 3 fattori appena descritti. Nel direct marketing le risposte ottenute raccontano in che modo la comunicazione persuasiva ha agito e che tipo di stimoli ha suscitato.

 


 

I canali di direct marketing

In questo articolo, abbiamo più volte evidenziato la capacità del direct marketing di raggiungere un preciso target e di instaurare con esso un dialogo tanto diretto quanto personalizzato. Con il direct marketing si ottengono 2 risultati: ottenere una risposta immediata e stabilire un forte rapporto duraturo, per questo si parla anche di marketing relazionale.

A tal fine, è il caso di esaminare alcune di quelle attività che rientrano nel direct marketing come: il direct mail, il marketing su catalogo, il telemarketing, la direct-response marketing e il marketing on-line.

La comunicazione persuasiva con il direct marketing procede in modo lineare su determinati canali che implicano il contatto diretto come ad esempio: la vendita diretta (tipica dei negozi o porta a porta), vendita da catalogo o per corrispondenza, compravendita con il telefono (telemarketing), vendita dei prodotti attraverso i media tradizionali (la televendita) e vendita via Internet (siti di e-commerce).

Siccome sono molteplici le forme del direct marketing è opportuno suddividere i canali di direct marketing in due macro-categorie:

1.La vendita per corrispondenza, da catalogo o per telefono: che racchiude appunto la metodologia tradizionale di vendita grazie al servizio postale, distribuendo messaggi pubblicitari e fornendo dettagliati cataloghi che i clienti possono sfogliare, per valutare e scegliere i prodotti da ordinare. Con Internet c’è soprattutto un tipo di vendita definita telemarketing perché consiste nell’impiego del telefono.

2.La pubblicità a risposta diretta: di diverso tipo è il direct response advertising che non solo utilizza i classici media ma soprattutto i new media. In genere è verificabile quando l’azienda pubblicizza i suoi prodotti per renderli immediatamente disponibili…

Va notato come i mass media siano in grado di realizzare comunque un tipo di comunicazione interattiva, introducendo l’uso del telefono, l’indirizzo e-mail e sito web.

 


 

Cos’è il direct response?

A tal proposito è opportuno approfondire il tema del direct response advertising. Fa parte di quest’ultimo la vendita al dettaglio online, ovvero l’online retailing che permette ai clienti di confrontare e acquistare i prodotti grazie alla rete.

Difatti, nella pubblicità online, viene spesso utilizzata una forma di direct response: la display advertising che ha il compito di ricevere le risposte. A differenza della classica pubblicità, radiofonica o televisiva, che ha lo scopo di rafforzare la brand image dell’azienza la finalità del direct response advertising è quella di sollecitare la proattività della clientela.

Il direct marketing (marketing diretto) è una forma di pubblicità che comporta la consegna di un messaggio immediato e personale, tra gli esempi più famosi di direct marketing (con canali digitali e non) abbiamo: 

  • Email
  • Chiamate al telefono
  • Coupon
  • Cataloghi
  • SMS ed MMS

Perché il direct marketing ha successo?

Il direct marketing di successo è davvero ideale per tutti quei clienti che dimostrino un chiaro interesse per i prodotti e/o servizi di un’azienda. Ma quali sono i motivi? Principalmente possiamo dire che tra i motivi c’è sicuramente l’abilità di creare un messaggio personalizzato, dove il cliente risulta protagonista e pensa di essere l’unico ad averlo ricevuto.

Difatti, la comunicazione persuasiva del direct marketing è diretta ad una segmentazione efficace perché rivolta a persone che sono già state identificate come potenziali acquirenti. Tra le qualità del direct marketing continuiamo a sottolineare la misurabilità: necessario per realizzare future campagne. 

Nella strategia di direct marketing le campagne di marketing non sono nulla senza la raccolta di una lista di contatti. È fondamentale aggiornare il customer database per fornire le informazioni sul comportamento d’acquisto di una persona.

Tra l’altro un database accurato è capace di ampliare le opportunità di cross selling e up selling. In sostanza, per stabilire delle reali connessioni con i consumatori è essenziale conoscere i clienti, sapere quello che fanno e cosa preferiscono comprare.

In conclusione, le aziende per pianificare le strategie e le campagne sui canali hanno bisogno di fare una comunicazione personalizzata, con i prospect dettagliati dei clienti, monitorando il processo comunicativo del direct marketing.

 

InsightAgency

ZMOT: Le sette regole d'oro per catturare il cliente

 

ZMOT? Sì, hai letto bene. ZMOT. Ma tranquillo non una parolacca, neanche in klingon lo è.

Lo ZMOT (Zero Moment of Truth), ovvero il momento zero di verità, è la giusta chiave per ingaggiare il nostro cliente nel processo di acquisto del prodotto.

Oggi il processo decisionale del consumatore è cambiato radicalmente. Quello su cui si deve puntare per essere un buon marketer è il percorso che porta alla decisione di acquisto.

Ecco perché conquistare il cliente nel Momento Zero della Verità (ZMOT) è un requisito necessario per vendere il tuo prodotto con successo.

In questo articolo troverai le 7 regole d’oro che Google ci insegna per conquistare il consumatore!

I Momenti di Verità: cosa sono?

I cosiddetti “Momenti di Verità” sono definiti come le possibilità di interazione tra cliente e prodotto-azienda che portano all’acquisto.

Si parla per la prima volta di Momento di Verità nel 1981 quando l’amministratore delegato di Scandinavian Airlines suggerisce al suo team di customer care di costruire il rapporto con i clienti in base ai loro effettivi bisogni fornendo loro tutte le informazioni richieste.

Nel 2021 ovviamente non esiste più un unico momento di verità, ma l’attenzione che dobbiamo rivolgere a questi punti di contatto rimane altissima.

Il processo di acquisto tradizionale

Il primo modello del processo di acquisto si basa su tre momenti:

  • STIMOLO
  • FMOT- FIRST MOMENT OF TRUTH
  • SMOT- SECONDO MOMENT OF TRUTH

Stimolo

Lo stimolo sostanzialmente si verifica quando il consumatore riceve lo stimolo da una campagna di marketing facendo emergere un bisogno che può essere di tipo informativo emotivo ecc.

FMOT – Scaffale

Il primo momento di verità indica il lasso di tempo compreso dai 3 ai 7 secondi quando il consumatore si trova davanti lo scaffale e prende la decisione d’acquisto.

Il concetto fu introdotto per la prima volta nel 2005 dalla società Procter & Gambel.

Oggi il First Moment of Truth non si basa più solo sull’osservazione dello scaffale ma può verificarsi in altri casi:

  • Un cliente visualizza i prodotti attraverso lo shop on line
  • Un potenziale cliente visita il sito web di un’azienda o i suoi social per la prima volta
  • Un cliente confronta i prezzi del prodotto

È essenzialmente un momento di crisi per il consumatore che, non sapendo scegliere, cercherà aiuto dagli altri utenti della rete.

SMOT – Esperienza

Dopo l’acquisto il consumatore vive il secondo momento di verità che avviene attraverso il consumo del bene.

È il momento dell’esperienza del prodotto, che determinerà se il consumatore è soddisfatto o meno dell’acquisto e se (e come!) vuole condividere la sua esperienza.

Il nuovo processo di acquisto: cosa cambia con lo ZMOT?

Il nuovo processo decisionale di acquisto è articolato nelle seguenti fasi:

  • STIMOLO 
  • ZMOT 
  • FMOT 
  • SMOT

In sostanza si aggiunge il momento zero di verità.

ZMOT- Zero Moment of Truth : definiamolo

ZMOT, come abbiamo detto, è l’acronimo di Zero Moment Of Truth termine usato per la prima volta da Google nel 2011.

Ti consiglio di guardare il video qui sotto:

 


 

Lo Zero Moment of  Truth è il momento in cui il consumatore successivamente allo stimolo accede ad Internet per cercare informazioni e pareri sul prodotto che gli interessa.

In questo momento il cliente costruisce le sue convinzioni ed opinioni riguardo ad un prodotto e inizia il processo d’acquisto.

Per assicurarsi la vittoria nello Zero Moment Of Truth è fondamentale assicurare una buona user experience al cliente.

Dove nasce il Momento Zero di Verità?

Lo zmot lo incontriamo ON LINE. Solitamente ha inizio con la ricerca su un motore (Google ecc) o attraverso i social media.

Il consumatore si interessa a tutte le interazioni che gli altri utenti hanno fatto riguardo al prodotto di interesse ( blog, recensioni commenti, condivisioni, like , stelline ecc).

Quando nasce il Momento Zero di Verità?

Lo ZMOT è sempre presente nel processo di acquisto.

Oggi giorno siamo costantemente collegati e il processo di informazione che il consumatore vive avviene costantemente in tempo reale. 

Stiamo addirittura assistendo ad una sovrapposizione dei vari momenti della verità: nella stessa manciata di minuti un consumatore che si trova in un negozio, quindi ‘fisicamente’ proiettato nel primo momento della verità, può comunque passare per il momento Zero grazie alla consultazione del web tramite il suo smartphone.

I Momenti Della Verità si stanno quindi incontrando.

Come nasce lo ZMOT?

Lo ZMOT è un processo di tipo relazionale ed emozionale, è molto di più che un confronto fra informazioni. I consumatori sono attenti a capire come il prodotto possa migliorare le proprie vite una volta acquistato e consumato.

Per questo motivo nello ZMOT la conversazione non è mai unidirezionale ma si trovano a concorrere sullo stesso piano amici estranei siti ed esperti.

Le 7 Regole D’Oro di Google per conquistare il consumatore durante lo ZMOT

A questo punto, è fondamentale per un marketer monitorare il momento zero della verità. Osservando i comportamenti dei consumatori online per fornire loro contenuti interessanti, pianificare una strategia mirata, attrarre i potenziali clienti: è la sfida dell’Inbound Marketing.

Di seguito le 7 regole d’oro stilate da GOOGLE per conquistare il consumatore durante lo ZMOT:

  • Scegli una persona dedicata allo studio dello ZMOT: incarica una persona della tua azienda di occuparsi della fase zero del processo di vendita.
  • Scopri i tuoi momenti zero: studia come i consumatori cercano il tuo prodotto, il loro vero interesse e come parlano di te. Quando inizi a digitare il nome di un tuo prodotto nei motori di ricerca, cosa ti suggerisce l’auto-completamento? Il tuo sito web o i tuoi annunci compaiono nelle prime tre posizioni della SERP per queste ricerche? La tua azienda compare nelle recensioni e nei i commenti dei siti dedicati alle realtà del tuo settore?
  • Rispondi alle domande che i potenziali clienti ti pongono, fornisci informazioni esaustive.
  • Rendi on line friendly lo ZMOT: proponi il contenuto giusto al momento giusto, nel posto giusto.
  • Sii veloce nell’analisi dei dati.
  • Usa i video: ricordati che un’immagine vale più di mille parole.
  • Non aver paura dei commenti negativi, agisci. Un commento negativo può dare autenticità, e aiutare a migliorare l’esperienza del nostro cliente. Se provochi un’emozione nei consumatori, succederà sicuramente qualcosa: non trattarli come meri indicatori da manipolare.

Il tempismo è tutto. È importante che la tua azienda sia rapida a fornire le giuste risposte a chi è in cerca di informazioni. Diversamente, il rischio di essere superati dai propri concorrenti e perdere potenziali clienti è veramente concreto, oggi più che mai.

L’idea base è semplice: devi esserci al momento giusto. Ma sarà facile da applicare?

 

InsightAgency

Cos'è il link building e come si fa per la SEO off-page.

 


La link building rappresenta il cuore della SEO off-page, l’attività di ottimizzazione per i motori di ricerca che punta a ottenere collegamenti ipertestuali da siti web con dominio differente dal tuo. Questo è utile per migliorare il ranking del sito.

Facciamo link building perché ci permette di posizionare un sito web. Lo puoi fare scrivendo articoli interessanti, lavorando sul content marketing e puntando sul rapporto tra digital PR e SEO. Come guadagnare link senza nofollow? È così difficile ottenere delle menzioni? Ecco la guida della Insight Agency alla link building SEO.

Cos’è la link building, una definizione

La link building è un insieme di tecniche, guidate da una strategia, per ottenere link in ingresso. Ovvero backlink. L’obiettivo è quello di aumentare il posizionamento nella serp dei motori di ricerca. Tutto questo è alla base della SEO off-page.

Costruire una rete di collegamenti ipertestuali è importante. Il motivo è semplice: i link in ingresso (inbound) sono un segnale utile per influenzare la visibilità su Google. Rappresentano un fattore di posizionamento SEO molto importante.

Avere una buona strategia di link building è importante soprattutto per i progetti in contesti molto competitivi. Ma deve essere accompagnata da una buona attività di content marketing e SEO on-page con keyword research e gestione della struttura.

Perché è importante fare link building?

I link per Google sono un segnale di qualità. Se un sito web riceve tanti link da parte di portali attinenti, a tema e di qualità vuol dire che le pagine che hanno ricevuto queste menzioni – e quindi il dominio che le ospita – sono utili per l’utente.

La link building è importante perché i collegamenti in ingresso consentono di posizionare meglio il tuo sito web. I link sono un fattore di ranking, ma non basta ottenere menzioni di qualche tipo per avere un buon risultato. Devi valutare con grande attenzione la qualità delle menzioni se vuoi realmente fare la differenza.

Relazione tra link building e Pagerank

La link building influenza un elemento che porta il nome di Pagerank (dal fondatore di Google, Larry Page) che è, in sintesi, il valore numerico da 0 a 10 che indica il valore di una pagina in base alla qualità e alla quantità dei link che riceve.

 


Il calcolo del PageRank non è un mistero, c’è una formula che consente di avere il valore di ogni sito web e pagina. C’è da dire, però, che non è così agevole.

Soprattutto per chi ne sa poco di matematica. Un tempo il PageRank veniva misurato dalla linea verde del browser, poi questo sistema è stato abolito ma non il valore in sé che può essere recuperato da uno dei tanti PageRank checker online.

Differenze tra earning e building

Uno dei punti essenziali da chiarire: c’è una distanza fondamentale tra link building ed earning. Spesso questi passaggi vengono trattati come sinonimi, in realtà c’è una differenza soprattutto ideologica. La link earning lavora soprattutto sul contenuto.

 


 

Quindi permette di ottenere link grazie alla pubblicazione di elementi utili a chi inserisce il collegamento. Il concetto di building, invece, si lega inesorabilmente a qualcosa di meccanico e automatizzato. Che non riguarda le pubblicazioni.

Ad esempio nelle strategie di link building trovi il lavoro di PBN (private blog network) e di acquisto domini scaduti per creare siti che linkeranno al tuo. La mia idea personale? Stai camminando su un campo minato che devi saper gestire.

Questo a causa delle possibili azioni penalizzanti da parte di Google. Oggi, parere personale, lavorando sulla sintesi tra strategie di content marketing e digital PR puoi fare un buon lavoro di link building. Ma bisogna fare attenzione agli effetti.

Link building SEO secondo Google

Un argomento importante per chi inizia a lavorare in questo settore: come fare link building secondo Mountain View? Molto semplice: non la puoi fare.

O meglio, secondo Google devi guadagnarti i link in modo naturale. In più riprese e su guide differenti il motore di ricerca sottolinea due punti: i link sono importanti per il posizionamento ma non è una buona idea. Ecco cosa dice nella pagina dedicata:

Tutti i link creati per manipolare il PageRank o il ranking di un sito nei risultati di ricerca di Google potrebbero essere considerati parte di uno schema di link e quindi una violazione delle Istruzioni per i webmaster di Google.

Ciò che fa veramente la differenza è l’acquisto di link: chi paga per ricevere menzioni rischia grosso. Ma non solo, chiunque manipoli i collegamenti in ingresso per un lavoro artificiale di SEO off-page punta verso la punizione di Big G.

Penalizzazione manuale del sito

Nel momento in cui viene individuato un pattern di irregolarità puoi ricevere un’email nella Search Console nella quale ti avvisano di aver rilevato un’irregolarità.

A quel punto hai la possibilità di far rientrare il problema eliminando i link incriminati e segnalando il lavoro svolto. Che deve essere accettato, altrimenti la segnalazione viene rimandata al mittente. Questo avviene se compri o vendi link.

Penalizzazione algoritmica (Google Penguin)

Google può tagliare le gambe al tuo sito anche in modo diverso, ad esempio con l’applicazione delle regole a livello di algoritmo. Che sono molto più restrittive dopo l’applicazione di Google Penguin, aggiornamento che ha imposto ai SEO di lavorare sui link di qualità. Evitando sovraottimizzazioni soprattutto lato anchor text.

Come funziona il tool di Google per disconoscere i link.

Uscire da una penalizzazione Google Penguin non è facile, hai bisogno del contributo di un esperto SEO per analizzare il profilo link, individuare quelli malevoli e procedere con un’eliminazione forzata. Anche con l’aiuto del Disavow Tool di Google.

Vale a dire uno strumento nella search console per rinnegare i link legati ad azioni di negative SEO o di siti web con webmaster che non rispondono alle tue esigenze.

Pianificare la link building per la SEO

Uno degli errori: iniziare a fare link building senza avere una buona base di partenza. In primo luogo hai bisogno di un sito web strutturato in modo da far scorrere il link juice, il risultato del lavoro ottenuto grazie ai backlink, in tutto il sito web. 


 

Quindi devi creare una struttura piramidale in modo da poter fare in modo che i risultati siano ben distribuiti. Al tempo stesso questo lavoro sulla struttura del portale ti consente di individuare delle pagine obiettivo – quelle che monetizzano, di solito – che dovrebbero giovare del lavoro impostato dalla link building.

Tutto questo va di pari passo con la definizione di un buon profilo link: quando organizzo le tecniche da mettere in gioco nella campagna di link building devo valutare dove far atterrare i link e che tipo di collegamento ottenere.

Ottenere link va bene, ma non devono essere tutti dofollow. Servono anche link nofollow di qualità e che portano traffico. Magari alcuni con attributo UGC (user generated content). In buona sintesi bisogna organizzare:

  • Pagine di atterraggio (home, articoli, categorie, landing).
  • Attributo (con o senza nofollow, UGC, sponsored).
  • Anchor text (brandizzato, assoluto, chiave specifica, chiave generica).
  • Fonte del link (testuale, immagine, bottone).
  • Tempi di crescita della link building.
  • Fonte di riferimento e pagine dalla quale si linka.

Google riconosce dei pattern, scenari simili nel corso del tempo. E tende a penalizzare chi fa una link building artificiale, schematica, con tempi rapidi e da siti web non a tema. Magari sempre senza nofollow e basata su anchor text commerciali. Quindi su exact match query, chiavi di ricerca che coincidono con il testo di ancoraggio del link.

Google non ama ciò che si presenta in modo innaturale, non vuole che usi siti per comprare link e tende a penalizzare chi lavora con una link building fai da te troppo aggressiva.

I link nofollow sono utili alla link building?

Di base no, l’attributo nofollow non fa passare segnali utili alla SEO. Questa è la regola base ma una buona strategia di link building non disdegna l’acquisizione di backlink di qualità con questa caratteristica. In parte perché un profilo link naturale è caratterizzato da diversi link nofollow. Ma poi un collegamento ipertestuale di qualità, con menzione brand e alto volume di traffico referral è sempre utile.

In quanto tempo devo acquisire link?

Il processo di acquisizione dei backlink deve essere spalmato nel tempo in modo da sembrare naturale. C’è da dire però che Google riconosce il fatto che determinati business, tipo le aziende che organizzano eventi, possono avere delle condizioni in cui si ritrovano ad avere tanti link in momenti rapidi.

Chi deve fare la link building?

Di solito deve occuparsi di quest’attività una figura specializzata o meglio ancora una link building agency. Vale a dire un team di persone in grado di analizzare il profilo link già ottenuto, pulire da eventuali link spam e impostare una strategia per ottenere menzioni, citazioni e collegamenti ipertestuali di qualità.

Esiste anche una link building interna

Sì, i SEO expert fanno un buon lavoro di costruzione della struttura link interna. In questo modo è possibile dare dei segnali importanti a Google per far capire quali sono le pagine più importanti per il proprio progetto editoriale. In questo caso però mancano una serie di errori della link building come quelli legati all’anchor text.

Quanto costa la link building?

Una buona campagna di link building può costare anche 1.000 euro al mese, molto dipende dal settore e dalla competitività. L’importante è non puntare al risparmio: una link building di scarsa qualità può portare a pesanti penalizzazioni.

Come fare link building: le tecniche

Con collegamenti editoriali, menzioni spontanee, all’interno delle pagine e non nelle aree come footer e sidebar. O nelle pagine partner. Ma non bisogna improvvisare: l’errore più grande è quello di lavorare solo nella direzione della quantità.

 


Come puoi vedere nell’immagine in alto c’è una grande relazione tra autorevolezza del dominio di chi ti linka e posizione su Google. La serp è di chi riesce a fare link building SEO di qualità. Ma è anche vero che il numero di referral è importante.

Nel senso, se ti linka 1.000 volte lo stesso dominio è irrilevante: devi avere link da siti differenti. E di qualità. Ma soprattutto contestualizzati, legati al tuo mondo. 

 


Non basta ottenere tanti link per avere dei risultati. Ecco alcune tecniche che puoi sfruttare per attivare la tua campagna di link building in chiave SEO.

Pubblica notizie

Un buon modo per ottenere link in ingresso senza pagare, quindi rispettando il concetto espresso da Google rispetto alla naturalità dei collegamenti, riguarda la capacità di essere fonte della notizia. E informare il tuo pubblico di riferimento.

Quindi devi essere una fonte. Per farlo è necessario riportare qualcosa di nuovo, utile e interessante. Una delle tecniche più efficaci: la campagna di digital PR per pubblicizzare un evento. Puoi organizzare anche un’attività local, sul territorio.

Tipo un ciclo di seminari in un coworking o un workshop gratuito. Poi scrivi un comunicato stampa e lo mandi a giornalisti, blogger ed esperti del settore. Lo pubblicheranno tutti? No, però devi curare i rapporti: i link in questo modo arrivano.

Regala qualcosa

Non esiste un regalo gratuito, tutto contempla una contropartita e un sentirsi in obbligo. Questa è la teoria del dono di Marcel Mauss, etnografo francese. E ti assicuro che vale anche per fare link building gratis. Questa è la procedura da seguire:

  • Studia le esigenze del pubblico.
  • Studia una landing page.
  • Crea qualcosa di speciale tipo:
    • Ebook.
    • Tool.
    • Documenti.
    • Ricerche.
    • Dati.

La pagina di atterraggio è importante perché servirà a ottenere i collegamenti. Ma la strategia di link building non è tutto: con la landing page puoi organizzare anche advertising su Facebook e altre attività gestite dal social media manager.

Pubblica infografiche

Scrivere una buona headline è importante per il tuo articolo ma non sufficiente: per creare un post di qualità hai bisogno, spesso e volentieri, di infografiche.

Che sono anche un’ottima fonte per fare link building gratis. Perché c’è chi mette i collegamenti in modo spontaneo e altri che hanno bisogno di un aiutino. Magari hanno usato il lavoro e non hanno linkato: come scovare queste persone?

Basta fare un lavoro di reverse search con Google Immagini. Una volta inserita l’infografica sul motore di ricerca trovi le persone che hanno usato il tuo lavoro senza permesso: ora devi scrivere l’email e ricevere backlink gratis in quantità.

Crea discussione

Per ottenere un post di successo e fare link earning devi invogliare le persone a continuare il discorso. Per esempio puoi chiudere l’articolo con una call to action che inviti le persone a implementare i contenuti attraverso i commenti.

Non è sufficiente. Il vero lavoro di link building si manifesta quando crei un articolo che divide il pubblico con posizioni forti. Il post democristiano, quello che dà ragione a tutti e a nessuno, non fa rumore. Se cerchi backlink devi fare rumore.

Ciò significa prendere posizioni scomode, ma significative. Forti. Il rischio è quello di essere criticato da chi non la pensa come te. Ma puoi anche guadagnare il rispetto e l’ammirazione di una parte di pubblico. Che parlerà di te, citerà il tuo lavoro.

Guest blogging

Uno dei modi più semplici per ottenere link in ingresso senza aspettare che arrivi dal cielo: pubblica un guest post su un sito del tuo settore. Per farlo basta fare una ricerca su Google e individuare blog che affrontano il tuo argomento base.

Li contatti e chiedi se è possibile lavorare in questa direzione. In realtà dietro ci sarebbe una strategia da affrontare: devi capire come scegliere il blog che pubblicherà il contenuto e in che modo scrivere un guest post di qualità..

Ma, soprattutto, ricorda che guest blogging rientra tra le possibili tecniche penalizzanti secondo Matt Cutts: non vuol dire nascondere l’acquisto di link.

Google è molto attento a questo punto e tende a penalizzare i siti che fanno grandi campagne di guest blogging con testi di scarsa qualità e anchor text commerciali. Insomma, si può fare ma con moderazione e attenzione alla qualità.

Crea un blog

Ci sono mille modi per fare link building SEO ma il più efficace se si tratta di contenuti riguarda la capacità di scrivere articoli capaci di dare definizioni base.

Questo vuol dire capire come le persone usano le keyword per cui volete essere trovati. Scardina gli archivi dei vari SEO tool, come il sempre utile Answer The Public, per farti un’idea e per ottimizzare il tuo articolo in chiave SEO copywriting. E magari variare nelle pubblicazioni del blog.

Se vuoi ottenere buoni link in ingresso pubblica articoli capaci di farsi trovare, rispondere alle domande degli utenti e risolvere problemi comuni. Insomma, devi lavorare sui contenuti di qualità.

Avere un ritmo di pubblicazione alto non vuol dire avere successo su questo punto di vista. Come puoi vedere da questa grafica di Backlinko, non sono i post casuali a prendere grandi quantità di link ma soluzioni come le liste puntate e i tutorial.

 


Quanti articoli pubblicare a settimana? Dipende, se vuoi fare un lavoro di link earning (guadagnare collegamenti grazie alla qualità dei contenuti) io direi di abbassare il ritmo e puntare sulla qualità di ciò che scrivi. Per poi fare altri lavori.

Blogger outreach e digital PR

Questo è il miglior incontro tra content marketing e link building. I puristi diranno che questa non è un’attività di costruzione della rete di collegamenti, ma io credo che si debba pur lavorare in modo da evitare le penalizzazioni e i controlli di Google.

Quindi, come procedere? Ovviamente dalla creazione di un contenuto esclusivo. Qualcosa che valga la pena linkare, come una guida molto approfondita o una ricerca con dati proprietari. O magari un ebook o un tool gratuito. Poi bisogna:

  • Individuare i siti e i blog che potrebbero far comodo al tuo progetto.
  • Contattarli con un’email per suggerire il possibile contenuto da linkare.
  • Sviluppare relazione con il blogger per capire come ottenere i vantaggi.
  • Monitorare i risultati e registrare i link in entrata.

Un’alternativa può essere quella di suggerire di linkare la tua risorsa in una pagina precisa. Ad esempio, puoi individuare i link rotti con Screaming Frog e suggerire di aggiustarli con qualcosa che ti appartiene. Oppure puoi seguire il mio esempio.

Link rotti

Una delle migliori strategie per fare link building in SEO: fare un’analisi dei link rotti nei portali che ti interessano per ottenere informazioni sui collegamenti ipertestuali che puoi suggerire per eventuale sostituzione.

Programmi come Broken Link Sleut consentono di analizzare i siti web che ti interessano e individuare le pagine con link rotti. Fai un’analisi di eventuali risorse che hai a disposizione e che puoi usare per sostituire, poi contatta il proprietario con un’email

Ciao, ho visto che in questa pagina [link] c’è un collegamento rotto [qui metti il link non funzionante]. Se vuoi, puoi sostituirlo con questa risorsa che ho preparato un po’ di tempo fa [link al tuo articolo]. Se non lo ritieni opportuno nessun problema, fammi sapere in ogni caso. A presto.

Si tratta di un’email semplice e amichevole, senza forzature. Puoi usare questa tecnica di link building in qualsiasi momento, non è molto veloce nella sua attuazione ma può dare buoni risultati se valuti con attenzione le pagine web.

Migliori software per trovare link

Chiaro, tutto questo non si può fare a mani nude. C’è bisogno dell’aiuto di uno o più SEO tool Google per scoprire quali sono i siti da intercettare e contattare per una buona attività di link building. Vale la pena ricevere un collegamento da quel sito?

Può darti dei vantaggi? Ha dei buoni segnali lato SEO? Lo puoi scoprire grazie all’aiuto di alcuni strumenti pensati proprio per la tua strategia di link building.

Open Site Explorer

Il primo nome che ti suggerisco: Moz, uno dei migliori SEO tool per individuare i link che ti hanno menzionato, comprendendo anche Page e Domain Authority.

Vale a dire una scala da 1 a 100 sviluppata per valutare la possibilità di posizionamento contemplando una serie di fattori. Come i link in ingresso.

Majestic e Ahrefs

Due tool che hanno fatto la storia nel settore link building, per quanto riguarda la possibilità di trovare siti utili al tuo universo e per valutare la tua SEO off-page.

Tra gli strumenti di Ahrefs, oltre a quelli di keyword research, trovi quelli di site explorer e SEO audit con analisi del backlink profile così scopri quali siti web hanno inserito collegamenti al tuo progetto e a quello dei competitor su internet.

 


Questo per valutare la qualità del profilo link. Una soluzione simile si presenta con Majestic che può contare su strumenti altrettanto avanzati come Site Explorer, verifica IP di provenienza dei link, Trust Flow, Historic Index e report personalizzati.

Tool gratis: Uberdsuggest

Questo tool ben noto a chi fa SEO copywriting consente anche di analizzare il profilo link dei siti analizzati. Con Ubersuggest puoi avere informazioni importanti sulla pertinenza e la validità di un eventuali portale dal quale ricevere un collegamento.

Semrush e SEOzoom

Semrush, uno strumento a pagamento che consente di avere informazioni avanzate soprattutto rispetto ai competitor e ai blog che si posizionano meglio rispetto alle parole chiave che ti interessano. Grazie a questo tool puoi valutare parametri importanti:

  • Zoom Authority.
  • Tust del dominio.
  • Numero di link.
  • Autorevolezza dei link.
  • Link tossici

In questo modo è facile organizzare il lavoro di Digital PR/SEO per individuare, scoprire e contattare eventuali siti per la tua strategia di link building.


 In questo settore suggerisco anche Seozoom, soluzione alternativa a Semrush e utile se lavori soprattutto nel settore italiano. Gli strumenti a disposizione sono simili.

Tecniche di link building fai da te dannose

Oggi, lavorare sulla costruzione di un profilo di collegamenti adeguati è importante. I link di qualità funzionano. Ma ci sono ancora idee errate su questo lavoro. Quali sono le tecniche di link building da evitare e, potenzialmente, dannose?

  • Usare commenti per inserire link con anchor text commerciale.
  • Scambio di link massimo: io linko te e tu linki me, meglio di no.
  • Evita e rinnega qualsiasi link da siti spam e con contenuti borderline.
  • Acquisire link velocemente e con lo stesso anchor text commerciale.
  • Ignorare l’importanza dei link nofollow nel profilo dei collegamenti.
  • Ottenere link da sidebar e footer (side-wide).
  • Non sovra-ottimizzare gli anchor text dei link che inserisci.
  • Non fare guest blogging di massa su siti off-topic e con contenuti scarsi.
  • Pubblica comunicati stampa e contenuti riciclati su altri siti.
  • Fare link building da directory e article marketing di bassa qualità.
  • Pensare di poter creare un Blog Private Network (PBN) (in realtà è molto difficile).
  • Comprare link: questo è l’errore base da evitare.

Ovviamente quest’ultimo punto verrà sempre contestato e rivalutato. Si può acquisire un link, nel 2021 in Italia, senza comprarlo? Posso rinunciare ai siti di link building?

Esempio di link building concreta

Ho un ebook gratis e delle immagini free da distribuire, e con una buona ricerca online scopro che ci sono tante persone che pubblicano liste dedicate a questi elementi: 10 ebook gratuiti che devi leggere, 20 siti per scaricare immagini gratis.

Crea un Google Alert dedicato a una determinata chiave. Una query specifica che deve essere cercata e utilizzata dalle persone per creare nuovi articoli.

Hai un ebook gratis? Segna questa keyword e resta in ascolto. Un’email ti avviserà quando verrà pubblicato un articolo con queste parole. Manda un’email a chi ha scritto il contenuto per avvisare: c’è una risorsa che può essere aggiunta alla lista.

Non sempre questo metodo funziona, ovviamente devi creare un’email personalizzata e ben strutturata per evitare che venga cestinata immediatamente. Soprattutto, non devi aspettarti niente. E non devi pretendere.

La tua campagna di link building

Hai ancora dubbi sulla tua attività per ottenere menzioni e collegamenti ipertestuali in ingresso? Come deve essere un link per darti vantaggi concreti? Hai già avuto riscontri dalla tua strategia SEO off-page? Lascia la tua opinione nei commenti.